ITUB201647722U1 - Convertitore di energia delle onde del mare - Google Patents

Convertitore di energia delle onde del mare

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ITUB201647722U1
ITUB201647722U1 ITUB2016U047722U ITUB201647722U ITUB201647722U1 IT UB201647722 U1 ITUB201647722 U1 IT UB201647722U1 IT UB2016U047722 U ITUB2016U047722 U IT UB2016U047722U IT UB201647722 U ITUB201647722 U IT UB201647722U IT UB201647722 U1 ITUB201647722 U1 IT UB201647722U1
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stabilizing cylinder
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ITUB2016U047722U
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Giorgio Liberato
Davide Liberato
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Giorgio Liberato
Davide Liberato
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DESCRIZIONE DI INVENZIONE INDUSTRIALE
AVENTE PER TITOLO: CONVERTITORE DI ENERGIA DELLE ONDE DEL MARE CON BOA FLUTTUANTE RICHIEDENTE:
DESCRIZIONE
PREMESSA
Il fabbisogno energetico sempre crescente sta coinvolgendo ormai ogni parte del mondo, ne conseguirà un precoce esaurimento delle fonti comunemente usate ed un inarrestabile aumento dell'inquinamento atmosferico ed ambientale in genere.
Nel corso degli anni, questa pressante richiesta ha spinto i paesi maggiormente industrializzati a investire in fonti di energia alternativa, quali vento, luce, calore spontaneamente generati dalla terra; queste energie data la loro inesauribilità sono state definite "rinnovabili". Alle più classiche forme di energia rinnovabile, come quella eolica o quella fotovoltaica, se ne affianca una ancora poco sfruttata: l'energia ricavabile dalle onde marine e oceaniche.
Se reso possibile, il connubio tra queste diverse fonti energetiche sarebbe vincente nel diminuire l'attuale dipendenza dai combustibili fossili, dannosi e inquinanti. La questione è che mentre nel campo delle fonti eoliche e fotovoltaiche i risultati sono ormai apprezzabili, nel campo invece dell'energia dalle onde non esistano ad ora soluzioni tali da far considerare concorrenziale questa fonte.
Se però si considera che i mari e gli oceani del pianeta costituiscono una fonte illimitata di energia, diventa ineludibile portare avanti la ricerca investendo in essa grandi risorse economiche.
E' per questa ragione che molti governi, molti centri di ricerca, e molte compagnie stanno compiendo sforzi sempre maggiori per sviluppare tecnologie e conoscenze necessarie allo sfruttamento di questa fonte.
Il campo della tecnica, a cui la presente invenzione fa riferimento, è quello della produzione di energia elettrica dal moto ondoso dei mari. In particolare riguarda un dispositivo che consente di poter raccogliere questa energia.
INTRODUZIONE
Moto ondoso nei mari
L'onda marina è un movimento della superficie degli oceani e dei mari. E’ un moto di superficie delle acque dovute principalmente all'azione del vento; i venti possono farsi sentire, nel mare aperto, fino ad una profondità massima di 150 metri. In questo caso l'onda si forma perché il vento spinge lo strato d'acqua superficiale, cedendo parte della sua energia, e fornendolo di una velocità superiore allo strato d'acqua sottostante; per attrito ogni strato d'acqua con velocità differente tende a trascinare lo stato sottostante più lento e nel contempo a rallentare, da qui si capisce che se le onde non sono alimentate continuamente sono destinate a dissolversi se prima non incontrano un ostacolo. L'attrito tra il vento e la superficie dell'acqua fa muovere le particelle superficiali di un moto circolatorio. (FIG.1)
Energia dalle onde del mare
L’energia da onda ha i seguenti vantaggi:
- una maggiore diffusione e densità di energia rispetto ad altre fonti rinnovabili come il vento; - la variabilità oraria e giornaliera minore rispetto a quelle di altre risorse rinnovabili, come il vento, il sole o le correnti oceaniche;
- la favorevole variazione stagionale che segue il trend del consumo di energia elettrica nell'europa occidentale;
- la grande affidabilità con la quale i livelli ondosi, in una specifica località, possano essere previsti con largo anticipo;
- la possibilità di sfruttare ampie superfici oceaniche di molti chilometri quadrati;
- la possibile integrazione all'energia eolica, in quanto in presenza di vento si ha la contemporanea azione delle turbine eoliche e della generazione delle onde marine sulla superficie libera; - il basso impatto ambientale e visivo che ha la maggior parte dei dispositivi per la trasformazione di energia da onda rispetto ad esempio alle turbine eoliche; infatti dispositivi galleggianti di conversione di energia ondosa sono quasi invisibili sopra la linea dell'orizzonte, a differenza delle turbine eoliche che, sviluppandosi in altezza, hanno un impatto visivo più marcato.
