ITTO20010801A1 - Metodo e dispositivo per analisi biomolecolari integrate. - Google Patents

Metodo e dispositivo per analisi biomolecolari integrate. Download PDF

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ITTO20010801A1
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IT
Italy
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electrodes
lij
cages
dielectrophoresis
Prior art date
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IT2001TO000801A
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Inventor
Gianni Medoro
Luigi Altomare
Marco Tartagni
Roberto Guerrieri
Nicolo' Manaresi
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Silicon Biosystems S R L
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    • BPERFORMING OPERATIONS; TRANSPORTING
    • B03SEPARATION OF SOLID MATERIALS USING LIQUIDS OR USING PNEUMATIC TABLES OR JIGS; MAGNETIC OR ELECTROSTATIC SEPARATION OF SOLID MATERIALS FROM SOLID MATERIALS OR FLUIDS; SEPARATION BY HIGH-VOLTAGE ELECTRIC FIELDS
    • B03CMAGNETIC OR ELECTROSTATIC SEPARATION OF SOLID MATERIALS FROM SOLID MATERIALS OR FLUIDS; SEPARATION BY HIGH-VOLTAGE ELECTRIC FIELDS
    • B03C5/00Separating dispersed particles from liquids by electrostatic effect
    • B03C5/005Dielectrophoresis, i.e. dielectric particles migrating towards the region of highest field strength
    • GPHYSICS
    • G01MEASURING; TESTING
    • G01NINVESTIGATING OR ANALYSING MATERIALS BY DETERMINING THEIR CHEMICAL OR PHYSICAL PROPERTIES
    • G01N33/00Investigating or analysing materials by specific methods not covered by groups G01N1/00 - G01N31/00
    • G01N33/48Biological material, e.g. blood, urine; Haemocytometers
    • G01N33/50Chemical analysis of biological material, e.g. blood, urine; Testing involving biospecific ligand binding methods; Immunological testing
    • G01N33/53Immunoassay; Biospecific binding assay; Materials therefor
    • G01N33/543Immunoassay; Biospecific binding assay; Materials therefor with an insoluble carrier for immobilising immunochemicals
    • G01N33/54366Apparatus specially adapted for solid-phase testing
    • G01N33/54373Apparatus specially adapted for solid-phase testing involving physiochemical end-point determination, e.g. wave-guides, FETS, gratings
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Description

D E S C R I Z I ON E
di brevetto per invenzione industriale
CAMPO DELLA TECNICA
La presente invenzione si riferisce ad un metodo di analisi biologica molecolare che utilizza forze di dielettroforesi per manipolare in modo opportuno e con alta processività componenti biologici. In particolare, il metodo secondo l'invenzione permette di controllare la forza di legame tra proteine e/o identificare presenza e quantità di proteine in un campione, di assemblare schiere di punti di test, di controllare la conione delle proteine da testare, e fa opzionalmente uso di sensori integrati nel dispositivo di test per la rilevazione dei risultati. L'invenzione si riferisce inoltre ad un dispositivo per la realizzazione del suddetto metodo, provvisto dei detti sensori integrati .
STATO DELLA TECNICA
Moltissime metodiche immunologiche sono state sviluppate in questi anni per la determinazione degli antigeni e degli anticorpi, sia per scopi puramente scientifici sia per quelli diagnostici.
Saggi immunologici
I saggi o test immunologici usano una serie di metodiche molto potenti per rilevare e misurare antigeni e anticorpi. Sono disponibili anticorpi specifici per un numero sempre maggiore di antigeni, solubili, immobilizzati (a piastre, resine o membrane) coniugati e non. Inoltre, il continuo ampliamento della gamma di sistemi di rivelazione dei complessi antigeneanticorpo, unitamente al miglioramento della loro sensibilità, hanno contribuito ad estendere enormemente le potenzialità ed il campo di applicabilità delle reazioni e delle tecniche immunologiche. Quando si tratta di antigeni e anticorpi solubili, i saggi si basano sulla marcatura di uno dei reagenti, sulla formazione di immunocomplessi che precipitano, o sulla misurazione di una funzione effettrice dell'anticorpo.
Per molto tempo il sistema più sensibile a disposizione è stato il RIA (radioimmunoassay) sviluppato da Yarlow e Benson nel 1960. Questa metodica, in ogni modo, presenta numerosi svantaggi fra cui la necessità di usare apparecchiature speciali, di usare particolari precauzioni contro le radiazioni (e anche di formare personale specializzato), e la bassa vita media degli isotopi radioattivi utilizzati per la marcatura. Ciò ha portato ben presto all'idea di sostituire la marcatura isotopica con quella enzimatica. I primi lavori sui saggi immunoenzimatici (EIA, enzymatic immunoassay) sono stati realizzati da Schuurs e collaboratori e rivelati in una serie di brevetti: U.S. Pat. Nos.
3,654,090; 3,791,932; e successivi. Tra i metodi EIA rientrano l’ELISA (Enzyme-Linked ImmunoadSorbent Assay) e le sue numerose varianti, che sono le metodiche d'elezione usate attualmente sia nella ricerca, sia nella diagnostica. I saggi EIA-ELISA si distinguono in competitivi e non competitivi, che a loro volta possono essere omogenei o eterogenei. Mentre i saggi omogenei non richiedono alcuna separazione fisica, in quelli eterogenei è richiesta una separazione della frazione di antigene libero da quella di antigene legato all'anticorpo, ottenuta mediante un sistema 4n— fase solida, costituto generalmente da supporti di polistirene, cellulosa, nylon, su cui sono immobilizzati gli anticorpi. I supporti sono di solito micropiastre da 96 e 384 pozzetti oppure microstrips da 8, 12 e 16 pozzetti. Ma possono essere costituiti anche da singole provette o palline (dette anche microsfere o microbeads), su cui sono immobilizzati antigeni o anticorpi. I saggi immunoenzimatici competitivi sono quelli in cui 1’anticorpo è presente in concentrazione limitata. Nei saggi non competitivi o saggi immunometrici, invece, viene utilizzato un notevole eccesso di anticorpo coniugato con l'enzima per ottenere il massimo segnale dell'antigene. Tra i saggi immunoenzimatici non competitivi, il siste-ma più usato prevede la cattura degli antigeni dal cam-pione sulla parete di microcellette ricoperte da anticorpi, in genere monoclonali (mAb). L'antigene cattura-to viene evidenziato ricoprendolo con un secondo strato di anticorpi specifici (anticorpi secondari) con o sen-za ulteriori fasi di amplificazione. L'anticorpo secon-dario è spesso coniugato a un enzima e la trasformazio-ne del substrato specifico per quell'enzima è la dimo-strazione della presenza di un dato antigene: questa tecnica è nota come ELISA sandwich .
La vasta gamma di substrati per enzimi marcanti disponibili—permette di scegliere tra diversi metodi di rivelazione. I substrati sono reagenti che permettono la visualizzazione, qualificazione e/o quantificazione di un analita di interesse in un saggio immunoenzimatico. I substrati possono essere cromogenici, chemiluminescenti o fluorescenti. I substrati cromogenici produ-cono un composto colorato che può essere individuato visivamente e quantificato con uno spettrofotometro. I substrati chemiluminescenti producono luce che può essere misurata utilizzando un luminometro o essere registrata in modo permanente mediante esposizione di un film a raggi X. I substrati fluorescenti, invece, emettono fluorescenza che viene misurata con un fluorimetro. I substrati cromogenici e chemiluminescenti sono mezzi eccellenti per la rivelazione di coniugati marca-ti con enzimi indirettamente legati a un supporto soli-do. Gli enzimi comunemente usati allo scopo sono la perossidasi, generalmente quella estratta da radice di rafano (o HRP=Horse Radish Peroxidase), che catalizza la scissione di H202, la fosfatasi alcalina (o AP=Alkaline Phosphatase), che rimuove il fosfato da mo-lecole fosforilate, e la β-galattosidasi (β-Gal), che idrolizza il lattosio. La conversione di molteplici mo-lecole di substrato da parte di una singola molecola di enzima produce una notevole amplificazione del segnale ma, se si utilizza un substrato luminogenico oppure fluorogenico, il rapporto segnale/massa è ancora mag-giore, simile a quello che si ottiene dai RIA.
