ITAN20130090A1 - Impianto per protesi dentali. - Google Patents

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ITAN20130090A1 IT000090A ITAN20130090A ITAN20130090A1 IT AN20130090 A1 ITAN20130090 A1 IT AN20130090A1 IT 000090 A IT000090 A IT 000090A IT AN20130090 A ITAN20130090 A IT AN20130090A IT AN20130090 A1 ITAN20130090 A1 IT AN20130090A1
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Description

DESCRIZIONE
a corredo di una domanda di brevetto per invenzione industriale avente per titolo:
“IMPIANTO PER PROTESI DENTALI”.
TESTO DELLA DESCRIZIONE
La presente domanda di brevetto per invenzione industriale ha per oggetto un impianto per protesi dentali.
Le peculiarità e i vantaggi della presente invenzione risulteranno più evidenti a seguito di una breve descrizione della tecnica anteriore.
Già da tempo è stata messa a punto una tecnologia destinata a consentire la sostituzione di un dente caduto o estratto con un corrispondente dente artificiale (o protesi dentale).
Ciascuna di tali protesi risulta normalmente costituita dai tre seguenti componenti:
- una radice artificiale realizzata in metallo, che presenta una forma sostanzialmente cilindrica o conica e che reca esternamente una filettatura che ne consente l’avvitamento nell’osso mascellare o mandibolare del paziente (una simile radice artificiale viene comunemente denominata “impianto”), - uno stelo metallico, sostanzialmente cilindrico (usualmente denominato “moncone”), atto ad essere innestato stabilmente entro l’anzidetto impianto, sì da poter debordare dall’osso del paziente
- una capsula in metallo nobile rivestita in ceramica o in altro materiale ed altresì destinata a riprodurre esattamente la forma e la tinta del dente naturale (usualmente denominata “corona”), atta ad essere montata stabilmente sull’esterno dell’anzidetto moncone.
Ebbene una simile tecnologia, pur nella sua grande efficacia, fa sorgere talvolta una problematica alquanto critica, in particolare allorquando si tratti di eseguire l’anzidetta operazione di innesto di un impianto nell’osso mascellare o mandibolare del paziente.
Più precisamente questa problematica sorge a causa dell’eventuale “mancanza di osso” che si registra sul punto di innesto di un simile impianto ed è legata, per l’appunto, non solo dalla scarsa profondità dell’osso del paziente, ma anche dallo scarso spessore dello stesso.
Si può dire altrimenti che l’anzidetta mancanza di osso si può rispettivamente manifestare in senso verticale ed in senso orizzontale.
In ogni caso è facile comprendere come le ridotte dimensioni dell’osso del paziente rendano delicata l’anzidetta operazione di posa in opera dell’impianto e non perfettamente affidabile l’accoppiamento tra l’impianto stesso o l’osso del paziente.
Per sopperire all’anzidetta mancanza di osso in direzione verticale si è pensato, già da tempo, di utilizzare impianti di ridotta altezza (i cosiddetti “short”), dotati però di un diametro maggiorato.
Si dà il caso, però, che in molti casi l’utilizzo di questi impianti “short” si rivela particolarmente problematico, in particolare allorquando la cresta ossea della mandibola o della mascella (sulla quale per l’appunto l’impianto va innestato) si rivela troppo sottile e dunque incapace di per sé di ospitare il grande diametro di uno di simili impianti “short”.
Per tale ragione la posa in opera di un impianto “short” impone al dentista una specifica e sofisticata preparazione dell’osso di destinazione, con un notevole aggravio di tempi e di costi che certamente non può risultare gradito al paziente.
È come dire, insomma, che un tradizionale impianto “short”, se da un lato risolve il problema della mancanza di osso in direzione verticale, dall’altro si rivela di per sé incapace di ovviare all’eventuale mancanza di osso in direzione orizzontale.
