ITBO990262A1 - Metodo ed apparato per la manipolazione di particelle per mezzo delladielettroforesi . - Google Patents

Metodo ed apparato per la manipolazione di particelle per mezzo delladielettroforesi . Download PDF

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Gianni Medoro
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Gurrieri Roberto
Manaresi Nicolo
Gianni Medoro
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Description

CAMPO DELLA TECNICA
La presente invenzione si riferisce ad un metodo ed un apparato per la manipolazione di corpi per mezzo delle forze di dielettroforesi. Class. INT: G01N
STATO DELLA TECNICA
La dielettroforesi riguarda il fenomeno fisico per cui corpi dielettrici, sottoposti all’azione di campi elettrici continui e/o alternati spazialmente non uniformi, subiscono una forza netta agente verso le regioni dello spazio in cui l’intensità del campo è crescente (pDEP) o decrescente (nDEP). Se l’intensità delle forze risulta paragonabile a quella della forza peso è possibile, in linea di principio, creare un equilibrio di forze per ottenere la levitazione di piccoli corpi. L’intensità della forza di dielettroforesi, cosi come la direzione verso cui agisce, dipende fortemente dalle proprietà dielettriche e conduttive del corpo e del mezzo in cui il corpo è immerso, proprietà che variano in funzione della frequenza.
Gli studi condotti sull’ analisi degli effetti delle forze di dielettroforesi su microorganismi (cellule, batteri, virus, DNA, ecc. ) o su oggetti artificiali costituiti da materiali inorganici hanno suggerito da tempo l’idea di sfruttare tali forze per la selezione di un particolare corpo da un campione contenente una pluralità di microorganismi, la caratterizzazione delle proprietà fisiche di microorganismi e in generale la loro manipolazione. A tale proposito si è rivelato utile l<!>utilizzo di sistemi di dimensioni paragonabili a quelli dei corpi che si vuole manipolare al fine di ridurre l’entità delle tensioni per la creazione delle distribuzioni di campo necessarie alla manifestazione degli effetti descritti.
I brevetti U.S. Pat. 5,888,370, U.S. Pat. 4,305,797, U.S. Pat. 5,454,472, U.S. Pat.
4,326,934, U.S. Pat. 5,489,506, U.S. Pat. 5,589,047, U.S. Pat. 5,814,200, descrivono diversi metodi per separare i corpi contenuti in un campione in base alle diverse proprietà dielettriche o conduttive che caratterizzano la specie cui appartengono. Il difetto principale comune a tutti i dispositivi proposti è la necessità di disporre di micro-sistemi meccanici e fluido-dinamici che asservano alla funzione di spostamento di liquidi all’interno del sistema. Inoltre tutti i dispositivi descritti nei brevetti elencati sottopongono i corpi manipolati a contatti e attriti con le superfìci del sistema compromettendo sia la mobilità dei corpi che la loro incolumità.
II brevetto U.S. Pat. 5,344,535 descrive un sistema dedicato alla caratterizzazione delle proprietà di microorganismi. Il sistema descritto e la metodologia proposta hanno il difetto di fornire risultati di esperimenti eseguiti su un gran numero di corpi, rinunciando ai vantaggi che si ottengono da un’analisi eseguita su singoli corpi. Anche questo sistema, inoltre, è incapace di evitare il contatto dei corpi con le superfìci del dispositivo. Il brevetto U.S. Pat. 4,956,065 descrive un sistema capace di levitare singoli corpi e di effettuare su di essi l’analisi delle caratteristiche fisiche. Il difetto di questo dispositivo è la necessità di un sistema di controllo in retroazione dovuto all’uso dì forze di dielettroforesi positive. Inoltre il sistema proposto non si presta a miniaturizzazione, essendo caratterizzato da una topologia tridimensionale non riproducibile con la tecnologia di integrazione microelettronica.
L’articolo riportato in “Biochimica et Biophysica Acta, 1157(1993) a pag. 127-140, descrive gli studi e gli esperimenti condotti da T. Schnelle, R. Hagedorn, G. Fuhr, S. Fiedler, T. Muller sulla creazione di gabbie tridimensionali per la manipolazione di cellule. Le strutture proposte si scontrano con problemi di realizzazione quando le dimensioni della gabbia che si vuole costruire diventa paragonabile a quella delle cellule stesse (al fine di intrappolare una singola cellula). Difatti il problema piu grosso di questi sistemi è rappresentato dalle difficoltà che si incontrano neH’allineamento di due strutture assemblate l’una sull’altra in scala micrometrica, essendo questa la procedura proposta per la realizzazione della struttura tridimensionale del sistema.
RIASSUNTO DELL’INVENZIONE
La presente invenzione riguarda un metodo per la levitazione stabile di corpi dielettrici neutri o elettricamente carichi ed il loro spostamento mediante la costituzione di gabbie chiuse di potenziale dielettroforetico, mobili, ed un apparato per la generazione e lo spostamento di dette gabbie, comprendente una prima schiera di elettrodi giacenti su di uno stesso substrato sostanzialmente planare, ed un secondo substrato comprendente uno o più elettrodi, ciascuno dei quali è sufficiente alla creazione di almeno una buca di potenziale, fabbricabili anche con le tecniche standard usate per la produzione di normali circuiti microelettronici planari.
Le soluzioni proposte fin ora presentano una serie di difetti che possono essere superati grazie al dispositivo inventato, il quale permette di creare una distribuzione spaziale di campi elettrici tali da realizzare delle gabbie di potenziale chiuse per la forza di dielettroforesi. Questo dispositivo non necessita di un preciso allineamento dei due moduli principali del sistema; questo ottimizza sia la semplicità che la economicità del sistema superando le forti limitazioni sia sul piano dei costi che soprattutto sul piano delle dimensioni minime delle gabbie realizzate di cui soffrono i dispositivi precdenti, dal momento che l’allineamento diventa più critico man mano che si scalano le dimensioni. Inoltre lo stesso dispositivo consente in modo estremamente semplice di spostare la particella intrappolata all’interno del sistema facendole compiere tragitti lunghi rispetto alla dimensione della particella stessa. In questo modo si aggiungono all’utilità del dispositivo tutte quelle applicazioni biologiche che richiedono manipolazioni di tipo motoria dei corpi intrappolati.
Inoltre tutti i sistemi proposti, capaci di spostare particelle o facendo uso di tecniche di fluido-dinamica o traveling fields, non sono capaci di posizionare le particelle in un punto ben determinato del sistema evitando il contatto con il dispositivo; è evidente che un risultato del genere lo si può conseguire se si dispone di gabbie di potenziale tridimensionali, posizionate ad una certa quota dalla superficie del dispositivo e se si è in grado di spostare queste all’interno del dispositivo. Ulteriori vantaggi derivano dalla possibilità di controllare la quota in cui si posiziona la buca semplicemente agendo sui potenziali applicati.
La flessibilità nella programmazione del sistema rende inoltre possibile la creazione di canali virtuali eludendo in questo modo la necessità di disporre di molteplici dispositivi dedicati ciascuno ad una singola funzione ed ampliando notevolmente lo spettro delle applicazioni e degli utenti cui è dedicato.
La possibilità di aggiungere sistemi di sensing integrati di tipo ottico o di tipo capacitivo, inoltre, permettono di svincolarsi dalla ingombrante strumentazione di rivelazione tradizionalmente utilizzata in questo contesto (telecamera, microscopio), seppure non ne escluda l’impiego per la monitorazione visiva di ciò che accade nel dispositivo.