Le metodiche EIA, pur nella loro potenza, presen-tano il grosso limite della bassa produttività (in quanto risulta difficoltoso effettuare molte analisi in parallelo) dovuta principalmente alla scarsa integrazione disponibile dalla varie attrezzature necessarie allo svolgimento della procedura. Ciò rende difficilmente realizzabile il processamento di migliaia di campioni in contemporanea e, comunque, in tempi brevi che sta diventando sempre più fondamentale nella moderna ricerca e diagnostica. Inoltre vi può essere un consumo relativamente elevato di reagenti costosi.
Microsfere marcate
Anche per superare i citati inconvenienti, l'utilizzo di microsfere marcate selettivamente tramite diverse metodiche di fluorescenza sta acquistando sempre più importanza nel settore delle biotecnologie. Di particolare rilevanza in questo settore sono i brevetti:
WO 00/68692 della Quantum Dot Corporation in cui vengono descritti diversi metodi di saggio che utilizzano nanocristalli di semiconduttore, che emettono ciascuno a distinte lunghezza d'onda, come marcatori specifici per diverse microsfere;
WO 01/13120 Al della Luminex Corporation in cui vengono descritte microparticelle che emettono segnali multipli di fluorescenza e metodi per il loro utilizzo in un sistema citofluroimetrico.
Sensori molecolari basati su risonanza-plasmonica superficiale
Il brevetto US5641640 assegnato a Biacore AB, riporta un sistema per l'analisi di campioni biologici che utilizza la risonanza-plasmonica superficiale. Molecole di un campione vengono flussate in sospensione in una camera, sulla cui superficie sono immobilizzate molecole potenzialmente in grado di accoppiarsi a quelle nel campione. L'accoppiamento delle molecole viene rilevato misurando indirettamente la variazione di indice di rifrazione causato dall'accoppiamento stesso delle molecole alla superficie grazie alla riflessione superficie stessa di una sorgente di luce appropriata.
La dielettroforesi
La dielettroforesi riguarda il fenomeno fisico per cui corpi dielettrici, sottoposti all'azione di campi elettrici continui e/o alternati spazialmente non uniformi, subiscono una forza netta agente verso le regioni dello spazio in cui l'intensità del campo è crescente (dielettroforesi positiva o pDEP) o decrescente (dielettroforesi negativa o nDEP). Se l'intensità delle forze è paragonabile a quella della forza peso è possibile, in linea di principio, creare un equilibrio di forze per ottenere la levitazione di piccoli corpi. L'intensità della forza di dielettroforesi, così come la direzione verso cui agisce, dipende fortemente dalle proprietà dielettriche e conduttive del corpo e del mezzo in cui il corpo è immerso, proprietà che variano in funzione della frequenza.
Gli studi condotti sull'analisi degli effetti delle forze di dielettroforesi su particelle (d'ora in poi si intenderà con il termine "particelle" , i corpi od elementi manipolati dielettroforeticamente) costituite da entità biologiche (qui e di seguito per "entità biologiche" si deve intendere cellule, microorganismi, o loro parti, quali'DNA, proteine, ecc.) o da oggetti artificiali costituiti da materiali inorganici hanno suggerito da tempo l'idea di sfruttare tali forze per la selezione di una particolare particella da un campione contenente una pluralità di particelle, la caratterizzazione delle proprietà fisiche di microorganismi e in generale la loro manipolazione. A tale proposito si è rivelato utile l'utilizzo di sistemi di dimensioni paragonabili a quelli dei microorganismi che si vuole manipolare, al fine di ridurre l'entità delle tensioni per la creazione delle distribuzioni di campo necessarie alla manifestazione degli effetti descritti.
Le forze cui sono soggette le particelle che subiscono il fenomeno della dielettroforesi sono funzione del volume della particella; si è pensato perciò per molto tempo che esistesse un limite minimo nelle dimensioni della particella al di sotto del quale la forza di dielettroforesi sarebbe stata superata dal moto Browniano. Si riteneva che sarebbero stati necessari campi elettrici di tale magnitudine che il riscaldamento locale del fluido avrebbe accresciuto il flusso locale prevenendo di fatto la manipolazione dielettroforetica. Pohl (1978) speculava che particelle più piccole di 500nm avrebbero richiesto campi elettrici troppo forti per essere intrappolate contro il moto Browniano. Il primo gruppo ad abbattere questa soglia è stato quello di Washizu (Washizu et al., Trans. Ind. Appi.
30:835-843, 1994) che hanno usato la dielettroforesi positiva per precipitare proteine piccole fino a 25kDa. Questo passo verso il basso è stato favorito dal miglioramento delle tecnologie di fabbricazione degli elettrodi, principalmente dall'uso della fabbricazione con fasci di elettroni. Successivamente Fuhr e collaboratori (Fuhr, 1995, Proc. St. Andrews Meeting of Society for Experimental Biology p.77; Mueller et al., 1996, J. Phys. D: Appi. Phys. voi.29:340-349) e Green et al., (Green et al., 1995, Proc. St. Andrews Meeting of Society for Experimental Biology p.77; Green et al., 1997, J. Biochem. Biophys. Methods voi.35:89-102) hanno dimostrato che virus del diametro di lOOnm potevano essere manipolati tramite l'utilizzo di dielettroforesi negativa. E' stato anche dimostrato che microsfere di lattice di 14nm di diametro potevano essere intrappolate sia con la dielettroforesi positiva sia con quella negativa (Mueller et al., 1996, J. Phys. D: Appi. Phys. voi .29:340-349). Lavori successivi hanno dimostrato che molecole della proteina da 68 kDa avidina possono venire concentrate da soluzioni usando sia la dielettroforesi positiva sia quella negativa (Bakewell et al., 1998, Proc. 20th Ann. Int. Coni. IEEE Eng. Med. Biol. Soc. 20, 1079-1082)
La domanda di brevetto PCT/WO 00/47322 descrive un apparato e metodo per la manipolazione di particelle tramite l'utilizzo di gabbie di potenziale dielettroforetico chiuse, che sono generate tra elettrodi adiacenti di una matrice o "array" di elettrodi selettivamente e singolarmente attivabili ed indirizzabili.
La domanda di brevetto PCT/WO 00/69565, a nome della stessa Richiedente, descrive un apparato più efficiente del precedente e vari metodi per la manipolazione di particelle, tramite— t'utilizzo di gabbie di potenziale dielettroforetico chiuse. Il dispositivo descritto in quest'ultima domanda PCT è illustrato in Figura 1 ed è costituito da due moduli fondamentali; il primo è costituito da una distribuzione regolare (matrice o "array" MI) di elettrodi LIJ disposti su di un supporto isolante (01 in Fig. 1). Gli elettrodi LIJ possono essere di un materiale conduttore qualunque con preferenza per i metalli compatibili con la tecnologia di integrazione elettronica, mentre il mezzo isolante 01 può essere ossido di silicio o un qualunque altro materiale isolante.
La forma degli elettrodi della matrice può essere di vario tipo; in FIG. 1 sono rappresentati elettrodi di forma quadrata. Ciascun elemento della matrice MI è costituito da un elettrodo LIJ attivabile ed indirizzabile selettivamente per generare una gabbia dielettroforetica SI (Fig. 1) adibita alla manipolazione della particella, in generale costituita da una entità biologica (BIO in Fig.l); tutto avviene in ambiente liquido o semiliquido (L in Fig. 1).
Nella regione sottostante agli elettrodi (C in Fig. 1) possono trovarsi circuiti integrati per il sensing, cioè sensori, che possono essere di vario tipo, in grado di rilevare la presenza della particella 'interno delle gabbie di potenziale generate dagli elettrodi.