Nonostante gli svariati vantaggi sopra elencati, anche queste energie hanno delle limitazioni nel loro utilizzo. Le cause possono essere:
- l’irregolarità dell'ampiezza della fase e della direzione d'onda: è difficile ottenere la massima efficienza di un dispositivo su tutta la gamma di frequenze di eccitazione;
- l’elevato carico strutturale sui dispositivi di conversione in caso di condizioni meteorologiche estreme, dove si raggiunge un carico pari a 100 volte il carico medio;
- la diversità di frequenza tra il movimento lento ed irregolare dell’onda e la frequenza di onde elettriche di ordine 500 volte maggiore;
- la bassa efficienza di conversione dell'energia ondosa in energia elettrica ;
-la difficoltà di stoccare l'energia dove essa viene prodotta, con conseguenti costi elevati di trasporto.
Convertitori di energia da onda. Classificazione e tipologie
I dispositivi in grado di generare energia elettrica sfruttando il moto ondoso vengono comunemente denominati Wave Energy Converters, ed utilizzano uno specifico sistema di estrazione dell’energia. In generale devono possedere i seguenti requisiti:
- devono essere a prova di tempesta͟, cioè devono poter sopportare le condizioni climatiche peggiori che si possono presentare, quindi anche altezze d’onda molto elevate;
- non devono essere troppo impattanti per l'ecosistema ed il territorio circostante;
- non devono essere troppo pesanti, poichè con l'aumento del peso aumentano anche i costi di produzione e di esercizio;
- debbono richiedere la minore manutenzione possibile;
- devono essere basati su tecnologie sottoposte a prova più volte, in modo da assicurare delle installazioni stabili e durature nel tempo.
Una prima classificazione è relativa alla posizione del dispositivo rispetto alla linea di costa. Sulla base di tale classificazione si hanno tre classi principali:
1- Shore-line o di prima generazione.
Questi dispositivi sono sulla costa o con una propria fondazione o incassati in strutture frangiflutti portuali. Vengono chiamati di prima generazione, in quanto sono state le prime tipologie studiate e installate poiché presentano semplificazioni di realizzazione rispetto alle altre tipologie. Vantaggi principali sono l'assenza di ormeggi profondi, di lunghi cavi elettrici sommersi ed un'agevole installazione e manutenzione. Questi dispositivi hanno a disposizione un regime ondoso sicuramente di minore potenza rispetto a quelli al largo. Allo sviluppo di questi dispositivi si possono opporre vari fattori, tra i quali: la necessità di caratteristiche geologiche particolari per evitare lo sprofondamento per sifonamento o l'instabilità per erosione al piede dell'opera; gli intervalli di marea, per massimizzarne il periodo di possibile utilizzo e quindi la produzione di energia; la presenza di un paesaggio spesso da tutelare e salvaguardare.
2- Near-shore o di seconda generazione.
Questi dispositivi normalmente sono installati in una fascia di transizione tra la riva e la zona di acque profonde, tipicamente su fondali di 20–30 m e ad una distanza dalla riva dell'ordine di 1000-2000 m. in questa zona, l'ampiezza delle onde aumenta risentendo della presenza del fondale. Analogamente ai dispositivi off-shore presentano elevati costi di installazione e manutenzione, ma generalmente minore impatto visivo e ambientale rispetto ai dispositivi shore-line.
3- Off-shore o di terza generazione.
Questi dispositivi sono installati in acque profonde (> 40m) dove le onde si propagano quasi senza risentire del fondale e quindi con minima dissipazione di energia. Sono tipicamente delle unità galleggianti ancorate al fondo che si basano sugli stessi principi di quelli di seconda generazione. Inizialmente non erano considerati attuabili a causa degli enormi costi di installazione, si sono poi diffusi con il continuo sviluppo delle tecnologie offshore anche in combinazione con le piattaforme petrolifere. I progetti più recenti si concentrano su dispositivi di non eccessivo ingombro che riescono a fornire alti livelli di energia quando vengano disposti in parchi onda.