Inoltre, tecniche di controllo in retroazione effettuate mediante l elaborazione delle informazioni provenienti dai sensori integrati nel dispositivo, consentono di effettuare una serie di operazione complesse in modo del tutto automatico, quali per esempio la caretterizzazione delle proprietà fisiche delle particelle sottoposte all’analisi.
Infine la possibilità di disporre di gabbie chiuse di potenziale preserva dalla perdita del controllo della particella nel caso in cui sono presenti correnti idrodinamiche ascendenti dovute per esempio a gradienti termici, moti Browniani non trascurabili (i quali agiscono in tutte le direzioni), o semplicemente se la spinta di Archimede agisce verso l’alto a causa di una maggiore densità di massa del fluido rispetto a quella della particella; in ciascuna di queste situazioni, infatti, la tradizionale distribuzione di potenziale ad imbuto risulta inefficace, in quanto incapace di contrastare tutte le forze che agiscono verso l’alto.
La forma di esecuzione preferita, ma non esclusiva, del dispositivo inventato prevede la presenza di due moduli principali sovrapposti l’uno sull’altro; il primo è costituito da una pluralità di elettrodi metallici, la cui forma può essere di vario tipo, disposti in modo regolare su di un supporto che può essere di ossido di silicio o di altro materiale isolante; eventualmente gli elettrodi possono essere coperti con uno strato di materiale isolante ai portatori di carica presenti nel liquido. Questo modulo, se realizzato con le tecniche di fabbricazione dei circuiti integrati può contenere elementi di memoria per la programmazione delle singole celle (elettrodi), generatori di segnali programmabili (questi segnali possono essere sinusoidali, onde quadre, impulsi, ecc., possono avere frequenza variabile nell’intervallo di interesse, e fase anch’essa variabile), sensori capacitivi e/o ottici, circuiti di ingresso/uscita, ecc. Il secondo modulo è costituito da un unico grande elettrodo realizzato con un materiale conduttore ed eventualmente trasparente alle frequenze ottiche cui si può aggiungere uno strato di materiale isolante di spessore qualunque. A questi si aggiungono i generatori di segnali da applicare al modulo superiore , un eventuale sistema di monitoraggio ottico del tipo microscopio e telecamera, sistemi di iniezione e di estrazione di materiali fluidi o semifluidi all interno del dispositivo; infine un supporto che reggendo il modulo superiore lo tenga separato da quello inferiore creando una camera adibita al contenimento del campione da manipolare o da analizzare. Questa stessa struttura può inoltre servire anche per creare delle pareti di separazione interne per il liquido, al fine di creare diverse camere eventualmente comunicanti tra di loro mediante apposite porte di comunicazione.
La topologia del dispositivo brevemente descritto ci consente, applicando esclusivamente segnali periodici in fase o in controfase, opportunamente distribuiti sul modulo inferiore e applicati su quello superiore, di realizzare una distribuzione di campo elettrico nello spazio compreso tra i due moduli tale da creare una o più gabbie di potenziale, la cui intensità può essere variata agendo sia sulla frequenza dei segnali applicati che sulla loro ampiezza; un altro grado di libertà è rappresentato dalla quota cui è possibile posizionare il centro della buca e di conseguenza il corpo ivi intrappolato. Infine, l’ultimo grado di libertà è rappresentato dalla posizione (x,y) della buca; infatti, grazie alla possibilità di spostare la buca agendo sulla programmazione del chip, è possibile variare le coordinate x ed y a tratti di 1/2 della dimensione della singola cella che costituisce la matrice.
La metodologia usata nella realizzazione dello spostamento della buca lungo le direzioni x e y è molto simile al principio sfruttato nei CCD; se per esempio abbiamo un elettrodo la cui fase è uguale a quella del modulo superiore, circondato da elettrodi in controfase, allora in corrispondenza dell'elettrodo centrale si crea una gabbia di potenziale; è sufficiente porre in fase uno degli elettrodi adiacenti (in particolare quello che si trova lungo la direzione del moto), per allargare la buca su due elettrodi; il corpo si posiziona nella regione centrale della buca che si trova tra gli unici due elettrodi in fase della matrice; in questo modo la buca si è spostata di mezza posizione; terminato il transitorio si inverte la fase del segnale applicato all’elettrodo su cui si trovava inizialmente il corpo; in questo modo la buca si restringe ed il centro si posiziona nuovamente in corrispondenza dell’unico elettrodo in fase, la posizione di quest’ultimo essendo spostata di un’unità rispetto a quella iniziale. Ripetendo le operazioni lungo x o lungo y è possibile variare a piacere la posizione di tutte le buche presenti nel dispositivo. Da notare che per la prima volta lo spostamento di corpi per mezzo di forze di dielettroforesi non si avvale dell’uso di “traveling fields” il cui controllo risulta legato a Irti [JCM]· Pertanto, utilizzando “traveling fields”, l’unico grado di libertà rappresentato dalla frequenza deve servire per soddisfare due specifiche: una per avere Re [JCM ] < 0 e l’altro per avere | Re [/cM]|sufficientemente grandi; soddisfare entrambe le quali riduce di molto lo spettro utile.
L’idea di usare le buche mobili per spostare corpi evidentemente risolve questo problema in quanto l’unico vincolo {Re [JCM] < 0) può essere soddisfatto su un ampio spettro di frequenze; inoltre questa tecnica non non preclude la possibilità di usare segnali con diversa fase, al fine di creare forze motorie dovute a “traveling fields”.
Infine la possibilità di usare contemporaneamente più frequenze allarga gli orizzonti a tutte quelle applicazioni che prevedono la contemporanea manipolazione nonché la interazione tra corpi con proprietà dielettriche o conduttive differenti.
Il vantaggio principale del dispositivo oggetto della presente invenzione, rispetto a quelli citati nell’arte nota, consiste nella possibilità di creare gabbie chiuse di potenziale dielettroforetico senza dover allineare il modolo inferiore con quello superiore, essendo quest’ultimo costituito da un unico elettrodo che copre l’intero dispositivo; pertanto un qualsiasi disallineamento non compromette la funzionalità del sistema. L’importanza di questo vantaggio lo si comprende soprattutto se si pensa che un dispositivo modulare che non necessita di allineamento ci consente di aprire il sistema e richiuderlo manualmente, prestandosi ad un uso ripetuto e flessibile, inoltre ci consente di usare tecniche standard di fabbricazione evitando sofisticate e costose operazioni.