Partendo da un simile stato dell’arte, l’idea alla base della presente invenzione è quella di creare un impianto per protesi dentali che si riveli capace di risolvere contemporaneamente il problema della mancanza di osso in direzione verticale ed il problema della mancanza di osso in direzione orizzontale; tutto ciò senza imporre al dentista lavorazioni sofisticate o adattamenti di alcun genere in corrispondenza della sede ossea di destinazione di tale impianto.
In particolare il nuovo impianto in questione si rivela in grado di perseguire simili finalità adottando un’altezza limitata, comparabile a quella dei tradizionali impianti “short”, in combinazione con un diametro contenuto, certamente inferiore a quello dei medesimi impianti “short” tradizionali.
La sua autentica peculiarità consiste nell’adottare una pluralità di spine di ancoraggio in grado di essere espulse radialmente verso l’esterno solo dopo che l’impianto medesimo sia stato avvitato nell’osso di destinazione.
In tal modo le anzidette spine radiali possono conficcarsi nell’osso circostante, creando un’unione assolutamente stabile tra l’impianto e l’osso medesimo, pur a dispetto del ridotto diametro dell’impianto stesso.
Si comprende, infatti, come le anzidette spine radiali, una volta conficcatesi nell’osso del paziente, impediscano al rispettivo impianto di sfilarsi assialmente, ma anche soltanto di ruotare in maniera incontrollata per effetto delle forti sollecitazioni che gli vengono trasmesse in occasione della masticazione.
Il fatto che le anzidette spine di ancoraggio siano in grado di essere espulse dall’impianto secondo il trovato solo dopo che lo stesso sia stato innestato nell’osso di destinazione costituisce, per l’appunto, l’accorgimento che consente al dentista di montare l’impianto medesimo secondo le più tipiche modalità tradizionali, vale a dire semplicemente avvitando tale impianto nell’osso di destinazione, grazie all’usuale presenza della classica filettatura esterna.
Allo stesso modo è importante segnalare che anche le modalità previste per realizzare l’espulsione delle anzidette spine radiali – che verranno descritte nel prosieguo con un opportuno livello di dettaglio – risultano estremamente semplici e veloci, senza richiedere al dentista interventi particolarmente complessi o il ricorso ad attrezzature sofisticate.
Per maggiore chiarezza esplicativa la descrizione del trovato prosegue con riferimento alle tavole di disegno allegate, aventi solo valore illustrativo e non certo limitativo, in cui: - la figura 1 è una rappresentazione assonometrica complessiva dell’impianto in questione;
- la figura 2 è un particolare ingrandito di figura 1;
- la figura 3 è analoga alla figura 2, con l’asportazione di alcune delle spine estraibili in dotazione all’impianto in questione; - la figura 4 mostra, con un disegno in sezione, la configurazione di un tratto delle pareti interne dell’impianto medesimo;
- la figura 5 mostra una delle spine radiali estraibili in dotazione all’impianto in questione;
- la figura 6 è una vista dall’alto dell’impianto in questione che mostra le sue anzidette spine radiali estraibili nel loro assetto non operativo;
- la figura 7 è analoga alla precedente, ma mostra le medesime spine estraibili nel loro assetto operativo;
- la figura 8 è una rappresentazione assonometrica in cui l’impianto in questione è mostrato insieme con il rispettivo tappo responsabile dell’espulsione delle sue spine radiali estraibili
- la figura 9 è una rappresentazione assonometrica dell’impianto medesimo, parzialmente accoppiato con l’anzidetto tappo espulsore.
Con particolare riferimento alle figure anzidette, l’impianto secondo il trovato (A) adotta, nelle sue linee generali, una configurazione sostanzialmente tradizionale.
Anch’esso infatti consiste in uno stelo tubolare metallico (1), di forma sostanzialmente cilindrica, dotato superiormente di un foro d’imboccatura (1a) che dà accesso ad un condotto cilindrico assiale (2) che occupa sostanzialmente l’intera altezza dello stelo medesimo e che presenta sul fondo un’impronta esagonale (2a), rilevabile dall’esame della figura 7.