Stato della tecnica ad oggi
Osservando da tempo l’evolversi di questa tecnologia, si avuto modo di vederla continuamente progredire negli anni.
Verrà tralasciata la descrizione dei dispositivi shore-line, che seguono un principio di funzionamento basato sulla loro stabile posizione, con vere e proprie opere di fondazione sulla costa, si evidenzierà solo qualche negatività: la prima e più gravosa è quella dell'impatto ambientale, la seconda è quella riguardante la sua limitata capacità di sopravvivenza alla violenza dell'infrangersi delle onde.
Verrà affrontata invece la casistica delle altre tipologie di dispositivi, sia near-shore che off-shore. In considerazione dell’ampia casistica qui si osservano solamente cinque varietà:
a. con strutture galleggianti, la cui energia viene ricavata dal movimento reciproco tra le parti che galleggiano,
b. con strutture galleggianti all'interno dei quali si trovano delle masse oscillanti, dal moto dei quali si ricava energia,
c. con strutture immerse la cui energia viene ricavata dai movimenti di queste strutture rispetto al fondo del mare,
d. con strutture immerse che sfruttano le correnti sottomarine per attivare turbine da cui ricavare elettricità,
e. infine con strutture galleggianti che anzichè produrre energia elettrica in mare, tramite pompaggio accumulano acqua in un grande invaso ricavato sulla terra ferma e, per caduta produrre poi energia come nelle centrali idroelettriche.
Le prime quattro varietà hanno la necessità di essere ancorate con cavo sul fondo del mare; alcuni di esse necessitano di più cavi di ancoraggio.
Certe sono in fase sperimentale, certe altre in corso di realizzazione ed altre ancora già in sito. Citiamo alcuni esemplari evidenziando solo qualche loro aspetto negativo.
Tra il tipo a. si trova: il Pelamis dela Ocean Power Delivery e il Sea Ray della columbia power Technology. Il primo richiede la direzionalità delle onde ed occupa una superficie di mare troppo estesa; il secondo richiede la direzionalità delle onde ed ha elevati costi di manutenzione.
Tra il tipo b. si trova: l’Iswec"͟, progetto del politecnico di Torino e il Pewec dell'Enea. Ambedue hanno bassa produttività.
Tra il tipo c. si trova il ͞Ragno͟, progetto della 40 South Energy, in istallazione da parte della Enel Power Green e l'Anaconda della Atkins Global . Ambedue hanno bassa produttività ed alti costi di manutenzione.
Tra il tipo d. si trova il ͞Gem o aquilone del mare la cui ricerca è portata avanti dall'Università di Napoli e l’͟Hidrolieu del gruppo francese Voith Hydro. Ambedue hanno bassa produttività ed alti costi di manutenzione.
Tra il tipo e. si trova la ͞Perth wave Energy della Carnige . Al grande vantaggio di produzione dell'energia come energia idroelettrica associa la difficoltà, quasi sempre insuperabile, di avere le disponibilità di aree necessarie per l’invaso sulla terra ferma.
Questa breve panoramica sullo stato attuale della tecnica, fa intuire la vastità e la complessità di questa tematica. Fa anche comprendere quante risorse dovranno ancora essere destinate ad essa.
DESCRIZIONE DEL TROVATO
Presentazione
Si richiede la protezione brevettuale di un dispositivo per la conversione dell'energia dalle onde del mare (Wave Energy Converters), chiamato ͟Convertitore di energia delle onde del mare con boa fluttuante͞ .
Tale dispositivo ha lo scopo di raccogliere l'energia dal moto delle onde del mare, e, secondo la classificazione sopra riportata, è del tipo appartenente sia alla seconda che alla terza generazione, nel senso che è istallabile sia near-shore che off-shore.
In considerazione dei suoi punti di forza, quali, il principio di funzionamento, la semplicità di realizzazione, il basso costo iniziale, il basso costo di manutenzione, la sua capacità di sopravvivenza ed infine la sua elevata efficienza, si ritiene che esso possa dare un contributo significativo al raggiungimento di un grande obiettivo: quello di dare, a costi concorrenziali, una enorme disponibilità di energia pulita, energia che la natura mette a disposizione dellìumanità.