BREVE DESCRIZIONE DELLE FIGURE
FIG. 1 mostra una visione tridimensionale schematizzata di una parte del dispositivo dedicata alla manipolazione del campione; è evidenziata la struttura modulare formata da un supporto contenente gli elettrodi e un coperchio;
FIG. 2 mostra una sezione dettagliata della stessa struttura rappresentata in FIG. 1; FIG. 3 mostra una delle possibili forme che possono avere gli elettrodi presentì nel dispositivo;
FIG. 4 mostra una delle possibili forme che possono avere gli elettrodi presenti nel dispositivo;
FIG. 5 mostra una visione esplosa del dispositivo evidenziante la presenza di un terzo modulo;
FIG. 6 mostra un grafico di una superficie tridimensionale rappresentante il modulo del campo elettrico espresso in valore efficace;
FIG. 7 mostra lo stesso grafico di FIG. 6 per una distribuzione di segnali applicati differente;
FIG. 8 mostra schematicamente il principio delle spostamento delle gabbie evidenziando i passi fondamentali e la loro dinamica temporale;
FIG. 9 mostra un grafico in due dimensioni della distribuzione del modulo del campo elettrico espresso in valore efficace su di una sezione verticale nel caso in cui gli elettrodi sono formati da piste parallele attraversanti l’intero dispositivo;
FIG. 10 mostra lo stesso grafico della FIG. 9 per una diversa distribuzione di potenziale sugli elettrodi;
FIG. 11 mostra un grafico rappresentante l’andamento del gradiente del modulo al quadrato del campo elettrico espresso in valore efficace, lungo una sezione orizzontale del grafico rappresentato in FIG. 9 passante per il centro della buca (4.3μτη);
FIG. 12 mostra un grafico rappresentante l’andamento del gradiente del modulo al quadrato del campo elettrico espresso in valore efficace, lungo una sezione verticale del grafico rappresentato in FIG. 9, per diversi valori di potenziale applicato all’elettrodo superiore;
FIG. 13 mostra un grafico rappresentante l’andamento del gradiente del modulo al quadrato del campo elettrico espresso in valore efficace, lungo una sezione orizzontale del grafico rappresentato in FIG. 10, passante per il centro della buca;
FIG. 14 mostra un grafico rappresentante l’andamento del gradiente del modulo al quadrato del campo elettrico espresso in valore efficace, lungo una sezione verticale del grafico rappresentato in FIG. 10, passante per il centro della buca;
FIG. 15 illustra schematicamente, ed in modo semplificato, la struttura del primo substrato e gli elementi principali che lo compongono;
FIG. 16 illustra schematicamente, ed in modo semplificato, la struttura della cella della matrice e gli elementi principali che lo compongono;
FIG. 17 illustra schematicamente gli strumenti che possono essere interfacciati col sistema ed il flusso di informazioni di ingresso e di uscita;
FIG. 18 mostra l’andamento qualitativo del potenziale di dielettroforesi negativo lungo una sezione generica, evidenziando il confronto delle dimensioni della buca con quello della particella da intrappolare;
FIG. 19 illustra schematicamente una particolare distribuzione di elettrodi che permette di ottimizzare l’occupazione di area per i circuiti dedicati alla programmazione degli elettrodi;
FIG. 20 illustra schematicamente una particolare topologia che permette di ottimizzare l’occupazione di area per i circuiti dedicati alla programmazione degli elettrodi nel caso di una applicazione specifica riguardante il conteggio dei corpi contenuti in un campione. FIG. 21 illustra una delle possibili realizzazioni di sensore ottico integrato;
FIG. 22 illustra una delle possibili realizzazioni di sensore capacitivo integrato;
FIG. 23 illustra una delle possibili realizzazioni di sensore capacitivo integrato;
DESCRIZIONE DETTAGLIATA
Ulteriori caratteristiche e vantaggi dell’invenzione risulteranno maggiormente dalla descrizione di una forma di esecuzione, preferita ma non esclusiva, illustrata a titolo indicativo ma non limitativo qui nel seguito. Ulteriori commenti vengono aggiunti al fine di fornire una panoramica abbastanza ampia sulle possibili varianti del sistema che sfruttano lo stesso principio delle gabbie mobili di potenziale.
Struttura del Dispositivo
Il dispositivo inventato è costituito da due moduli fondamentali; il primo è costituito da una distribuzione regolare di elettrodi (Mi in FIG. 1 e 2) disposti su di un supporto isolante (Ol in FIG. 1 e 2). Gli elettrodi possono essere di un materiale conduttore qualunque con preferenza per i metalli compatibili con la tecnologia di integrazione elettronica, mentre il mezzo isolante può essere ossido di silicio o un qualunque altro materiale isolante. Gli elettrodi possono inoltre essere ricoperti da una pellicola di materiale isolante (Ri in FIG. 2) al fine di evitare il fenomeno dell’elettrolisi dovuta al contatto tra il mezzo liquido (contenente ioni positivi e negativi) e gli elettrodi. Questa protezione può essere evitata se si usano elettrodi costituiti da materiali che non interagiscono chimicamente con il mezzo liquido o se si usano frequenze sufficientemente elevate da poter trascurare gli effetti dovuti alla elettrolisi. Infine nella regione (C in FIG. 2) sottostante gli elettrodi possono trovarsi circuiti integrati la cui funzione è spiegata nel seguito.
La forma degli elettrodi della matrice può essere di vario tipo; in FIG. 1 sono rappresentati elettrodi di forma quadrata (MI), mentre in FIG. 2 è raffigurata la sezione degli elettrodi mettendo in evidenzia le dimensioni principali (DE e DO). Tali dimensioni dipendono fortemente dalla tecnologia usata, dalla dimensione delle gabbie che si vogliono creare, mentre il loro rapporto influenza leggermente le proprietà delia buca di potenziale. Dalle simulazioni effettuate a tale proposito è emerso che maggiore è il rapporto tra DE e DO, migliore risultano le proprietà della buca di potenziale, anche in termini di profondità.
Altre forme sono possibili per gli elettrodi della matrice; per esempio rettangolari, oppure delle piste che percorrono l’intero chip; altrimenti la forma esagonale (E2 in FIG. 3) che offre la possibilità di ridurre il numero di elettrodi richiesto per creare una singola buca da 9 a 7 unità e offre maggiori direzioni di moto (da 4 a 6); inoltre le direzioni proibite possono essere intraprese con un moto a zig-zag con una angolazione superiore a quella da usare per esempio se si dispone di elettrodi quadrati, richiedendo quest’ultimi una angolazione di 90° per il moto nelle direzioni proibite.
Il secondo modulo principale è costituito da un unico grande elettrodo (M2 in FIG. I e 2) che copre l’intero dispositivo. Questo elettrodo può eventualmente (di solito non serve) essere protetto dal mezzo con cui viene a contatto mediante una pellicola di materiale isolante (R2 in FIG. 2). Infine può essere presente una struttura di supporto superiore (02 in FIG. 1 e 2).
La forma più semplice da dare a questo elettrodo è quella di una superficie piana e omogenea; sono possibili altre forme più o meno complesse (per esempio una griglia più o meno fitta al fine di permettere alla luce di passare attraverso).
II materiale più adatto da usare per l’elettrodo superiore è quello di un materiale conduttore e trasparente. In questo modo è possibile affiancare ai sensori eventualmente integrati nel dispositivo i tradizionali metodi di ispezione ottica dall’alto del dispositivo (microscopio e telecamera).
Infine un supporto fisico (A2 in FIG. 5) viene utilizzato per separare i due moduli (Al e A3 in FIG. 5, in cui Al comprende Ri, Ol, Mi e C; A2 comprende R2, 02, M2) di una certa distanza (DL in FIG. 2) e per contenere il campione da manipolare o da analizzare. Esiste una certa dipendenza della quota della buca, nonché della sua profondità dalla dimensione di DL; pertanto la distanza DL può essere scelta al fine di ottenere il miglior compromesso tra le due specifiche, tenendo conto dei limiti imposti dalla tecnologia realizzativa del supporto stesso.