Detto stelo (1) presenta ancora, altrettanto usualmente, un’estremità inferiore chiusa e rastremata (1b), nonché una filettatura (3) realizzata in corrispondenza delle sue pareti esterne.
Come anticipato, la peculiarità dell’impianto in questione (A) risiede nel fatto di adottare alcune spine radiali estraibili (4), infilate all’interno di rispettivi fori (5) realizzati in corrispondenza delle spire dell’anzidetta filettatura esterna (3); a tale riguardo vedasi la figura 3.
In particolare tali fori (5) sono disposti in maniera tale che il loro asse longitudinale sia ortogonale all’asse dell’anzidetto condotto assiale (2) e si estendono dalla parete interna di tale condotto assiale (2) fino alla parete esterna dello stelo tubolare (1).
Detti fori (5), essendo realizzati in corrispondenza delle spire dell’anzidetta filettatura (3), si dispongono su quote differenti; essi risultano altresì previsti ad intervalli angolari regolari di circa 90°, sì da potersi disporre in pratica tutto intorno allo stelo medesimo (1).
Con particolare riferimento alla figura 4, l’imboccatura interna (5a) di ciascuno di detti fori (5) è realizzata in corrispondenza di una gola elicoidale (6), prevista sulle pareti interne dell’anzidetto condotto assiale (2) in corrispondenza delle anzidette spire della filettatura esterna (3).
Con particolare riferimento alla figura 5, ciascuna di tali spine (4) consiste in un’astina (4a), di sezione sostanzialmente quadrata, che risulta infilata esattamente, con capacità di scorrimento, all’interno di uno degli anzidetti fori (5); essendo altresì previsto che detta astina (4a) rechi una lunghezza maggiore di quella del rispettivo foro di alloggiamento e scorrimento (5).
Tale astina (4a) presenta, in corrispondenza della sua estremità anteriore, una testa ortogonale (4b), sostanzialmente a cuneo, che riproduce esattamente il profilo delle spire dell’anzidetta filettatura esterna (3).
In corrispondenza della sua estremità posteriore (4c), invece, questa astina (4a) presenta due braccetti laterali (4d), simmetricamente contrapposti ed elasticamente deformabili, anch’essi disposti in un assetto sostanzialmente trasversale rispetto all’asse longitudinale dell’astina (4a).
A tale specifico riguardo si precisa che l’anzidetta estremità posteriore (4c) dell’astina (4a) presenta un profilo arrotondato e che, del resto, anche i due anzidetti braccetti laterali (4d) presentano, nel loro assetto spontaneo, un profilo curvo convesso, con l’estremità libera rivolta in direzione dell’anzidetta testa a cuneo (4b).
Grazie all’anzidetta capacità di scorrimento all’interno del rispettivo foro (5), ciascuna di dette spine (4) è in grado di portarsi alternativamente dall’assetto non operativo mostrato nelle figure 3 e 6, all’assetto operativo mostrato nelle figure 2 e 7.
Fintanto che la spina (4) si mantenga nel suo assetto non operativo, è previsto che la sua anzidetta astina (4) assuma, nei confronti del rispettivo foro (5), una condizione di massimo arretramento, in corrispondenza della quale la rispettiva testa a cuneo (4b) mantiene un perfetto allineamento con una delle spire dell’anzidetta filettatura (3), assicurando continuità alla stessa e divenendone in pratica parte integrante.
In questo stesso assetto, l’anzidetta estremità posteriore arrotondata (4c) dell’astina (4a), insieme con i suoi anzidetti braccetti laterali (4d), aggetta brevemente dal rispettivo foro (5), disponendosi a sbalzo all’interno dell’anzidetto condotto cilindrico assiale (2) dello stelo tubolare (1).
L’anzidetta variazione di assetto della spina (4) si verifica a seguito di uno scorrimento verso l’esterno compiuto dalla rispettiva astina (4a) all’interno del rispettivo foro (5).