Nei paragrafi che seguono si descrivono alcune caratteristiche, per rendere comprensibile il funzionamento del dispositivo. I piccoli dettagli sulle forme, dimensioni e pesi sono rinviati alle fasi progettuali e sperimentali successive. Vale ciò anche per quel che attengono le scelte delle apparecchiature quali cilindri, circuiti, pompe, accumulatori idraulici, motori, moltiplicatori di velocità, generatori, sensori, altri sistemi di sicurezza, ecc.
Parti componenti e forme
Le parti che compongono il dispositivo, oltre allo snodo, sono sostanzialmente due: una boa che è parzialmente immersa e galleggia sulla superficie del mare, un "cilindro stabilizzante che invece è totalmente immerso ed è appeso, tramite un robusto e particolare snodo, al centro della boa ed è ancorato con un cavo sul fondo del mare (FIG.3, FIG.4).
La forma della boa è quella di un cilindro piatto, di poco più spesso al centro, a bordo perimetrale arrotondato (FIG.2). La superficie sottostante, nella sua uniformità, minimizzerà il formarsi di vortici che potrebbero rallentare l’azione di sollevamento dell'estremità della boa e quindi della sua rotazione rispetto al cilindro stabilizzante͟ (FIG. 5), cilindro collegato alla boa ͟ per mezzo di un robusto giunto; sopra di esso, solidale con la boa ͟, vi è un vano protetto dove alloggeranno tutte le apparecchiature predisposte per la conversione dell'energia.
Il Cilindro stabilizzante è invece costituito da due semplici cilindri rigidamente collegati (FIG.10). -Quello superiore avrà diametro piccolo per non creare ostacolo alle onde, ma tale anche da poter resistere allo sforzo che gli viene trasmesso dalla boa tramite lo snodo; la sua altezza dovrà essere tale che l'azione dell'onda sul cilindro sottostante sia minimizzata ;FIG.3), questo in considerazione che l'azione si riduce fino ad azzerarsi ad una profondità pari alla metà della lunghezza d'onda ;FIG.
1).
-Quello inferiore avrà diametro maggiore (FIG. 3) , nel fondo del quale, tramite zavorra sarà concentrato il massimo del suo peso; in tal modo sarà massima la sua resistenza alla rotazione che gli verrà trasmessa dalla boa al passaggio dell'onda.
Il peso del ͞cilindro stabilizzante dovrà essere tale che unito a quello della boa incrementerà l'affondamento della stessa. Ai fini della massima produttività del dispositivo la percentuale ottimale di affondamento della boa verrà determinata con prove sperimentali. Da verifiche di massima si ritiene che l'affondamento complessivo della stessa possa essere compresa tra il 25% e il 50%. Giocheranno a determinare ciò i pesi di tutte le parti che compongono il dispositivo stesso, compreso lo zavorramento.
In tal modo la boa galleggerà in superficie mentre la struttura cilindrica resterà appesa ad essa tramite lo snodo e fissata sul fondo del mare tramite un cavo; si impediranno in tal modo spostamenti liberi sulla superficie del mare, saranno solo consentiti piccoli spostamenti fino a che il cavo si tende.
Snodo cardanico- sferico
Una importante parte del dispositivo è lo snodo tra la boa e il cilindro stabilizzante è un particolare snodo che ha le caratteristiche sia di un giunto cardanico che di un giunto sferico. E’ costituito principalmente da due calotte sferiche, una interna e l'altra esterna aventi ciascuna delle importanti particolarità e da alberi cardanici a croce.
La calotta esterna, di diametro adeguato alle misure della boa, ha uno sviluppo pari a una semisfera (FIG. N. 9), è realizzata in tecnopolimero di elevate qualità meccaniche; viene saldamente fissata al centro della boa nell’apposita sede (FIG. N.8, FIG.13), prima che la stessa viene calata in mare; inferiormente ha un'ampia apertura circolare necessaria per permettere alla boa di ruotare rispetto al cilindro stabilizzante͟.