Energia Potenziale
Una descrizione della teoria che è alla base del fenomeno della dielettroforesi è stata pubblicata da Pohl H. A. in “Dielectrophoresis” Cambridge University Press (Cambridge 1978). Gli studi sul fenomeno hanno suggerito la formulazione teorica di tale forza in un caso particolarmente interessante:
Una particella sferica di materiale diettrico immersa in un liquido, sottoposta all’azione di campi elettrici AC o DC spazialmente non uniformi, subisce una forza di dieiettroforesi il cui valor medio nel tempo è rappresentabile, come descritto in Biochimica et Biophysica Acta 1243 (1995) pag. 185-194, in J. Phys. D: Appi. Phys. 27 (1994) pag.
1571-1574, con la seguente formula:
in cui e0 è la costante dielettrica del vuoto, r è il raggio della particella, ERMS è il valore efficace del campo elettrico, φΧΛ,χ è la fase del campo elettrico nello spazio, ed infine fcM è detto fattore di Clausius-Mossotti ed è definito nel seguente modo:
in cui ep ed em rappresentano rispettivamente la costante dielettrica complessa della particella e del mezzo in cui questa è immersa.
Se ci poniamo nelle condizioni per cui non sussistono disomogeneità spaziali di fase, la (1) può essere semplificata nel seguente modo:
(<2>)
Dal momento che la (2) risulta conservativa, è possibile definire una energia potenziale nel seguente modo:
(3)
pertanto possiamo esprimere la forza nel seguente modo:
Da quanto detto risulta evidente che per creare una gabbia tridimensionale per una particella sfruttando le forze di dielettroforesi è indispensabile realizzare un minimo locale per l’energia potenziale; osservando la (3) risulta evidente che è sufficiente realizzare una distribuzione spaziale per il campo elettrico che abbia un minimo localizzato nello spazio in cui si vuole posizionare la buca.
Se inoltre si definisce Ae = em — ep in modo tale che risulti positivo per forze di dielettroforesi negative, la (2) può essere scritta nel seguente modo:
(4)
Considerando inoltre la forza peso, essa può essere espressa, sotto le ipotesi di corpo sferico e omogeneo, nel seguente modo:
Dove Ap è la differenza tra densità di massa della particella e quella del mezzo ed è espressa in Kg/m<3>·, g è la accelerazione di gravità ed è pari a 9.807m/s<2>.
Risulta interessante effettuare un confronto tra le due forze per vedere se e quando è possibile far prevalere una sull’altra:
Definendo:
risulta:
(5)
La (5) va interpretata nel seguente modo: se conosciamo tutti i parametri della β , ovvero la densità di massa e la distribuzione dei campi nello spazio (è possibile ricavare questa informazione dalle simulazioni effettuate), possiamo ricavare la più piccola differenza di costante dielettrica che ci permette di intrappolare la particella bilanciando la forza peso. Per esempio, nel caso in cui em sia quello dell’acqua (em ~ 81), Ap ~ 1000 Kg/m<3>, per valori tipici per V£ymj, risulta β 6 [0.009 ÷ 0.091); di conseguenza Ae G [2.2 ÷ 20.3]. Questo vuol dire che è possibile levitare corpi la cui costante dielettrica relativa differisce da quella del mezzo di almeno 2.2 ÷ 20.3 unità, ovvero la cui costante dielettrica sia compresa tra 0 e 60.7 ÷ 78.8.
Risulta anche evidente dalla (5) che Ae perde di significato per valori superiori a em — 1, pertanto il massimo valore di β ammesso è pmax = 0.497, ovvero nel migliore dei casi (ep = 1, ad esempio se la particella è di aria), il valore di non può essere inferiore
Distribuzione del campo elettrico nello spazio: Esempiol
Per realizzare una gabbia di potenziale chiusa è possibile utilizzare diverse distribuzioni di potenziale elettrico da applicare agli elettrodi della matrice e del coperchio. Tuttavia la minima quantità di elettrodi che servono per ottenere una singola gabbia dì potenziale dielettroforetica è costituita da 9 elettrodi (nel caso di elettrodi quadrati; ad esempio L2-L4, L6-L8, L10-L12 in FIG. 4). Inoltre, considerando che la forza di dielettroforesi è proporzionale al modulo al quadrato del campo elettrico espresso in valore efficace, è evidente che il miglior rendimento lo si ottiene se si usano forme d’onda quadra; definiamo Vsq ( ut , φ ) la seguente forma d’onda:
la quale rappresenta un’onda quadra a valor medio nullo di periodo T, dove u = 27 r/T, in tal caso i segnali da applicare agli elettrodi L1-L12 di FIG. 4 ed al coperchio sono i seguenti:
La pulsazione ω deve essere scelta in modo da avere un Δε positivo. In tal caso la forza di di elettroforesi risulta negativa.
Le tensioni tipiche utilizzate sono Ve = 2.5V e Vc e [— 2.5 ÷ 2.5]; dalle simulazioni eseguite al calcolatore si è osservato che al crescere del valore di Vc da —2.5 a 2.5 la buca di potenziale cresce in intensità mentre la quota del centro della buca decresce. In questo modo è possibile agire sul controllo simultaneo della quota di tutte le buche mediante il voltaggio del segnale applicato all· elettrodo superiore. Altrimenti, mediante il voltaggio degli elettrodi presenti sul modulo inferiore, dedicati alla creazione di una particolare buca, è possibile controllare la quota di questa solamente.
La FIG. 6 mostra i risultati di simulazioni effettuate su di un dispositivo costituito da una matrice di 4x3 elettrodi di forma quadrata, di lato di 5 μτη e con DE/DO pari a 5. Per DL si è scelto un valore di 10/xm. Come mezzo liquido contenuto tra i due moduli Al e A2 si è scelto l’acqua, con em pari a ~ 81. Inoltre R2 è nullo ed RI è spesso l/im. Il grafico in FIG. 6 rappresenta, nello spazio tridimensionale, una superficie a campo costante (SI in FIG. 6) pari a 400V/cm nel caso in cui Vc è pari a OV. La forma ellissoidale di tale superficie dimostra che la buca di potenziale, essendo il potenziale di dielettroforesi proporzionale al modulo al quadrato del campo elettrico espresso in valore efficace, risulta chiusa. La posizione del centro di tale buca si trova esattamente in corrispondenza dell’elettrodo L7. La FIG. 7 mostra il risultato che si ottiene nel caso in cui gli stimoli applicati agli elettrodi siano i seguenti:
A parità di Vc si ha una superficie sostanzialmente ellittica (S2 in FIG. 7) il cui centro si trova esattamente tra l’elettrodo L6 ed L7. In questo modo ripetendo l’operazione in sequenza si riesce a muovere la buca lungo una direzione prestabilita. La FIG. 8 mostra schematicamente tre grafici: il primo si riferisce all’istante Tl, il secondo all’istante T2 ed il terzo all’istante T3; in ciascun grafico è rappresentata la distribuzione delle fasi sugli elettrodi L5, L6, L7, L8, mostrando il principio delle gabbie di potenziale mobili. All’avanzare del tempo l’elettrodo con fase φ π si sposta verso le X decrescenti attraverso due passi: in T2 pone in fase {ψ π) l’elettrodo L6, mentre L7 rimane con fase ψ π; nell’istante successivo, T3, si cambia fase ad L7. Evidentemente gli intervalli temporali ΔΤ tra un istante e l’altro devono essere accuratamente scelti in base alle caratteristiche del sistema: intensità delle forze, viscosità del mezzo, dimensioni delle particelle, ecc. A tale proposito si rivela molto utile poter disporre di un sistema di sensori (ottico o capacitivo) che sia in grado di rivelare la presenza/assenza di particella in ciascuna posizione; in questo modo il ΔΤ può essere calcolato sulla base delle informazioni ricavati da tali sensori durante il funzionamento stesso, senza dover utilizzare un valore costante che tenga conto del caso peggiore, ottimizzando in tal modo la dinamica del sistema. Una stima sull’ordine di grandezza della velocità di spostamento che si riesce ad ottenere con tale sistema è del μπι al secondo.