Nella realizzazione preferenziale il secondo modulo principale è costituito sostanzialmente da un unico grande elettrodo M2, che copre l'intero dispositivo. Infine può essere presente una struttura di supporto superiore (02 in Fig. 1). La forma più semplice da dare all'elettrodo M2 è quella di una superficie piana e omogenea; sono possibili altre forme più o meno complesse (per esempio una griglia più o meno fitta al fine di permettere alla luce di passare attraverso).
Il materiale più adatto da usare per l'elettrodo superiore è quello di un materiale conduttore e trasparente. In questo modo è possibile affiancare ai sensori eventualmente integrati nel dispositivo tradizionali metodi di ispezione ottica dall'alto del dispositivo (microscopio e telecamera).
Uno degli aspetti peculiari dell'invenzione descritta nella domanda PCT PCT/WO 00/69565, il cui contenuto viene qui incorporato per le parti necessarie per semplice riferimento, consiste nella possibilità di realizzare sullo stesso substrato sia gli elementi di attuazione, in grado di manipolare le particelle (entità biologiche), che i dispositivi di rilevamento, o di sensing per le stesse.
SOMMARIO DELL'INVENZIONE
Scopo dell'invenzione è dunque quello di superare gli inconvenienti dei metodi noti sopra descritti per effettuare test biomolecolari di entità biologiche (cellule, microorganismi o parti di essi, in particolare oligonucleotidi, proteine o parti di essi) al fine di poter effettuare in modo rapido, efficiente, economico, preciso ed altamente processivo tali test con un ridotto consumo di reagenti, in particolare di quelli più costosi quali gli anticorpi monospecifici, gli anticorpi marcati ed i substrati.
Qui e nella descrizione che segue, con il termine "proteina" si intende una catena molecolare di aminoacidi legati da legame peptidico; il termine non si riferisce ad una lunghezza specifica: dunque i termini comunemente usati di "polipeptide", "peptide" e "oligopeptide" sono anch'essi inclusi in questa definizione. Il temine include anche modificazioni posttraduzionali della proteina come ad esempio: glicosilazioni, acetilazioni, fosforilazioni e simili. Inoltre, frammenti di proteine, analoghi, mutati o proteine varianti, proteine di fusioni e simili sono anch'essi inclusi nella definizione di proteina.
Con il termine anticorpo come si intende, dove non chiaramente specificato, anticorpi ottenuti da preparazioni policlonali e/o monoclonali, così■come molecole di anticorpo chimeriche, frammenti F(ab')2 e F(ab), molecole Fv anche a singola catena (sFv), construtti dimerici e trimerici di frammenti di anticorpi e qualsiasi frammento ottenuto da queste molecole e simili, qualora mantengano le proprietà di legame specifico della molecola anticorpale d'origine.
Sulla base delle definizioni sopra riportate, è in particolare uno scopo dell'invenzione quello di sfruttare le potenzialità del dispositivo descritto nella domanda PCT/WO 00/69565 per fornire un metodo di analisi biomolecolare integrata su un campione biologico includente entità biologiche incognite, ad esempio specifiche proteine o antigeni oppure specifici anticorpi, tramite entità biologiche note, tipicamente anticorpi, oppure proteine naturali o sintetiche, che sia in grado di venire eseguito con automazione elevata e, in caso di necessità, in parallelo su un elevato numero di campioni, ovvero su numerose entità biologiche diverse presenti in uno stesso campione.
In base alla presente invenzione viene dunque fornito un metodo per effettuare analisi biomolecolari integrate su un campione biologico includente entità biologiche incognite tramite entità biologiche note aventi la capacità di legarsi alle entità biologiche incognite, comprendente le fasi di immobilizzare, direttamente o indirettamente, dette prime entità biologiche su un supporto, contattare dette prime entità biologiche con dette seconde entità biologiche e rivelare l'eventuale interazione di legame tra almeno una parte di dette prime entità biologiche ed almeno una parte di dette seconde entità biologiche; le dette prime entità biologiche essendo costituite da dette entità incognite e le dette seconde entità biologiche essendo costituite da dette entità biologiche note; o viceversa; caratterizzato da fatto che:
(A)- come supporto viene utilizzata una superficie definita da una matrice di primi elettrodi almeno in parte selettivamente attivabili ed indirizzabili, disposti affacciati e distanziati, tramite un distanziatore, ad almeno un secondo elettrodo, in modo da definire tra quest'ultimo, detto distanziatore e detta matrice di primi elettrodi una camera di analisi atta a contenere un ambiente liquido o semiliquido nel quale, tramite detta matrice di primi elettrodi e detto secondo elettrodo vengono selettivamente costituite gabbie chiuse di dielettroforesi per intrappolare e spostare almeno dette seconde entità biologiche nella detta camera;
(B)- detta superficie viene preventivamente trattata in modo da poter realizzare interazioni di legame con dette prime entità biologiche in corrispondenza di detti primi elettrodi.
In particolare, la fase di immobilizzazione comprende le fasi di:
a. introdurre dette prime entità biologiche in sospensione in detta camera, nel detto ambiente liquido o semiliquido;
b. intrappolare e levitare dette prime entità biologiche all'interno di gabbie di potenziale di dielettroforesi generate tra selezionati primi e detto secondo elettrodo;
c. portare selettivamente le dette gabbie di dielettroforesi, con dette prime entità biologiche intrappolate all'interno, in corrispondenza di selezionati primi elettrodi;
d. muovere le gabbie in modo da realizzare in corrispondenza dei detti selezionati primi elettrodi dette interazioni di legame tra dette prime entità biologiche e gli elettrodi e conseguentemente immobilizzare su questi ultimi dette prime entità biologiche secondo uno schema (patterning) prefissato
Una delle peculiarità del metodo secondo la pre-sente invenzione consiste inoltre nella possibilità di concentrare gli antigeni e/o gli anticorpi che prendono parte all'analisi attirandoli nelle gabbie di forza dielettroforetica. Fra le altre caratteristiche -proprie del metodo vi sono inoltre quelle di generare, tramite manipolazione dielettroforetica della popolazione proteica di interesse, micromatrici proteiche che possono poi venire saggiate per la capacità di legarsi ad altre proteine (antigeni o anticorpi). Inoltre, la specifici-tà del legame antigene-anticorpo può venire saggiata elettronicamente provando a separare le proteine legate cercando di riportarne una dentro le gabbie dielettroforetiche variando la forza e/o la frequenza peculiare della gabbia. La rilevazione del test può avvenire sfruttando le metodiche standard (sviluppo di fluorescenza, luminescenza o colore) tramite sensori ottici, che possono essere esterni (microscopio e telecamera) oppure integrati nel dispositivo. Alternativamente si può usare una metodica che sfrutta sensori capacitivi integrati nel dispositivo per rilevare la formazione dei complessi antigene-anticorpo.
E' inoltre uno scopo dell'invenzione quello di fornire un dispositivo per analisi biologiche molecolari altamente compatto, economico, affidabile ed in grado di operare in modo totalmente automatizzato e con tempi rapidi di analisi.
In base ad un secondo aspetto del trovato, la presente invenzione è dunque relativa ad un dispositivo per analisi biologiche molecolari tramite la generazione e lo spostamento di gabbie mobili di dielettroforesi comprendente una superficie definita da una matrice di primi elettrodi almeno in parte selettivamente attivabili ed indirizzabili, disposti su un supporto isolante; almeno un secondo elettrodo disposto affacciato ad almeno parte di detta matrice di primi elettrodi; ed un distanziatore per distanziare i primi elettrodi dal detto almeno un secondo elettrodo in modo da definire tra quest'ultimo, detto distanziatore e detta superficie definita da detta matrice di primi elettrodi una camera di analisi atta a contenere un ambiente liquido o semiliquido; caratterizzato dal fatto di comprendere inóltre sensori ottici integrati al di sotto o in prossimità di almeno uno di detti primi elettrodi; detti primi elettrodi comprendendo mezzi per permettere il passaggio di radiazioni elettromagnetiche attraverso i primi elettrodi stessi e verso detti sensori ottici; e, in combinazione, detto dispositivo comprendendo, in corrispondenza di detti primi elettrodi, mezzi per impedire che detti sensori ottici integrati vengano raggiunti da radiazioni di una prima lunghezza d'onda prefissata .