La calotta interna, di forma particolare e di diametro che le consente di aderire e ruotare dentro la calotta esterna, ha anch'essa uno sviluppo di 180<°>(FIG.11); viene realizzata in tecnopolimero di elevate qualità meccaniche e, in alternativa in acciaio inox. Un tutt'uno con essa nel suo interno c'è un cilindro cavo di bloccaggio, con pareti di adeguato spessore e con diametro interno pari al diametro del cilindro superiore del cilindro stabilizzante ;FIG. N. 10) e tale che questo possa infilarsi dentro ed essere bloccato contro esso con bullonature o sistemi simili (FIG.15).
Una volta che la calotta interna poggia su quella esterna tenendo a se appeso il cilindro stabilizzante e chiudendo l'ampio foro centrale della boa (FIG. 15), vengono calati gli alberi cardanici a croce, poggiati e poi saldamente fissati con robustissime flange l’albero lungo sulla boa l'albero corto sulla calotta interna, lasciando libere le rotazioni della boa rispetto al cilindro stabilizzante͟(FIG. 18, fig. 19). Durante ogni rotazione si avrà uno scivolamento della calotta interna su quella esterna; la perfetta aderenza tra esse impedisce la risalita dell'acqua verso l’alto, tenendo in sostanza il meccanismo dello snodo all'astuccio ;FIG.17).
Il perfetto scivolamento tra le calotte rimane costante nel tempo, in considerazione della mancanza di usura tra le due superfici, questo perché tutte le forze e i carichi che interagiscono tra boa e cilindro stabilizzante vengono scaricati sulla boa stessa attraverso l'albero cardanico lungo. Un buon dimensionamento delle calotte, degli alberi cardanici e del loro sistema di bloccaggio, permetterà di avere la giusta robustezza dello snodo.
o snodo così realizzato, come gia detto, permette di tenere all'asciutto le parti meccaniche che ruotano. Permetterà inoltre di agganciare il cilindro stabilizzante alla boa con operazioni eseguite in mare senza nessuna complessità.
Di seguito e con ordine temporale si descrivono le varie fasi di aggancio.
1) La boa viene ammarata già con la calotta esterna fissata ad essa (FIG13).
2) Viene ammarato il cilindro stabilizzante, caricato di zavorra e lasciato affondare fino a che passi sotto la ͞ boa (FIG.10)
3) Tramite un cavo viene sollevato in modo che il cilindro superiore si infili nell'ampio foro centrale della boa (FIG.14).
4) Viene posta in sede la calotta interna in modo che il cilindro superiore si infili sul cilindro cavo della calotta interna (FIG.15).
5) Il cilindro cavo della calotta interna e il cilindro superiore vengono opportunamente bloccati tra loro. Viene rilasciato il cavo. La calotta interna poggerà su quella esterna.
6) Sopra i bordi delle calotte, nelle apposite sedi vengono poggiati gli alberi cardanici a croce e li saldamente bloccati: quello lungo alla boa e quello corto alla calotta interna, lasciando libere le rotazioni della boa rispetto al cilindro stabilizzante͟ (FIG.18, FIG.19).
7) Superiormente una calotta di copertura a chiusura stagna proteggerà l'intero snodo dalle onde.
Snodo cilindrico
Accettando un a lieve perdita di energia convertibile, in alternativa all'utilizzo dello snodo cardanico sferico, di costo senza dubbio elevato, si propone l'uso di un più semplice giunto cilindrico.
Se la direzione di avanzamento dell'onda non è ortogonale all'asse dello snodo, nel momento in cui la "boa" viene investita, questa tenderà a ruotare orizzontalmente fino a recuperare questa perpendicolarità. La quota di energia che farà ruotare orizzontalmente la "boa" è quella che verrà perduta. Da osservare, comunque, che la variabilità della direzione delle onde, nel tempo, è molto bassa.
Lo snodo cilindrico che si propone è concettualmente identico a quello cardanico-sferico; è realizzato da due calotte cilindriche anziché sferiche: una esterna (in tecnopolimero) (FIG. 21), fissata alla "boa"(FIG. 25), con un'ampia apertura sottostante, una interna (in tecnopolimero o in acciaio) (FIG.