Un sistema che tenga conto della integrazione di un sensore per ciascun elettrodo potrebbe per esempio essere costituito, nel caso in cui il sensore fosse capacitivo, da un circuito capace di rilevare piccole differenze di capacita tra due elettrodi della matrice; la presenza/ assenza della particella modifica il valore di tale capacità permettendone la rivelazione. Nel caso ottico l’elemento discriminatore tra la presenza e l’assenza della particella è la quantità di fotoni che pervengono ad un sensore ottico posizionato al di sotto di una buca di potenziale. Se una particella si trova intrappolata in una buca di potenziale, al di sotto della quale si trova un sensore ottico, la quantità di fotoni sarà tanto inferiore quanto più estesa è l’ombra della particella rispetto alla superfìcie sensibile del sensore.
In entrambi i casi, la singola cella della matrice è costituita da un elettrodo, un sensore di presenza/assenza ed un elemento di circuito per la programmazione dell’elettrodo (forma d’onda, fase e tesione picco-picco).
Distribuzione del campo elettrico nello spazio: Esempio2
Nel caso in cui gli elettrodi sono costituiti da piste che attraversano l’intero dispositivo, trascurando gli effetti di bordo alle estremità degli elettrodi, le distribuzioni del modulo del campo elettrico sono rappresentate in FIG. 9 ed 10; nel caso in cui i potenziali applicati agli elettrodi Pi, P2 e P3 siano i seguenti:
dove 1⁄2 è 2.5V e l^ è OV, la distribuzione del campo elettrico nello spazio è rappresentato in FIG. 9, in cui le regioni dello spazio scure (S3) indicano un campo elettrico a bassa intensità, mentre le regioni dello spazio chiare indicano la presenza di un campo elettrico intenso.
Nella FIG. 11 è rappresentato l’andamento del gradiente del modulo quadro del campo elettrico espresso in valore efficace lungo la sezione orizzontale passante per il centro della buca di potenziale, nel caso in cui sia Vc = OV-, in tal caso la quota del centro della buca rispetto alla superficie è di 4.3 μπι. Nella FIG. 12 è rappresentato l’andamento del gradiente del modulo quadro del campo elettrico espresso in valore efficace lungo la sezione verticale passante per il centro della buca di potenziale, per diversi valori di Vc, da 2.5V a -0.5V.
Per effettuare lo spostamento del centro della buca nella regione compresa tra gli elettrodi P2 e P3, possiamo per esempio applicare la seguente configurazione di potenziali:
dove Ve è 2.5V e 1⁄2 è 1.5V. Il risultato è raffigurato in FIG. 10; S4 rappresenta la regione in cui si posiziona la buca di potenziale.
Nella FIG. 13 è rappresentato l’andamento del gradiente del modulo quadro del campo elettrico espresso in valore efficace lungo la sezione orizzontale passante per il centro della buca di potenziale, nel caso in cui sia Vc +1.5V; in tal caso la quota del centro della buca rispetto alla superficie è di 4.3μτη. Nella FIG. 14 è rappresentato l’andamento del gradiente del modulo quadro del campo elettrico espresso in valore efficace lungo la sezione verticale passante per il centro della buca di potenziale per Vc pari a 1.5V.
Risultati simili si ottengono tenendo fisso il valore di Vc per esempio a -1.5V e variando solamente la fase dell’elettrodo P3.
Le forma d’onda da applicare agli elettrodi possono pervenire sia da oscillatori integrati nel chip che da generatori di funzioni esterni, interfacciabili al dispositivo mediante un apposito sistema di ingresso/uscita.
Applicazioni: Esempio 1
In una forma di esecuzione preferita si utilizza un supporto (A3 in FIG. 15), comprendente una matrice (MI in FIG. 15) di celle (EIJ in FIG. 15, 16), un numero N di canali di comunicazione con l’esterno mediante segnali elettrici (XYN in FIG. 15), un circuito di interfaccia tra i segnali provenienti dall’esterno ed i circuiti interni (IO in FIG. 15), un insieme di circuiti dedicati all indirizzamento degli elementi della matrice (DX e DY in FIG. 15), collegati con IO tramite una serie di collegamenti (CX e CY in FIG. 15), un numero adeguato di piste verticali (YJ in FIG. 15) e di piste orizzontali (XI in FIG. 15) per l’indirizzamento della generica cella EIJ, un sistema di piste per la distribuzione dei segnali da applicare agli elettrodi (FS in FIG. 15), un blocco circuitale per la programmazione delle forme d’onda (DS in FIG. 15), un insieme di collegamenti (CS in FIG. 15) tra IO e DS per l’interfacciamento di quest’ultimo con l’esterno, un certo numero M di canali di comunicazione con l’esterno per la gestione dei mezzi liquidi (FM in FIG. 15). <' >A questi vanno aggiunti un coperchio conduttivo per coprire il sistema, strumenti vari da interfacciare attraverso i canali di comunicazione elettrici quali: computer, generatori di forme d’onda esterni, analizzatori, ecc. (WS in FIG. 17), fluido-dinamici: micropompe, ecc. (IS in FIG. 17), ed ottici: microscopio, telecamera, ecc. (MS in FIG. 17).
Ciascun elemento della matrice Mi è costituito da un elettrodo (LIJ in FIG. 16) per energizzare la regione dello spazio adibito alla manipolazione del campione, da un circuito per la programmazione dell’elettrodo (MIJ in FIG. 16), da un sensore (SIJ in FIG. 16); ciascuno di questi blocchi può comunicare con altri all’interno dello stesso elemento mediante collegamenti a corto raggio (Cl, C2, C3 in FIG. 16), inoltre il blocco circuitale adibito alla programmazione dell’elettrodo può comunicare con i blocchi circuitali esterni mediante collegamenti a lungo raggio (XI e YJ in FIG. 15 e 16).
Un aspetto peculiare dell’invenzione e non riscontrabile nello stato dell’arte per dispositivi facenti uso della dielettroforesi, consiste nella possibilità di realizzare sullo stesso substrato sia gli elementi di attuazione, in grado di manipolare gli elementi biologici, che i dispositivi di rilevamento, o di sensing degli stessi elementi. Alcuni casi di integrazione, qui riportati in forma di esempio non esclusivo di altre forme similari, sono illustrati nelle FIG. 21, 22 e 23.