Al termine di un simile scorrimento, infatti, la spina (4) raggiunge il suo assetto operativo, ponendosi in una condizione in cui la rispettiva testa a cuneo (4b) assume una posizione sensibilmente avanzata nei confronti della relativa spira della filettatura (3), mentre la rispettiva estremità posteriore (4c) penetra interamente nel rispettivo foro (5), liberando completamente la sezione dell’anzidetto condotto assiale (2) dello stelo cilindrico (1), sì da renderla idonea ad accogliere esattamente un usuale rispettivo moncone.
L’avanzamento verso l’esterno dell’astina (4a) di ciascuna spina (4) termina nel momento in cui gli anzidetti rispettivi braccetti laterali (4d) – funzionando alla stregua di autentici mezzi di fine corsa – si portino energicamente a battuta contro la parete interna del condotto assiale (2) e, più precisamente sul fondo dell’anzidetta gola elicoidale (6) ivi realizzata.
In tal modo i due braccetti (4d) subiscono una deformazione elastica che li porta ad assumere in pratica un profilo concavo, che riproduce esattamente l’andamento curvo della parete interna del condotto assiale (2), secondo quanto mostrato nella citata figura 4.
La figura 3 permette anche di verificare come ciascuno degli anzidetti fori (5) ottenuti sullo stelo tubolare (1) siano dotati, in corrispondenza dei rispettivi fianchi, di due identiche scanalature longitudinali mediane (5b).
Tali scanalature (5b) consentono il passaggio degli anzidetti braccetti laterali (4d) della rispettiva spina (4), nel momento in cui quest’ultima sia infilata, dall’esterno verso l’interno, all’interno dello specifico foro di destinazione (5).
Dopo aver chiarito quale sia la configurazione dell’impianto secondo il trovato (A), non resta che descrivere le modalità di posa in opera e di funzionamento dello stesso.
Ebbene, allorquando si tratti di fissare l’impianto medesimo (A) nell’osso del paziente, occorre innanzitutto verificare che lo stesso si mantenga nel suo anzidetto assetto non operativo, mostrato in figura 6.
In tale condizione l’impianto (A) va usualmente avvitato all’osso del paziente, sfruttando la sua anzidetta filettatura esterna (3).
Una simile operazione va effettuata con un utensile – sostanzialmente un giravite – in grado di infilarsi entro l’anzidetto condotto assiale (2) dello stelo tubolare (1), nonché dotato di una testa poligonale atta ad accoppiarsi prismaticamente con l’anzidetta impronta (2a) prevista sul fondo del condotto medesimo (2).
A seguito di un simile accoppiamento prismatico, la rotazione dell’anzidetto utensile si trasmette allo stelo (1) che dunque può effettivamente penetrare ed impegnarsi stabilmente nell’osso del paziente.
Si avverte peraltro che l’anzidetto utensile preposto a consentire l’avvitamento all’osso dello stelo tubolare (1) deve essere sufficientemente sottile da non interferire con le anzidette estremità posteriori (4c) delle spine radiali (4) che, nel frattempo, si trovano ancora a debordare parzialmente sull’interno del condotto assiale (2) dello stelo tubolare medesimo (1).
Una volta completato l’avvitamento dell’impianto (A) nell’osso del paziente, occorre provvedere all’espulsione delle anzidette spine radiali (4), in maniera che le stesse – una volta condotte nel loro anzidetto assetto operativo – possano saldamente conficcarsi nell’osso circostante con le rispettive teste a cuneo (4b).
In tal modo si realizza, per l’appunto, il desiderato stabile fissaggio dell’impianto medesimo (A) nel rispettivo sito di destinazione.
Ebbene una simile espulsione delle spine (4) viene eseguita inserendo all’interno del condotto assiale (2) dell’anzidetto stelo tubolare (1), attraverso l’anzidetto foro d’imboccatura (2a), un tappo espulsore (T) atto ad occupare esattamente l’intera altezza del condotto medesimo (2), secondo quanto espressamente mostrato nelle figure 8 e 9.
Si tratta in realtà di un tappo alternativo ai tipici “tappi di guarigione”, quelli cioè che vengono usualmente infilati e mantenuti all’interno di qualsiasi impianto per il tempo necessario a consentire a quest’ultimo di consolidarsi all’interno dell’osso del paziente.