I vantaggi della presente invenzione sono molteplici.
II metodo proposto garantisce un'alta sensibilità dovuta alla possibilità di concentrare le popolazioni proteiche presenti nei campioni attirandole selettivamente all'interno delle gabbie dielettroforetiche. Ciò consente ovviamente sia un risparmio di reagenti che la possibilità di testare campioni al limite delle potenzialità di rilevamento della metodiche standard.
Peculiare è la possibilità di verificare la specificità del saggio tramite il controllo elettronico dell'affinità del legame antigene-anticorpo (binding affinity check), che permette di eliminare falsi positivi generati dalla possibile reattività crociata degli anticorpi, probabilità da non escludere quando si trat-tano migliaia di antigeni o anticorpi in contemporanea. Tale procedura permette anche una valutazione diretta della stabilità del legame antigene-anticorpo.
All'elevata sensibilità raggiungibile con il meto-do secondo la presente invenzione , si associa anche un elevato parallelismo, in quanto il saggio può essere condotto per tutte le proteine in un'unica camera e non in tante camere distinte se pur molto simili. Ciò, uni-to all'alto livello di integrazione e controllo in re-troazione raggiungibile grazie all'automatizzazione permessa dal dispositivo e dal metodo qui proposto, consente di ridurre al minimo la variabilità delle risposte del saggio dovuto ad errori sistematici e casua-li (dovuti agli operatori). Ulteriore vantaggio del me-todo è il sensing integrato, che permette di liberarsi dalla necessità di ingombranti strumenti (fluorimentri, luminometri, ecc..), il più delle volte neanche asso-ciati al dispositivo in cui avviene il test. Nel caso del sensing capacitivo diretto si evita anche la neces-sità di marcare, con procedure generalmente complesse e dispendiose, gli anticorpi per facilitarne la rileva-zione. Anche nel caso della marcatura capacitiva tramite microsfere (indiretta), il procedimento è particolarmente semplice e applicabile anche alle proteine antigeniche .
Nel caso dell'assemblaggio diretto della matrice (array) proteica si può raggiungere una densità elevatissima dell'array, permessa dalla possibilità di assemblare migliaia di proteine diverse sugli elettrodi del dispositivo che presentano un passo (pitch) molto fine .
Ulteriori caratteristiche vantaggi dell'invenzione appariranno chiari dalla descrizione che segue di alcuni suoi esempi di attuazione non limitativi, effettuata con riferimento alle figure dei disegni annessi.
BREVE DESCRIZIONE DELLE FIGURE
Fig.l mostra una visione- tridimensionale schematizzata di una parte del dispositivo di arte nota dedicata alla manipolazione del campione; è evidenziata la struttura modulare formata da un supporto contenente gli elettrodi e da un coperchio.
Fìg. 2 illustra una delle possibili realizzazioni di sensore ottico integrato, secondo la presente invenzione;
Fig. 3 mostra uno schema dettagliato della metodica secondo l'invenzione;
Fig. 4 illustra una modalità del test in cui il campione contente la proteina da individuare viene immobilizzato sugli elettrodi sopra cui verranno generate le gabbie dielettroforetiche;
Fig. 5 mostra un altro modo per effettuare il test immunologico in cui non è necessario movimentare le gabbie;
Fig. 6 mostra la risposta spettrale di emissione di alcune molecole fluorescenti eccitate con un laser monocromatico, che emette radiazione ultravioletta a 405 nm;
Fig. 7 illustrata schematicamente in scala ingrandita un dettaglio della figura 2, corrispondente ad una sezione trasversale della tecnologia planare MOS in corrispondenza di una diffusione di well;
Fig. 8 mostra le risposte spettrali, calcolate matematicamente in base alle equazioni dei dispositivi a semiconduttore, interpolate su dati di assorbimento sperimentali relativi al silicio, delle due giunzioni di fig. 7 per una tipica tecnologia CMOS con definizione di dettagli di 0.7 micron.
DESCRIZIONE DETTAGLIATA
Con riferimento alle figure 1 e 2, il dispositivo noto dalla precedente domanda PCT WO/ 00/69565 (o altro similare) viene dotato, secondo la presente invenzione, di sensori ottici in grado di individuare la presenza/assenza di un elemento biologico sospeso nel tampone all'interno della gabbia di dielettroforesi. Sull'elettrodo LIJ viene praticata un'apertura (finestra) di dimensioni tali da non perturbare significativamente il potenziale dielettroforetico, ma in grado di permettere il passaggio di una certa quantità di radiazione luminosa, proveniente da una sorgente esterna al dispositivo. Il coperchio Al è realizzato mediante arte nota, con materiale semi-trasparente e conduttivo in maniera tale da non impedire il passaggio della radiazione luminosa. Nello spazio sottostante il foro praticato sull'elemento LIJ, viene realizzato su un substrato di silicio C e secondo arte nota un fotodiodo a giunzione CPH operante in accumulo di carica. La presenza/assenza dell'elemento biologico BIO influenzerà la quantità di radiazione luminosa incidente il fotodiodo, determinando una quantità variabile di carica accumulata nel tempo di integrazione. Le variazioni indotte sulla carica accumulata sono rivelate da un convenzionale amplificatore di carica CHA composto da: un amplificatore operazionale, da un condensatore di retroazione e da una tensione di riferimento, VRE. Il collegamento col suddetto amplificatore di carica viene ottenuto abilitando un opportuno interruttore, SWl, eventualmente posto in LIJ. Il fotodiodo e l'amplificatore di carica sono progettati, secondo arte nota, per ottenere un rapporto segnale/disturbo sufficiente a determinare lo stato di presenza o assenza della particella biologica.
La messa in pratica della presente invenzione, impiega, se non altrimenti indicato, metodiche convenzionali di chimica e biochimica che sono d'uso comune e ampiamente già descritte in letteratura. La procedura preferenziale, ma non esclusiva e non intesa in alcun modo come limitante, del metodo viene descritta in Fig. 3.
La procedura inizia con la costruzione dell'array (matrice) proteico da testare; nella Fig. 3 viene riportato l'esempio in cui questo è costituito da proteine antigeniche, ma nulla vieta che possa essere composto anche da proteine anticorpali. Il-campione contente una popolazione omogenea di proteine antigeniche che costituirà il primo elemento della matrice viene introdotta nel dispositivo, nell'ambiente L. La popolazione viene concentrata attirando le molecole all'interno di una singola gabbia dielettroforetica. Movimentando la gabbia le popolazione antigenica in essa contenuta si muove di conseguenza. Tramite la movimentazione dielettroforetica gli antigeni vengono portatati su un selezionato elettrodo LIJ, eventualmente opportunamente funziónalizzato (Fig. 3. 1); in ogni caso la superficie definita dalla matrice di elettrodi LIJ è stata preventivamente trattata in modo noto per poter realizzare interazioni di legame in corrispondenza con gli elettrodi LIJ con le entità biologiche costituite, in questo caso, dagli antigeni. Abbassando la gabbia dielettroforetica, oppure disattivandola e sfruttando la diffusione, parte delle molecole si lega all'elettrodo, eventualmente tramite i gruppi funzionalizzanti, la parte non legata viene rimossa rialzando o riattivando la gabbia e movimentandola lontano dall'elettrodo selezionato (Fig. 3. 2). Questa parte della procedura viene ripetuta sequenzialmente per tutti gli antigeni che devono costituire la matrice (Fig. 3. 3).