In FIG. 21 è schematizzata una realizzazione del sensing che utilizza sistemi di tipo ottico in grado di individuare la presenza/assenza di un elemento biologico, BIO. Sull’elettrodo LIJ viene praticata un’apertura di dimensioni tali da non perturbare significativamente il potenziale dielettroforetico, ma in grado di permettere il passaggio di una certa quantità di radiazione luminosa, proveniente da una sorgente esterna al dispositivo. Il coperchio Al è realizzato mediante arti note con materiale semitrasparente e conduttivo in maniera tale da non impedire il passaggio della radiazione luminosa. Nello spazio sottostante il foro praticato sull’elemento LIJ, viene realizzato sul substrato di silicio C e secondo arte nota un fotodiodo a giunzione CPH operante in accumulo di carica. La presenza/assenza dell’elemento biologico BIO influenzerà la quantità di radiazione luminosa incidente il fotodiodo, determinando una quantità variabile di carica accumulata nel tempo di integrazione. Le variazioni indotte sulla carica accumulata sono rivelate da un convenzionale amplificatore di carica CHA composto da: un amplificatore OPA, da un condensatore di retroazione, CR, e da una tensione di riferimento, VRE. Il collegamento col suddetto amplificatore di carica viene ottenuto abilitando un opportuno interruttore, SW1, eventualmente posto in MIJ. Il fotodiodo e l amplificatore di carica sono progettati, secondo arte nota, per ottenere un rapporto segnale/disturbo di almeno due livelli, corrispondenti per l’appunto allo stato di presenza o assenza della particella biologica. A titolo d’esempio, facendo riferimento alle dimensioni della struttura precedentemente citata per quanto riguarda le simulazioni, si può ipotizzare di utilizzare una tecnologia CMOS a 0.7μπι di lunghezza tipica di canale, inserendo un fotodiodo delle dimensioni di 1 x 2μτη nel substrato sottostante l'elettrodo e caratterizzato dalle dimensioni precedentemente esposte. L’analisi del rapporto segnale/disturbo condotta secondo arte nota conduce alla conclusione che è possibile la rivelazione di particelle le quali abbiano una variazione di trasparenza del 10% rispetto al liquido, utilizzando tempi di integrazione superiori a 3μβ.
In FIG. 22 è schematizzata una realizzazione del sensing che utilizza uno schema di tipo capacitivo. Un segnale in tensione SIG applicato al coperchio Al induce una variazione al campo elettrico ELE interposto tra Al e il piatto sottostante, LIJ. La presenza/assenza di un elemento biologico BIO induce una variazione alla distribuzione del suddetto campo elettrico ELE determinando una variazione della capacità che intercorre tra Al e LIJ. Detta variazione di capacità è rivelata mediante una struttura CHA del tutto simile al sensing ottico.
In FIG. 23 è schematizzata un’altra realizzazione di sensing di tipo capacitivo che utilizza due strutture FRI e FR2 del tutto simili e coplanari all’elemento LIJ. Un segnale di tensione SIG applicato all’elemento FRI determina una campo elettrico parassita ELE col suo omologo FR2. L’interposizione di un elemento biologico BIO nella zona interessata dal suddetto campo induce una variazione del valore di capacità che intercorre tra gli elementi FRI e FR2. Detta variazione è rivelata mediante una struttura CHA del tutto simile ai casi precedenti.
Per ottimizzare l’occupazione di spazio è possibile prevedere diverse disposizioni di LIJ, SIJ ed MIJ all’interno della generica cella, in cui generalmente l’elettrodo e/o il sensore sono realizzati sopra i circuiti facente parte della stessa cella.
Un dispositivo come quello descritto permette in linea di principio di immettere il campione nella regione adibita alla manipolazione attraverso degli appositi strumenti noti agli esperti del settore (micropompe, siringhe ecc.) in modo del tutto automatico oppure manualmente a seconda delle esigenze dell’utenza; se il campione contiene una pluralità di microorganismi è possibile lavorare sulle frequenze per cui, la particolare specie contenuta nel campione sulla quale si vogliono eseguire una serie di operazioni, subisce una adeguata forza di dielettroforesi negativa; in questo modo, è possibile intrappolare questi corpi all’interno delle buche di potenziale e farle compiere tragitti più o meno lunghi aU’interno del dispositivo stesso. Durante tutte queste operazioni il compito svolto dai sensori è quello di monitorare la presenza di un qualche corpo in corrispondenza di ciascuna buca, permettendo in questo modo un controllo sulle operazioni da eseguire e sulla programmazione del dispositivo e permettendo una rappresentazione virtuale (ad esempio di tipo grafica) dello stato del sistema al calcolatore al fine di ottimizzare l interfacciamento del dispositivo con l’utente nelle operazioni di programmazione e di analisi dei risultati.
La possibilità di spostare in modo del tutto flessibile una od un gruppo di particelle da una posizione iniziale ad una finale consente di programmare il dispositivo per compiere diverse funzioni: un esempio è quello di separare una particolare specie da un miscuglio di organismi in base alle loro proprietà dielettriche e conduttive oltre che fisiche; inoltre la capacità di spostare i corpi levitati consente di ridurre ai minimi termini la manipolazione del liquido con scomodi e costosi sistemi fluido-dinamici, permettendo di accumulare i corpi selezionati in una regione o camera del sistema, facendo muovere le particelle anziché il liquido, evitando in questo modo stress da attriti e contatti. Un’altra applicazione possibile con lo stesso dispositivo è quella di far interagire due o più microorganismi semplicemente facendo muovere le gabbie, aH’interno delle quali sono intrappolati i còrpi, verso una regione dello spazio in cui far interagire gli organismi e forzando le gabbie di potenziale verso la stessa posizione.
Un’altra operazione che lo stesso dispositivo permette di eseguire su di un campione biologico è per esempio la caratterizzazione delle proprietà fisiche di una popolazione o degli elementi componenti la popolazione. Questo può essere fatto ancora una volta sfruttando il principio delle gabbie mobili; la mobilità di queste, infatti dipende fortemente dalle proprietà fisiche della specie organica che viene sottoposta ad analisi: dimensioni fisiche, peso, proprietà dielettriche e conduttive, frequenza sono le principali caratteristiche rispetto alle quali è possibile effettuare una analisi comportamentale e di conseguenza uno studio delle caratteristiche e proprietà della specie. Ancora una volta la matrice di sensori integrati permette di eseguire le operazioni in modo del tutto automatico grazie anche al supporto di strumenti software adeguati.
Gli esempi di applicazioni citati non esauriscono il panorama dei potenziali utilizzi del sistema inventato nell’ambito degli studi e delle ricerche nelle discipline biologiche, mediche, farmaceutiche; il ruolo strategico svolto dal sistema oggetto della presente invenzione è garantito dalla estrema economicità, da grande versatilità (adatta a chi svolge ricerche) e da una eccezionale semplicità di uso, grazie alla gestione automatica di operazioni delicate e complesse, grazie all’uso di strumenti software flessibili, eventualmente facenti uso di algoritmi di intelligenza artificiale e grazie alla rappresentazione virtuale delle informazioni ricavate dai sensori.
si intende inoltre sottolineare che il trovato così concepito è suscettibile di numerose modifiche e varianti, tutte rientranti nell’ambito del concetto inventivo, inoltre tutti i dettagli sono sostituibili con altri tecnicamente equivalenti.
Infine i materiali usati nonché le dimensioni e le proporzioni del trovato possono essere variati a seconda delle esigenze, ad esempio per favorire un determinato modo di impiego o una determinata gamma di utenti.