Nella normale prassi implantologica è previsto infatti che qualsiasi impianto sia accoppiato con il rispettivo moncone e con la rispettiva corona solo dopo che si abbia avuto la certezza che l’impianto stesso si sia debitamente stabilizzato all’interno dell’osso del paziente.
Tornando però alla presente invenzione, è facile comprendere come l’inserimento dell’anzidetto tappo espulsore (T) – opportunamente dotato di una punta ad ogiva (P) – entro il condotto assiale (2) dello stelo cilindrico (1) abbia l’effetto di interferire con le anzidette estremità posteriori (4c) delle astine (4a) delle spine (4).
Proprio l’interferenza dell’anzidetta punta ad ogiva (P) con le estremità posteriori (4c) delle astine (4a) genera una spina dall’interno verso l’esterno nei confronti delle astine medesime (4a), fino a condurre le stesse in condizione di massima estrazione, vale a dire nel loro anzidetto assetto operativo mostrato nella figura 7.
Si ribadisce che, in tale condizione, le teste a cuneo (4b) delle spine (4) si conficcano nell’osso del paziente tutto intorno allo stelo tubolare (1), tanto da garantirne uno stabile fissaggio.
Si è anche considerato che l’osso del paziente potrebbe rivelarsi particolarmente duro e che dunque una o più delle anzidette spine (4) potrebbero non riuscire – a causa della resistenza incontrata – a completare in tutto o in parte la loro espulsione verso l’esterno.
In questo caso, infatti, le loro anzidette estremità posteriori (4c) resterebbero ad occupare parzialmente il condotto assiale (2) dello stelo cilindrico (1), rendendo impossibile il successivo insediamento del rispettivo moncone.
Per superare un simile inconveniente è previsto che l’impianto secondo il trovato (A) debba prevedere a corredo anche un tappo carotatore, vale a dire un tappo che, nell’infilarsi esattamente all’interno del condotto assiale (2) dello stelo tubolare (1), sia in grado di recidere le estremità posteriori (4c) di quelle astine (4) che si trovino ancora a debordare all’interno del condotto assiale medesimo (2). Una volta che queste estremità (4c) siano tagliate e siano successivamente “precipitate” verso il fondo dell’anzidetto condotto assiale (2) – sostanzialmente all’altezza dell’anzidetta rispettiva impronta esagonale (2a) – il dentista potrà facilmente rimuoverle, tramite un normale dispositivo aspiratore, liberando perfettamente l’accesso al moncone destinato ad essere innestato nell’impianto secondo il trovato (A).
Si precisa infine che nella preferita forma di realizzazione del trovato mostrata in figura 1 è previsto che le anzidette spine radiali (4) siano realizzate in corrispondenza di due spire non consecutive dell’anzidetta filettatura esterna (3) dello stelo tubolare (1), senza interessare la spira che occupa la quota maggiore nell’ambito dello stelo medesimo (1).
In questo senso è evidente come l’inserimento dell’anzidetto tappo espulsore (T) provochi dapprima l’espulsione delle spine (4) che operano in corrispondenza della spira più prossima all’imboccatura dello stelo tubolare (1) e successivamente l’espulsione delle spine (4) che operano in corrispondenza della spira più prossima all’estremità rastremata (1b) dello stelo medesimo (1).
Per consentire una migliore gestione operativa dell’impianto in questione (A) è previsto che l’anzidetto tappo espulsore (T) rechi due tacche anulari (T1, T2) dislocate ad una distanza che corrisponde sostanzialmente a quella prevista, in seno allo stelo tubolare (1), tra le due anzidette serie di spine estraibili (4).
Ebbene, allorquando il tappo medesimo (T) sia infilato entro il condotto assiale (2) dello stelo tubolare (1), l’osservazione delle due anzidette tacche (T1, T2) consente di capire in tempo reale quali delle due serie di spine (4) sia stata effettivamente espulsa.