Alternativamente la realizzazione della matrice proteica— da testare sugli elettrodi può venire effettuata con le metodiche standard per la realizzazione di microarray come la tecnica dell'ink-jet.
Viene a questo punto introdotto il campione contenente le entità biologiche da testare (miscela di anticorpi - Fig. 3. 4). La popolazione anticorpale viene eventualmente concentrata attirando le molecole all'interno di una singola gabbia dielettroforetica (Fig. 3. 5). La gabbia viene movimentata fino a permettere agli anticorpi in essa contenuta di contattare il primo sito (selezionato elettrodo LIJ o sua prossimità) in cui sono presenti gli antigeni (Fig. 3. 6). A questo punto gli anticorpi specifici per 1'antigene legato al sito eventualmente presenti nel campione si legano ad esso, identificando dunque la presenza ed eventualmente la quantità di proteine anticorpali presenti nel campione. Per allontanare gli anticorpi non specifici e nel contempo verificare la specificità degli eventuali legami antigeni-anticorpo, la gabbia viene allontanata dal sito (Fig. 3. 7), eventualmente variandone le caratteristiche (intensità del campo e frequenza) per variare la forza delle gabbie. La procedura viene ripetuta per tutti i siti che costituiscono la matrice da analizzare (Fig. 3. 8).
La rilevazione del test può avvenire a questo punto sfruttando le metodiche di fluorescenza, chemioluminescenza, eccetera. Nella figura è riportato l'esempio di una popolazione anticorpale marcata con una molecola fluorescente (Fig. 3. 9) che può essere rilevata trami-te l'ausilio di sensori ottici, che possono essere esterni alla camera di analisi in cui è presente l'ambiente L di test (microscopio e telecamera) oppure integrati nel dispositivo, in particolare nel substrato C sottostante la matrice di elettrodi LIJ. In questo caso è la proteina antigenica immobilizzata sull'elettrodo che viene riconosciuta tramite 1'anticorpo marcato.
Alternativamente, si può usare una metodica che sfrutti dei sensori capacitivi integrati nel dispositivo (noti e non illustrati per semplicità), che siano in grado di rilevare la capacità associata a ciascun elettrodo di ogni singolo sito proteico formato in precedenza e rilevare la differenza di capacità quando un'altra proteina si lega a quelle presenti nel sito (Fig. 3.9). In questo modo, la proteina da riconoscere può essere sia quella immobilizzata sulla superficie definita dagli elettrodi LIJ, che quella solubile nell'ambiente L, indipendentemente dal fatto che si tratti di un antigene o di un anticorpo. A tal fine le caratteristiche dielettriche delle proteine che servono ad effettuare il riconoscimento, siano antigeni— ed anticorpi, possono venire modificate accoppiandole per immobilizzazione a microsupporti, ad esempio costituiti da microsfere realizzate in un materiale sintetico, che possono eventualmente avere altre caratteristiche fisiche (colore, fluorescenza, eccetera) , oltre alla pecu-liare costante dielettrica, che ne facilitino il rico-noscimento all'interno del dispositivo. In tal caso, il metodo dell'invenzione prevederà anche una fase di riconoscimento delle microsfere, effettuata in base a queste ultime caratteristiche fisiche.
L'individuazione della variazione capacitiva può avvenire con i metodi e i circuiti delineanti nella domanda PCT/WO 00/69565.
Una variante del metodo, secondo la presente invenzione, riguarda una modalità di test, in cui il campione contente le proteine da individuare viene immobilizzato in modo spazialmente uniforme sulla superficie del dispositivo al di sopra degli elettrodi, come illu-strato schematicamente in Fig. 4. Secondo questa forma di realizzazione, si introduce un campione biologico (siero) contenente una popolazione anticorpale eteroge-nea incognita (Fig. 4. a). Gli anticorpi si legano agli elettrodi, eventualmente passivati e/o opportunamente funzionalizzati (Fig. 4. b). L'eventuale eccesso di anticorpi non legati viene rimosso flussando tampone nella camera del dispositivo (Fig. 4. c). Si introducono poi nel dispositivo microsfere sonda, ciascuna ricoper-ta di una proteina nota che potrebbe legare uno degli anticorpi. Le microsfere vengono movimentate dielettroforeticamente fino a portarle in contatto con gli anti-corpi che ricoprono gli elettrodi. In alternativa, per porre in contatto la microsfera con gli anticorpi si possono portare le microsfere, sempre tramite movimentazione dielettroforetica, sulla verticale degli elettrodi, disattivando successivamente le gabbie (metodo gravitazionale). L'eventuale avvenuto legame o binding (interazione di legame) viene verificato cercando di rialzare la gabbia dielettroforetica o, in alternativa, semplicemente riattivandola qualora la microsfera fosse stata posizionata tramite il metodo gravitazionale. Il sensing viene effettuato misurando la differenza di ca-pacità fra l'elettrodo con la sfera contattata ed even-tualmente rialzata oppure movimentando ulteriormente la gabbia fra l'elettrodo con la sfera contattata e libero. La presenza dell'anticorpo cercato, ed eventualmente una stima della sua concentrazione viene effettuata valutando il numero di microsfere legate.
La figura 5 mostra un altro modo per effettuare lo stesso test, in cui non è necessario movimentare le gabbie e, dunque, che richiede un dispositivo meno com-plesso, in cui la circuiteria aggiuntiva è rappresenta-ta solo dal circuito di sensing capacitivo. In questa variante del metodo dell'invenzione, viene sfruttato il cambiamento della forza di dielettroforesi da negativa (nDEP) a positiva (pDEP). In Fig. 5. a la microsfera funzionalizzata con una proteina si trova intrappolata alla frequenza fi all'interno di una gabbia di poten-ziale sopra gli elettrodi (cioè in dielettroforesi negativa) . Passando alla frequenza f2 la sfera passa in pDEP e viene repulsa dalla gabbia e attirata verso un massimo di potenziale, cioè sugli elettrodi, dove finisce per contattare gli anticorpi che vi si trovano, Fig. 5. b.
La verifica del legame fra anticorpo e proteina viene effettuato semplicemente riportando la frequenza a fi; nel caso sia avvenuto il legame la microsfera è impossibilitata a tornare nella gabbia, Fig. 5. cl; se, invece, non è avvenuto il legame la microsfera torna nella gabbia, Fig. 5. c2.
Ovviamente, il microsupporto al quale immobilizzare le entità biologiche da movimentare e/o riconoscere può essere diverso da una microsfera; si possono per esempio utilizzare cellule, oppure liposomi, sulla superficie delle/dei quali immobilizzare le molecole di interesse. -Inoltre, la verifica dell'intensità del legame antigene-anticorpo può essere effettuata, secondo una possibile variante, senza ricorrere alla dielettroforesi, ma semplicemente inviando un flusso di tampone nell'ambiente L, attraverso la camera che lo contiene; in questo caso, sarà la spinta idrodinamica che sollecite-rà le entità biologiche legate a staccarsi dalla super-ficie definita dagli elettrodi LIJ.
Al fine di rivelare molecole-marker fluorescenti, siano esse associate direttamente alle entità biologiche oggetto di analisi o a microsfere (o a altri microsupporti secondo quanto descritto in precedenza), il dispositivo di figura 1 è sottoposto ad una radiazione elettromagnetica ad una prima lunghezza d'onda prefis-sata, ad esempio ultravioletta UV (Fig. 2) tale da colpire direttamente gli oggetti (campioni) BIO contenuti nella camera, nell'ambiente L. Gli elementi marcati da molecole fluorescenti sono scelti in modo da emettere di conseguenza una radiazione elettromagnetica ad una seconda prefissata lunghezza d'onda diversa dalla prima, ad esempio nello spettro del visibile; tale radia-zione può essere opportunamente rivelata dai sensori integrati nel substrato di silicio C. A titolo d'esempio, in Fig. 6 è mostrata la risposta spettrale di emissione di alcune tipiche molecole fluorescenti eccitate con un laser monocromatico che emette radia-zione ultravioletta a 405 nm.