23), che aderisce e ruota su quella esterna; nel suo centro, ad essa solidale, ha un cilindro cavo. In mare, una volta infilato dal basso, sul foro della calotta esterna, il "cilindro stabilizzante"(FIG. 26), si cala la calotta interna infilando e bloccando il suo cilindro cavo sul cilindro stabilizzante͟ stesso (FIG. 27). Viene successivamente calato l'albero del giunto (FIG.24) bloccandolo in modo rigido alla calotta interna (FIG 28) e quindi al "cilindro stabilizzante". Anche la "boa" verrà fissata all'albero, ma in modo che sia libera di ruotare attorno ad esso(FIG. 30, FIG. 31). Anche qui un buon dimensionamento delle calotte, dell'albero e del loro sistema di bloccaggio, permetterà di avere la giusta robustezza dello snodo.
Come nello snodo cardanico-sferico, questo snodo lascia integro sia il vantaggio di tenere le parti meccaniche rotanti protette dalla furia delle onde (FIG. 29), che quello di consentire un ammaraggio dell'intero dispositivo con operazioni eseguibili senza nessuna complessità.
Principio di funzionamento: moto del dispositivo
Questo dispositivo ha un particolare principio di funzionamento caratterizzato dalla sua forma, dall'assemblaggio delle singole parti, dalle sue dimensioni, dalle distribuzioni dei pesi, dalle inerzie, e dalla entità della immersione della "boa" . L'energia prodotta sarà quella che verrà ricavata dalla rotazione reciproca tra "boa" e "cilindro stabilizzante".
Durante il galleggiamento l'intero meccanismo, con la "boa" parzialmente affondata, potrà oscillare verticalmente o muoversi orizzontalmente fino a tendere il cavo di ancoraggio sul fondo.
Nel momento in cui la "boa" verrà investita dall"onda, verrà sollevata una sua estremità; vi sarà una rotazione della "boa" rispetto al "cilindro stabilizzante" sottostante(FIG. 5). La rotazione avverrà attorno ad un asse orizzontale, parallela all'onda, passante per lo snodo. Tale rotazione è dovuta alla spinta verso l'alto dell'onda (spinta di Archimede) agente sulla prima metà di "boa".
L'azione torcente della boa rispetto alla struttura sottostante tenderà a trascinarsi dietro anche quest'ultima, che ruoterà, sempre attorno allo stesso asse, ma in lieve ritardo e in minima parte, in considerazione della sua resistenza a spostarsi in acqua e della sua elevata inerzia (dovuta alla sua forma e al peso concentrato sul fondo).
Questa lieve perdita nella rotazione reciproca tra le due parti del dispositivo viene totalmente recuperata quando l'onda solleverà l'altra estremità della boa (FIG. 6) e così via ad ogni passaggio di onda.
In sostanza il "cilindro stabilizzante" funge da struttura fissa senza esserla, permettendo alla "boa" di ruotare rispetto ad essa con il massimo valore del momento torcente ad ogni passaggio di onda (FIG. 5, FIG. 6). Ne consegue una elevata produzione di energia elettrica, indipendentemente dalla direzione di provenienza dell'onda stessa.
Attivazione dei generatori
Le rotazioni reciproche tra la "boa" e la struttura sottostante attivano dei cilindri oleodinamici, posizionati al di sopra dello snodo, adeguatamente protetti. Tramite circuiti oleodinamici si trasmettono le pressioni alle pompe che a loro volta attivano i generatori di corrente.
Appositi sensori, rilevando alcuni parametri, quali ad esempio, accelerazioni angolari o pressioni, possono intervenire sui circuiti oleodinamici limitando le rotazioni stesse sia per la protezione del dispositivo che per regolare la produzione di energia. Durante le fasi sperimentali ed esecutive verranno comunque meglio individuati i complessi sistemi di macchinari più adatti all'uopo, sistemi che non costituiscono per ora oggetto di rivendicazioni brevettuali.
Tecnica costruttiva e assemblaggio
La semplicità delle forme dell'intero meccanismo rende celere tutto il processo costruttivo. Sia la "boa" che il "cilindro stabilizzante" possono essere ottenute assemblando porzioni di essi tramite saldature od anche ricorrendo alla tecnica della precompressione. Non si esclude l'uso, in futuro, di materiali alternativi all'acciaio, quali tecnopolimeri, fibre di vetro, fibre di carbonio, ecc. in considerazione anche degli imminenti sviluppi ed applicazioni delle stampanti 3D.