Applicazioni: Esempio 2
Oltre le applicazioni classiche che è possibile riprodurre con la topologia più generica del dispositivo oggetto della presente invenzione, alcune operazioni intrattabili con i dispositivi citati nell’arte nota, quali l’isolamento di singoli microorganismi di dimensioni micrometriche e sub-micrometriche contenuti in un campione assieme ad un grande numero di altri corpi appartenenti alla stessa specie, possono essere eseguite grazie alla possibilità di avvalersi delle tecniche di produzione standard dei circuiti microelettronici planari che ci consentono di produrre sistemi con celie di dimensioni sub-micrometriche. Se consideriamo la distribuzione tipica del potenziale (P in FIG. 18) all’interno del dispositivo, il suo andamento lungo una sezione orizzontale passante per il centro della buca presenta due valori di massimo locale, rappresentanti i confini della buca in una delle direzioni spaziali (X in FIG. 18); se la distanza relativa (DP in FIG. 18) tra le due estremità risulta inferiore a due volte il raggio della particella da isolare (R in FIG.
18), una sola delle particelle presenti nelle immediate vicinanze della gabbia contiene il baricentro all’interno della buca; pertanto se la buca è già occupata, le altre subiscono una forza netta tendente ad allontanarle verso le buche adiacenti eventualmente non ancora occupate o verso buche di debordo laterali dedicate al contenimento delle particelle scartate (a seconda della topologia scelta). Se inoltre l’operazione vuole essere eseguita su tutte le particelle contenute nel campione è evidente che la densità delle particelle deve essere inferiore a quella delle celle contenute nel dispositivo.
Considerando la topologia generica presentata nell’esempio precedente, Tunica limitazione nelle dimensioni delle gabbie di potenziale è rappresentata dalla occupazione di area della circuiteria da associare a ciascun elettrodo (quest’ultime dipendono dalla tecnologia utilizzata). Per superare questo ostacolo si può usare una topologia differente; a tale proposito si faccia riferimento alla descrizione dell’esempio successivo dedicato alla descrizione di topologie alternative a quella generica, topologie meno flessibili ma ottimizzate dal punto di vista della dimensione delle buche, dedicate quindi alle applicazioni più critiche che richiedono maggiore sensibilità, quali al manipolazione o il conteggio di singoli microorganismi di dimensioni sub-micrometriche, ecc.
Applicazioni: Esempio 3
Per tutte quelle applicazioni che richiedono la creazione di gabbie di potenziale di dimensioni tanto ridotte da non riuscire ad inglobare in una singola cella tutta la circuiteria necessaria alla programmazione dell’elettrodo, è possibile utilizzare topologie differenti da quella generale la fine di ottimizzare l’area disponibile.
Per esempio per recuperare il 25% di spazio da dedicare alla circuiteria per la programmazione degli elettrodi, è possibile, lasciando intatto il resto della struttura, inserire nella matrice un elettrodo su quattro non programmabile (LN in FIG. 19), seppure collegato alle piste che distribuiscono i segnali (FS in FIG. 15). In questo modo le direzioni di moto consentite (DR in FIG. 19) sono ridotte ad una riga su due e ad una colonna su due. La cella elementare (LL in FIG. 19), ripetuta la quale si crea la matrice, è costituita in tal caso da 4 elettrodi, tre elementi di memoria per la programmazione di tre dei quattro elettrodi ed eventualmente tre sensori di posizione, opportunamente distribuiti nello spazio disponibile sotto LL.
Applicazioni: Esempio 4
La possibilità dì intrappolare in una gabbia di potenziale una singola particella, unita alla possibilità di monitorare la presenza/assenza di un corpo all’interno della gabbia, ci permette di eseguire una serie di applicazioni altrimenti impossibili. Un esempio di operazione che è possibile compiere su di un campione, dopo che questo è stato filtrato (magari con lo stesso dispositivo, programmato come filtro), contenente pertanto una sola specie organica, è il conteggio dei corpi presenti, operazione è di gran lunga più complessa e delicata di una semplice stima della densità di organismi che popolano un campione di liquido.
Questa operazione può essere eseguita con un dispositivo la cui topologia rispecchia la struttura generale della presente invenzione. La dimensione delle buche deve essere tale da poter contenere una sola particella, come descritto in precedenza; in questo modo siamo sicuri che il numero di gabbie occupate coincida con il numero di corpi intrappolati. La distribuzione dei segnali sulla matrice e sulPelettrodo superiore può essere di vario tipo, purché si creino nello spazio dedicato alla manipolazione del campione una serie di gabbie posizionate in corrispondenza dei sensori di posizione. A questo punto, dopo un transitorio iniziale indispensabile per l’intrappolamento stabile dei corpi, si effettua una scansione della matrice per monitorare la presenza di un corpo in corrispondenza degli elettrodi su cui si è creata una gabbia di potenziale. Un semplice contatore è, a questo punto, sufficiente per fornire il risultato finale.
In alcuni casi, potrebbe non essere possibile, conservando la topologia generale del sistema, riuscire a creare delle gabbie di potenziale delle dimensioni richieste. A tale proposito torna utile sfruttare le tecniche di ottimizzazione dell’area menzionate in precedenza; ad esempio si possono disporre sulla matrice di una sola colonna (SC in FIG. 20) i sensori (SI in FIG. 20) dedicati alla monitorazione della presenza di particelle. Si creano delle gabbie di potenziale disposte in modo regolare su alcune delle righe presenti nella matrice di elettrodi; il conteggio viene effettuato facendo traslare le buche nelle direzioni (DR in FIG. 20) prestabilite, in modo che le buche passino dalla matrice di elettrodi verso una camera adibita al raccoglimento delle particelle contate (CB in FIG. 20) attraversando i sensori. In tal caso le direzioni di moto verticali risultano inutili, pertanto si inseriscono degli elettrodi non programmabili (LN in FIG.
20) al fine di ottimizzare il consumo dell’area disponibile per la circuiteria da dedicare alla programmazione degli elettrodi. In questo modo un solo elettrodo su due richiede di essere programmato consentendo un risparmio del 50% sul consumo di area per la programmazione e del 100% per la sensoristica.
Alla fine della traslazione sarà noto il numero di particelle nella camera di raccoglimento (CB in FIG. 20) grazie al conteggio effettuato nella colonna dotata di sensori (SC in FIG. 20).
Lo svantaggio presentato da questo dispositivo rispetto a quello che fa uso della topologia generale consiste nel maggior tempo richiesto per ottenere il risultato del conteggio; tale tempo dipende anche dalle dimensioni del dispositivo ed in particolare dal numero di elettrodi presenti su di una riga. Il vantaggio è che ci consente di ridurre le dimensione delle gabbie permettendoci di effettuare il conteggio di corpi di dimensioni ridotte. Un approccio alternativo per il conteggio di particelle dì piccole dimensioni è costituito dall utilizzo di sensori con un segnale di uscita proporzionale al numero delle particelle contenute nella buca. In tal caso non è indispensabile creare delle buche tanto piccole da poter contenere una sola particella, in quanto, anche se ciascuna buca contiene più particelle, è possibile ricostruire il numero complessivo sommando le quantità di particelle relative a ciascuna buca.