La figura 9 mostra, in particolare, una condizione in cui il tappo anzidetto (T) sia stato infilato solo parzialmente entro lo stelo tubolare (1), in maniera tale che la sua seconda tacca (T2), quella più prossima alla sua estremità inferiore, sia già “scomparsa” all’interno dello stelo tubolare medesimo (1) e che la sua prima tacca (T1), quella più prossima alla sua testa allargata (TA) del tappo medesimo (T), sia ancora ben visibile all’esterno dello stelo tubolare (1).
Una simile condizione consente all’utente di dedurre che il tappo espulsore (T) abbia già generato l’espulsione della prima serie di spine radiali (4), quella più vicina all’imboccatura (1a) dello stelo tubolare (1), ma non ancora l’espulsione della seconda serie di tali spine (4), quella più prossima all’estremità rastremata (1b) di detto stelo (2).
In ogni caso, non appena tutte le spine radiali (4) siano debitamente fuoriuscite dai rispettivi fori (5), è previsto che l’anzidetto tappo espulsore (T) sia estratto dallo stelo tubolare (1), per essere sostituito da un tappo di guarigione di tipo tradizionale, il quale, per l’appunto, dovrà poi rimanere all’interno dell’impianto in questione (A) per tutto il tempo necessario a consentire a quest’ultimo di consolidarsi nell’osso del paziente.

Claims (10)

  1. RIVENDICAZIONI 1) Impianto per protesi dentali consistente in uno stelo tubolare metallico (1) dotato di: - un’estremità inferiore chiusa (1b), nonché rastremata - un foro d’imboccatura superiore (1a) che dà accesso ad un condotto assiale (2a), sostanzialmente cilindrico, che ne occupa pressoché l’intera altezza e che reca sul fondo un’impronta esagonale (2a) - una filettatura (3) eseguita in corrispondenza delle sue pareti esterne, impianto (A) caratterizzato per il fatto di recare una pluralità di spine radiali estraibili (4) infilate, con possibilità di scorrimento, all’interno di rispettivi fori (5) che si estendono dalla parete interna dell’anzidetta condotto assiale (2) alla parete esterna dell’anzidetto stelo tubolare (1) e che sono disposti ortogonalmente all’asse del condotto assiale medesimo (2); in cui ciascuna di dette spine estraibili (4) risulta in grado, grazie alla sua anzidetta capacità di scorrimento, di passare da un assetto non operativo, in corrispondenza del quale la sua testa a cuneo (4b) si mantiene a filo con la parete esterna dell’anzidetto stelo cilindrico (1) e la sua estremità posteriore (4c) occupa parzialmente la sezione dell’anzidetto condotto assiale (2), ad un assetto operativo, in corrispondenza del quale l’anzidetta testa a cuneo (4b) aggetta oltre la parete esterna dello stelo cilindrico (1) e l’anzidetta estremità posteriore (4c) libera interamente la sezione dell’anzidetto condotto assiale (2), fino ad interferire con i propri mezzi di fine corsa (4d) contro un punto di battuta (6) previsto sulle pareti interne dello stesso condotto assiale (2); in cui le anzidette estremità posteriori (4c) delle spine (4) lasciano libera, fintanto che le spine medesime (4) si trovano nel loro anzidetto assetto non operativo, una sezione centrale dell’anzidetto condotto assiale (2), sì da consentire il passaggio di utensile con punta destinato ad accoppiarsi con l’anzidetta impronta esagonale (2a) prevista sul fondo del condotto medesimo (2).
  2. 2) Impianto secondo la rivendicazione 1, in cui gli anzidetti fori (5) sono realizzate in corrispondenza delle spire dell’anzidetta filettatura esterna (3) ed in cui l’anzidetta testa a cuneo (4b) di ciascuna delle anzidette spine (4) riproduce esattamente il profilo delle spire della filettatura medesima (3).