Date le dimensioni, le forme e i pesi delle singole parti che compongono l'intero dispositivo, esse possono essere realizzate in cantieri diversi ed anche lontani dal luogo di assemblaggio, per essere poi trasportati e assemblati nei cantieri che provvederanno all'ammaraggio. Direttamente in mare si provvederà ad unire la "boa" e il "cilindro stabilizzante" tramite il robusto giunto.
Una volta in acqua, rimane il trascinamento dell'intero dispositivo nel luogo di mare prescelto e il fissaggio con cavo al fondo.
Dimensioni
Il dispositivo ha dimensioni scalabili (FIG. 2, FIG. 3), possono, cioè, realizzarsi più piccoli o più grandi per renderli adatti ai moti ondosi del mare dove gli stessi verranno ubicati.
Per rendere le produzioni economicamente significative, le dimensioni della "boa" potranno variare da un minimo di 16,00 metri ad un massimo di 40,00-40,00 metri di diametro. Le prime adatte per altezze d'onda da 2,00-3,00 metri fino eccezionalmente ai 4,00 metri, le seconde per altezze d'onda fino eccezionalmente ai 10,00 -12,00 metri. Per il "cilindro stabilizzante" si ritengono comunque opportune altezze complessive pari a circa i 2/3 del diametro della boa, metà per il cilindro superiore e metà per quello inferiore, le restanti parti del dispositivo saranno di conseguenza anch'esse proporzionalmente dimensionate (FIG. 3).
Sopravvivenza e sistemi di sicurezza del meccanismo
Osservando la panoramica relativa alle soluzioni che si cimentano su meccanismi rigidamente e stabilmente fissati sul fondo del mare, spesso, purtroppo, si constata la loro completa distruzione. Dovendo far fronte, per un tempo illimitato, a qualunque condizione dei mari anche a quelle più estreme, il dispositivo sarà attentamente progettato in ogni suo dettaglio per minimizzare le sollecitazioni cui sarà sottoposto.
Come già detto, il meccanismo viene legato stabilmente tramite un cavo al fondo del mare (FIG. 4). Sarà libero di sollevarsi e di traslare sulla superficie del mare, fino a che il cavo si tende. Se l'azione dell'onda persiste nel trascinamento esso subirà affondamenti lasciando sempre libera la rotazione tra "boa" e "cilindro stabilizzante". Quando l'azione dell'onda diventa violenta gli affondamenti e gli eventuali sollevamenti della "boa" verranno fortemente rallentati dalla resistenza del "cilindro stabilizzante" a spostarsi in acqua; è un'azione ammortizzante che si verifica prima che il cavo di fondo si tende, rendendo meno violenta l'azione successiva.
Tali affondamenti, traslazioni e rotazioni, uniti a tutti gli altri sistemi di sicurezza preserveranno il dispositivo dalle azioni delle onde di altezze imprevedibili.
Le dimensioni, i pesi, le forme, i profili, la qualità dei materiali oltre a garantire la massima produttività energetica daranno la migliore condizione per la indistruttibilità e per la sopravvivenza del meccanismo in mare.
Sulle superfici, negli ancoraggi e nello snodo che permette le rotazioni tra le due parti del dispositivo, verranno posizionati appositi sensori che, rilevando pressioni, accelerazioni ed altri parametri, potranno agire sui circuiti oleodinamici per irrigidire il sistema adeguandolo al comportamento del moto ondoso.
Saranno particolarmente curati tutti i sistemi mobili e di ancoraggio, in particolar modo lo snodo. Tutte le parti verranno adeguatamente dimensionate per resistere ad ogni tipo di sollecitazione anche a quelle più estreme.
Verranno eseguiti test, verifiche e collaudi in tutte le fasi costruttive.
Verranno rilevati per lunghi periodi i fenomeni ondosi nei luoghi di mare dove si ritiene possano essere ubicati. Si utilizzeranno questi dati per determinare, verificare e perfezionare i modelli matematici da utilizzare per calcolare le condizioni estreme cui saranno sottoposti per tutto il periodo della loro vita, periodo che comunque dovrà essere dell'ordine di diverse decine di anni.