Secondo quanto utilizzato dallo stato dell'arte, le tipiche lunghezze d'onda d'eccitazione per dette mo-lecole spaziano da 350 a 480 nm per laser del tipo a ioni di Ar, Xe-F e Xe. È importante, dunque, che i sensori ottici realizzati nel substrato C siano massi-mamente selettivi, tali da non reagire alla radiazione ultravioletta ed essere massimamente sensibili alle radiazioni nello spettro del visibile. Questa potenzialità può essere raggiunta da opportune tecniche di realizzazione di sensori ottici a semiconduttore, che sono anche oggetto della presente invenzione, come descritto nel seguito.
In generale, un fotone del flusso luminoso LIG (Figg. 2 e 7) penetra nel substrato C di un semiconduttore fino al punto in cui, interagendo col reticolo cristallino, sospinge un elettrone dalla banda di valenza a quella di conduzione, generando in altre parole una coppia elettrone-lacuna. La probabilità con cui questo fenomeno si manifesta è legata alla profondità media di penetrazione del fotone nel substrato ed è direttamente proporzionale alla sua energia. Essendo l'energia del fotone E = h c/ λ (dove h=costante di Planck, c=velocità della luce) e cioè una funzione della lunghezza d'onda λ, la probabilità di generazione è strettamente correlata a quest'ultima. In generale, i dati sperimentali ottenibili su substrati di silicio evidenziano un'elevata probabilità di generazione per lunghezze d'onda dell'ordine di 200-300 nm, la quale si riduce sensibilmente con legge esponenziale alle lun-ghezze d'onda di 800-1000 nm. Questo fenomeno si tradu-ce nel fatto che il flusso fotonico è caratterizzato da una lunghezza di penetrazione media nel silicio che dipende dalla lunghezza d'onda: qualche decimo di micron (milionesimo di mm) per emissioni nel campo dell'ultravioletto e parecchi micron per le radiazioni appartenenti al campo dell'infrarosso.
Un metodo comunemente utilizzato per quantificare le cariche fotogenerate, e misurare di conseguenza l'intensità del flusso fotonico, consiste nel realizzare una giunzione p-n (XJ o XJW) inversamente polarizza-ta nella regione interessata dall'attraversamento del flusso. Il dispositivo così realizzato si chiama foto-diodo, CPH. Le cariche fotogenerate nella zona di cari-ca spaziale W sono trascinate al confine di questa re-gione dal forte campo elettrico e possono essere quantificate: 1) misurando la corrente da esse generate, dopo avere polarizzato a tensione costante la giunzione; 2) misurando carica totale accumulata al termine di un tempo prefissato durante il quale il fotodiodo non è polarizzato (tecnica in storage-mode).
Utilizzando la tecnologia planare, le precedenti operazioni si ottengono secondo 1'invenzione realizzan-do un contatto CON sulla superficie di diffusione del fotodiodo CPH, il quale, per mezzo di un interruttore elettronico di indirizzamento SW, è posto in contatto elettrico con l'ingresso di un amplificatore elettronico di carica CHA. L'uscita OUT dell'amplificatore di carica codifica la quantità di carica e dunque l'intensità luminosa che incidente nel fotodiodo CPH. È possibile dimostrare che la regione di carica spaziale è la principale responsabile della corrente di fotogenerazione .
La risposta del fotodiodo in funzione della lunghezza d'onda della radiazione incidente dipende dunque in maniera sensibile dalla profondità DEP della giunzione (Fig. 7): se da un lato una radiazione a lunghezza d'onda corta (ultravioletto) è assorbita nelle imme-diate vicinanze della superficie, non interessando in tal caso la regione a carica spaziale W, dall'altro una radiazione a lunghezza d'onda relativamente lunga ed al margine del visibile (infrarosso) interesserà maggiormente la regione di carica spaziale, ma con minore probabilità di fotogenerazione. A causa di questi due comportamenti contrapposti, il picco di sensibilità del fotodiodo si colloca nella regione del visibile mentre è minima per le lunghezze d'onda nel campo dell'infrarosso e dell'ultravioletto. La sensibilità del fotodiodo realizzato secondo il trovato alle diverse radiazioni ha dunque tipicamente una forma a campa-na, come quelle illustrate in Fig. 8 ed, in generale, il picco di sensibilità è maggiormente spostato verso 1'infrarosso per giunzioni più profonde.
La tecnologia planare MOS allo stato dell'arte permette di utilizzare diverse possibilità nella realizzazione di fotodiodi: in particolare, la soluzione preferita consiste nell'uso della giunzione di diffusione superficiale su well (shallow-junction) e della giunzione di well stessa (well-junction). In Fig. 7 è illustrata una sezione trasversale della tecnologia planare MOS in corrispondenza di una diffusione di well. In particolare sono indicate le giunzioni di diffusione superficiale, XJ e di well, XJW. Fig. 8 mostra le risposte spettrali, calcolate matematicamente in base alle equazioni dei dispositivi a semiconduttore interpolate su dati di assorbimento sperimentali relativi al silicio, delle due giunzioni citate per una tipica tecnologia CMOS con definizione di dettagli di 0.7 micron. Le profondità DEP delle due giunzioni sono 0.28 micron per quella superficiale (XJ) e 2.7 micron per quella di well (XJW). Secondo quanto anticipato in pre-cedenza, la risposta spettrale delle giunzioni più pro-fonde, come quella di well, sono maggiormente sensibili alle radiazioni dell'infrarosso e debolmente sensibili a quelle dell'ultravioletto.
In conclusione, l'utilizzo di una giunzione pro-fonda di well è particolarmente indicato per l'applicazione proposta al fine di eliminare l'influenza delle radiazioni ultraviolette mantenendo una buona sensibilità alle lunghezze d'onda del visibile.
Un'ulteriore possibilità per aumentare la selettività dei sensori o più semplicemente per utilizzare con maggiore confidenza le giunzioni superficiali (come quelle derivanti dalle tecnologie più sofisticate), è quella, seguendo procedure note nel campo della fabbri-cazione dei dispositivi a semiconduttore, di utilizzare opportuni filtri colore GEL depositati sulla superficie del substrato C. I filtri possono essere depositati sul chip mediante fotolitografia e sono costituiti da fotoresist o gelatine colorati caratterizzati da risoluzioni di deposito di qualche decimo di millesimo di millimetro (micron). Nel caso specifico, al fine<' >di ridurre le possibili interferenze degli ultravioletti si posso no utilizzare filtri sintonizzati nella gamma dei colo-ri giallo o verde.
In una possibile realizzazione, secondo la presen-te invenzione, del sensing ottico, la fotogiunzione XJ o XJW è implementata nella regione di silicio C sotto-stante l'elettrodo LIJ, elettrodo realizzato mediante tecnica fotolitografica con materiali elettricamente conduttivi, ma trasparenti quali Indium Tin Oxide (ITO). Tale realizzazione può essere ottenuta come post-processamento di un circuito integrato realizzato con la tecnologia standard del silicio usata nei comuni processi di fabbricazione microelettronica, in cui l'ultimo strato di passivazione lascia esposte porzioni della metallizzazione di più alto livello. Tale metallizzazione viene usata per stabilire un contatto elettrico tra l'elettrodo trasparente e i circuiti sottostanti .
In altre implementazioni, ove l'elettrodo LIJ, secondo l'arte nota, non fosse trasparente alle radiazioni luminose, il fotodiodo potrebbe situarsi nel substrato in corrispondenza dello spazio intermedio tra gli elettrodi, potendo, mediante una opportuna scelta dei segnali, posizionare la gabbia di potenziale esattamente nello spazio superiore a tale posizione. Secondo un'altra possibile implementazione della tecnica, gli elettrodi costituiti da materiale non trasparente potrebbero essere realizzati con un'apertura centrale, come indicato in precedenza, attraverso la quale la luce potrebbe confluire nel substrato sottostante in cui è realizzato un fotodiodo.