  3. 3) Impianto secondo la rivendicazione 2, in cui gli anzidetti fori (5) sono realizzati in corrispondenza di due spire non consecutive dell’anzidetta filettatura esterna (3); in cui i fori (5) realizzati in corrispondenza di ciascuna di tali spire sono disposti ad intervalli angolari di circa 90°.
  4. 4) Impianto secondo una delle rivendicazioni precedenti, in cui ciascuna delle anzidette spine (4) consiste in un’astina (4a), di sezione sostanzialmente quadrata, atta ad infilarsi e a scorrere esattamente entro uno degli anzidetti fori (5), rispetto al quale presenta una lunghezza maggiore; detta astina (4a) terminando anteriormente con l’anzidetta testa a cuneo (4b) e posteriormente con un’estremità arrotondata (4c), dalla quale aggettano lateralmente, da parti opposte, gli anzidetti mezzi di fine corsa (4d).
  5. 5) Impianto secondo una delle rivendicazioni precedenti, in cui gli anzidetti mezzi di fine corsa di ciascuna spina (4) consistono in una coppia di braccetti laterali (4d), simmetricamente contrapposti, atti a portarsi a battuta, nel momento in cui la rispettiva spina (4) raggiunge il suo anzidetto assetto operativo, sul fondo di una gola elicoidale (6) eseguita sulle pareti interne dell’anzidetto condotto assiale (2) in una posizione corrispondente ad una delle spire dell’anzidetta filettatura esterna (3).
  6. 6) Impianto secondo la rivendicazione 5, in cui i due anzidetti braccetti laterali (4d), elasticamente deformabili, mantengono, fintanto che la rispettiva spina (4) sia nel suo assetto non operativo, un profilo curvo convesso, con l’estremità libera rivolta in direzione dell’anzidetta testa a cuneo (4b) della rispettiva spina (4), per poi acquisire, nel momento in cui la spina medesima (4) abbia raggiunto il proprio assetto operativo, un profilo concavo che riproduce esattamente l’andamento curvo della parete interna dell’anzidetto condotto assiale (2) e, più precisamente, della rispettiva anzidetta gola elicoidale (6).
  7. 7) Impianto secondo una delle rivendicazioni precedenti, in cui ciascuno degli anzidetti fori (5), sostanzialmente quadrati, dello stelo tubolare (1) recano, in corrispondenza dei rispettivi fianchi, due identiche scanalature longitudinali mediane (5b) atte a consentire il passaggio degli anzidetti braccetti laterali (4d) della rispettiva spina (4), nel momento in cui la spina medesima (4) sia infilata, dall’esterno verso l’esterno dello stelo tubolare medesimo (1), nel suo rispettivo foro di alloggiamento e di scorrimento (5).
  8. 8) Impianto secondo una delle rivendicazioni precedenti, in cui il suo anzidetto condotto assiale (2) è atto ad accogliere esattamente, attraverso l’anzidetto foro d’imboccatura (1a), un tappo espulsore (T) che adotta una testa allargata (TA) ed una punta ad ogiva (P) atta ad interferire, nel corso della sua discesa all’interno del condotto medesimo (2), con le anzidette estremità posteriori (4c) delle spine (4), sì da imporre a dette spine (4) uno scorrimento verso l’esterno dello stelo tubolare (1), fino al raggiungimento del loro anzidetto assetto operativo.
  9. 9) Impianto secondo la rivendicazione 8, in cui l’anzidetto tappo espulsore (T) presenta due tacche anulari (T1, T2) dislocate ad una distanza che corrisponde sostanzialmente a quella prevista, in seno allo stelo tubolare (1), tra le due serie di spine (4) previste in corrispondenza di due spire non consecutive dell’anzidetta filettatura esterna (3).
  10. 10) Impianto secondo una delle rivendicazioni precedenti, in cui l’anzidetto condotto assiale (2) è atto ad accogliere esattamente un tappo carotatore capace, nel corso della sua discesa lungo detto condotto (2), di recidere le anzidette estremità posteriori (4c) delle spine (4) che si trovassero ancora ad occupare parzialmente la sezione del condotto medesimo (2).
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