RIVENDICAZIONI
1. Metodo e/o apparato per la manipolazione di particelle di almeno un tipo (BIO), immerse in un liquido o semi-liquido (L), caratterizzato dal fatto di comprendere:
(a) un primo substrato (A3);
(b) una prima schiera di elettrodi (MI) realizzati su detto primo substrato (A3), detta schiera comprendente una pluralità di elettrodi;
(c) una seconda schiera di elettrodi (M2), comprendente almeno un elettrodo, affacciata a e separata da detta prima schiera di elettrodi (MI) essendo dette particelle (BIO) e detto liquido o semi-liquido (L) posti nello spazio libero tra dette prima (Mi) e seconda schiera di elettrodi (M2);
(d) mezzi per applicare ad una prima parte (LP) di detta prima schiera di elettrodi (Mi) un primo potenziale elettrico costante o variabile;
(e) mezzi per applicare ad almeno una seconda parte di detta prima schiera di elettrodi (MI) almeno un secondo potenziale elettrico costante o variabile diverso da detto primo potenziale elettrico;
(f) mezzi per applicare ad almeno una parte di detta seconda schiera di elettrodi (M2) almeno un terzo potenziale elettrico costante o variabile;

Claims (17)

  1. dall utilizzo di sensori con un segnale di uscita proporzionale al numero delle particelle contenute nella buca. In tal caso non è indispensabile creare delle buche tanto piccole da poter contenere una sola particella, in quanto, anche se ciascuna buca contiene più particelle, è possibile ricostruire il numero complessivo sommando le quantità di particelle relative a ciascuna buca. RIVENDICAZIONI 1. Metodo e/o apparato per la manipolazione di particelle di almeno un tipo (BIO), immerse in un liquido o semi-liquido (L), caratterizzato dal fatto di comprendere: (a) un primo substrato (A3); (b) una prima schiera di elettrodi (MI) realizzati su detto primo substrato (A3), detta schiera comprendente una pluralità di elettrodi; (c) una seconda schiera di elettrodi (M2), comprendente almeno un elettrodo, affacciata a e separata da detta prima schiera di elettrodi (MI) essendo dette particelle (BIO) e detto liquido o semi-liquido (L) posti nello spazio libero tra dette prima (Mi) e seconda schiera di elettrodi (M2); (d) mezzi per applicare ad una prima parte (LP) di detta prima schiera di elettrodi (Mi) un primo potenziale elettrico costante o variabile; (e) mezzi per applicare ad almeno una seconda parte di detta prima schiera di elettrodi (MI) almeno un secondo potenziale elettrico costante o variabile diverso da detto primo potenziale elettrico; (f) mezzi per applicare ad almeno una parte di detta seconda schiera di elettrodi (M2) almeno un terzo potenziale elettrico costante o variabile; essendo detti primo, secondo e terzo potenziali elettrici scelti per creare un campo di forza elettrica detto campo comprendendo per ciascun elettrodo o pluralità di elettrodi di detta seconda schiera (M2) sottoposti al medesimo potenziale almeno una superficie chiusa (Si) su cui è costante il valore efficace del campo elettrico, detta superficie (Si) essendo posizionata interamente nello spazio tra detto elettrodo o pluralità di elettrodi di detta seconda schiera (M2) sottoposti al medesimo potenziale e detta prima schiera di elettrodi (Mi).
  2. 2. Metodo e/o apparato secondo la rivendicazione 1, caratterizzato dal fatto che detta seconda schiera di elettrodi (M2) è realizzata su un secondo substrato (Al).
  3. 3. Metodo e/o apparato secondo la rivendicazione 1, caratterizzato dal fatto che detto primo substrato (A3) contiene almeno un tipo di sensore (SIJ) in grado di rilevare la presenza di una o più di dette particelle (BIO) di almeno un tipo.
  4. 4. Metodo e/o apparato secondo la rivendicazione 2, caratterizzato dal fatto che detto primo substrato (A3) e/o secondo substrato contiene almeno un tipo di sensore in grado di rilevare la presenza di una o più di dette particelle di almeno un tipo.
  5. 5. Metodo e/o apparato secondo la rivendicazione 3 o 4, caratterizzato dal fatto che almeno un tipo di detto sensore (SIJ) è capacitivo.
  6. 6. Metodo e/o apparato secondo la rivendicazione 5, caratterizzato dal fatto che la presenza di una o più di dette particelle (BIO) viene rilevata mediante la variazione della capacità tra un elettrodo (Al) di detta seconda schiera di elettrodi (M2) ed almeno un elettrodo (LIJ) di detta prima schiera di elettrodi (Mi).
  7. 7. Metodo e/o apparato secondo la rivendicazione 5, caratterizzato dal fatto che la presenza di una o più di dette particelle (BIO) viene rilevata mediante la variazione della capacità tra un primo elettrodo (FRI) di detta prima schiera di elettrodi (Mi) ed almeno un secondo elettrodo (FR2) di detta prima schiera di elettrodi (MI).
  8. 8. Metodo e/o apparato secondo la rivendicazione 1, caratterizzato dal fatto che detta seconda schiera di elettrodi (M2) è parzialmente trasparente.
  9. 9. Metodo e/o apparato secondo le rivendicazioni 3 e 8, caratterizzato dal fatto che almeno un tipo di detto sensore (SIJ) è costituito da un foto-rivelatore (CPH).
  10. 10. Metodo e/o apparato secondo la combinazione delle rivendicazioni 5 e 9.
  11. 11. Metodo e/o apparato secondo una o più delle rivendicazioni precedenti caratterizzato dal fatto che dette superfìci chiuse (Si) possono essere allargate o ristrette, e/o traslate, e/o, create o annullate, mediante una variazione di almeno uno di detti potenziali elettrici applicati.
  12. 12. Metodo e/o apparato secondo una o più delle rivendicazioni precedenti, caratterizzato dal fatto che comprende mezzi (FM) per far fluire a e/o defluire da detto spazio tra dette prima (MI) e seconda (M2) schiera di elettrodi detto liquido o semi-liquido (L).
  13. 13. Metodo e/o apparato secondo una o più delle rivendicazioni precedenti, caratterizzato dal fatto che dette prima (MI) e seconda schiera (M2) di elettrodi sono separate mediante uno strato distanziatore (A2) interposto tra detto primo substrato (A3) e detta seconda schiera (M2), detto distanziatore (A2) avendo almeno una apertura formante almeno una camera tra detti primo substrato (A3) e seconda schiera (M2).
  14. 14. Metodo e/o apparato secondo una o più delle rivendicazioni precedenti, caratterizzato dal fatto che dette prima e seconda schiera di elettrodi sono separate mediante uno strato distanziatore integrato in detto primo substrato (A3) e/o detta seconda schiera di elettrodi (M2).
  15. 15. Metodo e/o apparato secondo una o più delle rivendicazioni precedenti, caratterizzato dal fatto che almeno un elettrodo (LIJ) di detta prima schiera (MI) di elettrodi di detto primo substrato (A3), è connesso ad un circuito (MIJ) per la programmazione dell’elettrodo, e ad un sensore (SIJ) connesso a sua volta a detto circuito per la programmazione (MIJ), detto circuito (MIJ) di programmazione dell’elettrodo essendo connesso a piste (FS) per la distribuzione di segnali agli elettrodi, ed essendo connesso a piste (XI,YJ) per la selezione dell’elettrodo e per la lettura del sensore.
  16. 16. Metodo e/o apparato secondo una o più delle rivendicazioni precedenti, caratterizzato dal fatto che detti elettrodi (LIJ) di detta prima schiera (Mi) sono di forma rettangolare o esagonale.
  17. 17. Metodo e/o apparato secondo una o più delle rivendicazioni precedenti, caratterizzato dal fatto che detta seconda schiera (M2) di elettrodi è costituita da un unico elettrodo.
IT1999BO000262A 1999-05-18 1999-05-18 Metodo ed apparato per la manipolazione di particelle per mezzo delladielettroforesi IT1309430B1 (it)

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