Un ulteriore modo di evitare che la radiazione alla prima frequenza (nell'esempio illustrato UV) colpisca il fotodiodo, è infine quello di prevedere una guida d'onda definita dall'ossido del chip e dal vetro del coperchio che permetta di eccitare i fluorofori nel campione con una radiazione ad una prima frequenza, introdotta dalle superfici laterali nella camera contenente il campione. La guida d'onda così costituita im-pedisce che l'eccitazione penetri nel substrato, poiché la radiazione si riflette sulla superficie dell'array a causa del suo ridotto angolo di incidenza, mentre la radiazione emessa dai fluorofori in determinati punti dell'array, essendo omnidirezionale, penetra nella su-perficie dell'array.

Claims (31)

  1. R IV E N D ICA Z IO N I 1. Metodo per effettuare analisi biomolecolari integrate su un campione biologico includente entità biologiche incognite tramite entità biologiche note aventi la capacità di legarsi alle entità biologiche incognite, comprendente le fasi di immobilizzare, direttamente o indirettamente, prime entità biologiche su un supporto, contattare dette prime entità biologiche con dette seconde entità biologiche e rivelare l'eventuale interazione di legame tra almeno una parte di dette prime entità biologiche ed almeno una parte di dette seconde entità biologiche; le dette prime entità biologiche essendo costituite da dette entità incognite e le dette seconde entità biologiche essendo costituite da dette entità biologiche note; o viceversa; caratterizzato da fatto che: (A)- come supporto viene utilizzata una superficie definita da una matrice di primi elettrodi (LIJ) almeno in parte selettivamente attivabili ed indirizzabili, disposti affacciati e distanziati, tramite un distanziatore, ad almeno un secondo elettrodo (M2), in modo da definire tra quest'ultimo, detto distanziatore e detta matrice di primi elettrodi (LIJ) una camera di analisi atta a contenere un ambiente liquido o semiliquido (L) nel quale, tramite detta matrice di primi elettrodi (LIJ) e detto secondo elettrodo (M2) vengono selettivamente costituite gabbie chiuse (SI) di dielettroforesi (DEP) per intrappolare e spostare almeno dette seconde entità biologiche (BIO) nella detta camera; (B)- detta superficie viene preventivamente trattata in modo da poter realizzare interazioni di legame con dette prime entità biologiche (BIO) in corrispondenza di detti primi elettrodi (MIJ).
  2. 2. Metodo secondo la rivendicazione 1, caratterizzato dal fatto che detta fase di immobilizzazione comprende le fasi di: a. introdurre dette prime entità biologiche (BIO) in sospensione in detta camera, nel detto ambiente liquido o semiliqido (L); b. intrappolare e levitare dette prime entità biologiche all'interno di gabbie (SI) di potenziale di dielettroforesi (DEP) generate tra selezionati primi (LIJ) e detto secondo (M2) elettrodo; c. portare selettivamente le dette gabbie di dielettroforesi (SI), con dette prime entità biologiche intrappolate all'interno, in corrispondenza di selezionati primi elettrodi (MIJ); d. muovere le gabbie (SI) in modo da realizzare in corrispondenza dei detti selezionati primi elettrodi dette interazioni di legame tra dette prime entità biologiche e gli elettrodi (MIJ) e conseguentemente immobilizzare su quésti ultimi dette prime entità biologiche secondo uno schema (patterning) prefissato.
  3. 3. Metodo secondo la rivendicazione 2, caratterizzato dal fatto di comprendere inoltre la fase di concentrare dette prime entità biologiche (BIO) in corrispondenza di selezionati primi elettrodi (MIJ) avvicinando e fondendo tra loro due o più dette gabbie (Si) di dielettroforesi contenenti una o più di dette prime entità biologiche intrappolate al proprio interno.
  4. 4. Metodo secondo una delle rivendicazioni precedenti, caratterizzato dal fatto che dette prime entità biologiche sono le dette entità biologiche note, mentre le dette seconde entità biologiche sono le entità biologiche incognite; il metodo comprendendo inoltre le fasi di: e. introdurre nella detta camera detto campione biologico con in sospensione popolazioni di seconde entità biologiche (BIO) eventualmente anche di più tipi diversi; f. concentrare almeno una prima parte della popolazione di dette seconde entità biologiche attirandola in una gabbia (SI) di dielettroforesi, generata tra detti elettrodi (LIJ,M2); g. movimentare e fare interagire detta almeno una prima parte della popolazione di dette seconde entità biologiche con almeno parte di una popolazione di dette prime entità biologiche note immobilizzate su detta superficie in corrispondenza di un selezionato primo elettrodo (LIJ); h. rilevare una eventuale interazione di legame tra almeno una parte della popolazione di seconde entità biologiche incognite con almeno una parte della popolazione di dette prime entità biologiche note immobilizzata in corrispondenza dei primi elettrodi (LIJ).
  5. 5. Metodo secondo la rivendicazione 4, in cui detta interazione di legame viene verificata cercando di separare dielettroforeticamente dette popolazioni di prime e/o seconde entità biologiche tra loro e/o dai detti primi elettrodi, intrappolandole entro gabbie (SI) di dielettroforesi e muovendo le gabbie lontano da selezionati primi elettrodi (LIJ).
  6. 6. Metodo secondo la rivendicazione 4 o 5, in cui detta interazione di legame viene rilevata tramite sensori di tipo ottico, esterni a detta camera o integrati nella detta matrice di primi elettrodi (LIJ).
  7. 7. Metodo secondo la rivendicazione 4 o 5, in cui detta interazione di legame viene rilevata tramite sensori di tipo capacitivo.
  8. 8. Metodo secondo la rivendicazione 6 o 7, caratterizzato dal fatto di comprendere una fase di immobilizzazione di dette seconde entità biologiche incognite su microsfere di prefissate caratteristiche fisicochimiche, tali da aumentare la rilevabilità capacitiva o ottica della detta interazione di legame.
  9. 9. Metodo secondo la rivendicazione 6, in cui si utilizzano sensori ottici integrati nella detta matrice di primi elettrodi (LIJ), caratterizzato dal fatto di comprendere le fasi di: trattare dette seconde entità biologiche che verranno legate a dette prime entità biologiche immobilizzate sui primi elettrodi (LIJ) con un substrato includente gruppi fluorofori; eccitare con illuminazione ad una prima lunghezza d'onda (UV) detti fluorofori associati alle prime entità biologiche incognite; rilevare con detti sensori ottici integrati l'emissione di fluorescenza ad una seconda lunghezza d'onda (LIG) diversa dalla prima così da determinare la presenza delle seconde entità biologiche legate alle prime in prossimità di ciascun primo elettrodo (LIJ).
  10. 10. Metodo secondo una delle rivendicazioni da 1 a 3, caratterizzato dal fatto che dette prime entità biologiche sono le dette entità biologiche incognite, mentre le dette seconde entità biologiche sono le entità biologiche note; il metodo comprendendo inoltre le fasi di: i. immobilizzare popolazioni di seconde entità biologiche, eventualmente anche di più tipi diversi, su microsupporti aventi caratteristiche chimico-fisiche prefissate, eventualmente diverse tra loro; l. introdurre in detta camera ed intrappolare in gabbie (SI) di dielettroforesi almeno un primo tipo di detti microsupporti portanti immobilizzate dette seconde entità biologiche note; m. fare interagire detti microsupporti intrappolati nelle dette gabbie (SI) di dielettroforesi con detta superficie definita da detta matrice di primi elettrodi (LIJ), recanti immobilizzate popolazioni di dette prime entità biologiche incognite, eventualmente diverse tra loro; n. verificare 1'intensità dell'eventuale avvenuto legame di interazione cercando di separare dielettroforeticamente detti microsupporti da detta superficie, in-trappolando i microsupporti entro gabbie (SI) di di-elettroforesi e muovendo le gabbie lontano da selezio-nati primi elettrodi (LIJ); p. rilevare la eventuale presenza dei microsupporti nella posizione di interazione di legame con detti se-lezionati primi elettrodi (LIJ) per determinare se sus-siste ancora detta interazione di legame.
  11. 11. Metodo secondo la rivendicazione 10, caratterizzato dal fatto che detti microsupporti sono scelti nel gruppo consistente in: microsfere in materiale sintetico, cellule, liposomi.
  12. 12. Metodo secondo la rivendicazione 11, in cui i microsupporti sono microsfere di almeno due tipi diversi distinguibili tra loro in base ad uno o più parametri fisici quali costante dielettrica, colore, trasparenza o fluorescenza; detto metodo includendo inoltre la fase di identificare il microsupporto prima di eseguire le fasi (n) e (p) precedenti.
  13. 13. Metodo secondo una delle rivendicazioni da 10 a 12, caratterizzato dal fatto che la detta fase di interazione (m) viene realizzata spostando le gabbie (SI) di dielettroforesi verso la superficie.
  14. 14. Metodo secondo una delle rivendicazioni da 10 a 12, caratterizzato dal fatto che la detta fase di in-terazione (m) viene realizzata eliminando le gabbie (SI) di dielettroforesi e facendo precipitare i micro-supporti sulla superficie.
  15. 15. Metodo secondo una delle rivendicazioni da 10 a 12, caratterizzato dal fatto che la detta fase di in-terazione (m) viene realizzata cambiando la frequenza di eccitazione di detti elettrodi (LIJ) in modo da esercitare una forza di dielettroforesi positiva (pDEP) per repellere i microsupporti dalle rispettive gabbie (SI) di dielettroforesi e portarli conseguentemente a contatto con la superficie.
  16. 16. Metodo secondo una delle rivendicazioni da 10 a 13, in cui la fase di verifica (n) dell'intensità del legame di interazione avviene allontanando le gabbie di dielettroforesi dalla superficie.
  17. 17. Metodo secondo la rivendicazione 14, in cui la fase di verifica (n) dell'intensità del legame di in-terazione avviene ripristinando le gabbie (SI) di di-elettroforesi per risollevare i microsupporti dalla su-perficie .
  18. 18. Metodo secondo la rivendicazione 15, in cui la fase di verifica (n) dell'intensità del legame di interazione avviene ripristinando la frequenza di eccitazione iniziale in modo da esercitare una attrazione dei microsupporti verso le gabbie (SI) di dielettrofo-resi.
  19. 19. Metodo secondo una delle rivendicazioni da 10 a 15, in cui al posto della detta fase di verifica (n) viene eseguita una fase di verifica (η') dell'intensità del legame di interazione, esponendo i microsupporti ad un flusso di tampone che attraversa detta camera.
  20. 20. Metodo secondo una delle rivendicazioni da 10 a 19, in cui la fase (p) di rilevazione della presenza del microsupporto in corrispondenza di un selezionato elettrodo (LIJ) avviene tramite un sensore capacitivo associato all'elettrodo (LIJ).
  21. 21. Metodo secondo una delle rivendicazioni da 10 a 19, in cui la fase (p) di rilevazione della presenza del microsupporto in corrispondenza di un selezionato elettrodo (LIJ) avviene tramite un sensore ottico asso-ciato all'elettrodo (LIJ).
  22. 22. Metodo secondo la rivendicazione 21, in cui il sensore ottico rileva la radiazione emessa ad una prima frequenza (LIG) da gruppi fluorofori associati al microsupporto eccitati da una radiazione emessa ad una seconda frequenza (UV) non rilevabile dal sensore otti-co .
  23. 23. Metodo secondo la rivendicazione 21, in cui il sensore ottico rileva la variazione di radiazione inci-dente a seguito dell'assorbimento o riflessione da par-te del microsupporto di— parte di una radiazione proveniente dall'esterno di detta camera di analisi.
  24. 24. Metodo secondo una delle rivendicazioni da 10 a 19, in cui la rilevazione della presenza del microsupporto avviene tramite un sensore ottico disposto esternamente a detta camera di analisi.
  25. 25. Dispositivo per analisi biologiche molecolari tra-mite la generazione e lo spostamento di gabbie (SI) mo-bili di dielettroforesi (DEP) comprendente una superfieie definita da una matrice (MI) di primi elettrodi (LIJ) almeno in parte selettivamente attivabili ed indirizzabili, disposti su un supporto (01) isolante; almeno un secondo elettrodo (M2) disposto affacciato ad almeno parte di detta matrice (Mi) di primi elettrodi (LIJ); ed un distanziatore per distanziare i primi elettrodi (LIJ) dal detto almeno un secondo elettrodo (M2) in modo da definire tra quest'ultimo, detto di-stanziatore e detta superficie definita da detta matri-ce (MI) di primi elettrodi una camera di analisi atta a contenere un ambiente liquido o semiliquido (L); caratterizzato dal fatto di comprendere inoltre sensori ot-tici integrati al di sotto o in prossimità di almeno uno di detti primi elettrodi (LIJ); detti primi elet-trodi (LIJ) comprendendo mezzi per permettere il pas-saggio di radiazioni elettromagnetiche (UV/LIG) attraverso i primi elettrodi (LIJ) stessi e verso detti sen-sori ottici; e, in combinazione, detto dispositivo comprendendo, in corrispondenza di detti primi elettrodi (LIJ), mezzi per impedire che detti sensori ottici integrati vengano raggiunti da radiazioni di una prima lunghezza d'onda (UV) prefissata.
  26. 26. Dispositivo secondo la rivendicazione 25, caratte-rizzato dal fatto che detti mezzi per permettere il passaggio delle radiazioni elettromagnetiche (UV;LIG) verso detti sensori ottici sono definiti dai primi elettrodi (LIJ) stessi, i quali sono realizzati con un materiale trasparente alle dette radiazioni.
  27. 27. Dispositivo secondo la rivendicazione 25, caratterizzato dal fatto che detti mezzi per permettere il passaggio delle radiazioni elettromagnetiche (UV;LIG) verso detti sensori ottici includono rispettive finestre trasparenti a dette radiazioni ricavate attraverso detti primi elettrodi (LIJ), preferibilmente al centro dei medesimi.
  28. 28. Dispositivo secondo una delle rivendicazioni da 25 a 27, caratterizzato dal fatto che detti mezzi per impedire che i detti sensori ottici integrati vengano raggiunti da radiazioni di una prima lunghezza d'onda (UV) prefissata consistono in rispettivi filtri (GEL) passa-banda disposti in corrispondenza di detti primi elettrodi (LIJ), su detta superficie.
  29. 29. Dispositivo secondo la rivendicazione 28, caratterizzato dal fatto che detti filtri passa-banda (GEL) sono costituiti da una gelatina, con la quale è ricoperta detta superficie definita da detti primi elettrodi (LIJ), detta gelatina avendo proprietà ottiche selettive tali da attenuare detta radiazione ad una prima lunghezza d'onda (UV) prefissata.
  30. 30. Dispositivo secondo una delle rivendicazioni da 25 a 27, caratterizzato dal fatto che detti mezzi per impedire che i detti sensori ottici integrati vengano raggiunti da radiazioni di una prima lunghezza d'onda (UV) prefissata consistono in una guida d'onda disposta in corrispondenza di detti primi elettrodi (LIJ) ed atta a determinare una riflessione dalla detta superficie definita da detta matrice (MI) di primi eletrodi (LIJ) di dette radiazioni ad una prima lunghezza d'onda UV) prefissata.
  31. 31. Dispositivo secondo una delle rivendicazioni da 25 a 29, caratterizzato dal fatto che detti sensori ottici integrati sono costituiti da fotodiodi di giunzione (CPH) realizzati ad una profondità (DEP) da una superficie di un substrato (C) di semiconduttore tale che li rende sostanzialmente insensibili a detta radiazione a una prima lunghezza d'onda (UV) prefissata.
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