Vivaio di meccanismi
I meccanismi potranno essere ubicati sia in zone near-shore dove le profondità raggiungono le altezze minime necessarie, sia in zone offshore dove le distanze possono essere anche dell'ordine di qualche decina di chilometri dalla costa.
Potranno essere posizionati in mare sia a sviluppo lineare che a sviluppo areale.
Le distanze tra i singoli dispositivi, non dipendenti dalla profondità dei mari, potranno essere dell'ordine di una cinquantina di metri per la piccola tipologia e di una ottantina di metri per la grande tipologia (FIG. 7).
In considerazione di queste piccole distanze di rispetto necessarie, il numero di meccanismi per unità di superficie di mare potrà essere elevato. Di conseguenza elevata sarà la produzione di energia per unità di superficie di mare.
L'energia prodotta dall'insieme di dispositivi verrà portata su terra ferma tramite un cavo sottomarino poggiato sul fondo del mare; su terra ferma potrà essere collegato alla rete elettrica pubblica.
Produttività dei dispositivi
Come già detto il meccanismo è scalabile, variando opportunamente la sua grandezza, può adattarsi a tutti i mari, anche a quelli eccezionalmente tempestosi.
La produzione di energia, naturalmente, dipende sia dalla frequenza che dall' altezza delle onde. Da calcoli di estrema massima e da verifiche spartane eseguite in mare su un modellino in scala 1/10, risulta che un meccanismo con "boa" di 16,00 metri di diametro ed h = 2,00 metri, con onde di 3,00 metri, restituisce una potenza elettrica di circa 236 kw.
Calcolo di massima dell'energia prodotta da un esemplare
Ci si riferisce ad un esemplare avente la "boa" di 16 metri di diametro. Le sue dimensioni sono:
Diametro esterno = 16,00 m. Altezza = 2,00 m.
Da calcoli di massima si ha :
Volume pari a: 8,00 x 8,00 x 3,14 x 2,00= 401,92 m<3>
Per un affondamento della boa pari a 1/3, il meccanismo deve pesare 1/3 del volume della boa stessa espresso in kg, cioè 133.970 Kg, (escludendo naturalmente la zavorra necessaria per annullare la spinta di Archimede relativa al cilindro stabilizzante).
Nel passaggio dell'onda la spinta verso l'alto che solleva una estremità della boa è pari al peso corrispondente al volume inizialmente non immerso di metà boa. E' la spinta S di Archiede dovuta aN'affondammento aggiuntivo determinato dall'onda stessa. Tale spinta sostanzialente è pari a:
che è applicata nel centro di massa, che con buona approssimazione può essere determinato dalla Y= 4R/3n = 4 x 8,00 / 3x3,14 = 3,36 m.
Supponendo un'onda dell'altezza di 3,00 m, che porterebbe a sollevare l'estremità della boa della stessa quantità, avremo una pendenza della boa stessa pari a p=0,1875 e uno spostamento verso l'alto del centro di massa pari a:
h = y x p ;
Il Lavoro, espresso in Jaule, sarà pari a: L = forza peso x spostamento = 133.970 x 0,63 x 9,8 = 827.130 Jaule
Quando l'onda solleverà l'altra estremità della boa, complessivamente verrà compiuto un Lavoro pari a 165.426 Jaule.
Per una frequenza dell'onda pari a circa 7 secondi, avremo una potenza, espressa in watt, pari a: P = 165.426/7 = 236.323 watt. ; pari a 236,32 kw.
Parametri di raffronto
Riferito a questo meccanismo si possono avere alcuni parametri di raffronto con altri convertitori, • E' possibile rapportare la potenza prodotta, con la superficie di mare ad essa asservita .
Considerando che in un Km<2>possano essere sistemati 400 "boe fluttuanti" del tipo sopra descritto, potremmo, su questa superficie di mare, avere 94.520 Kw corrispondenti a 94,52 megawatt ; energia sufficiente per una cittadina di oltre 50.000 abitanti. Si avrà, pertanto, una produttività riferita alla superficie del mare ad esso asservita Psm, pari a:
che fa ritenere la produttività per km<2>molto elevata.
• E' possibile anche rapportare il costo di costruzione del meccanismo al valore dei kwh prodotti in un anno.
Ipotizzando che il costo si possa aggirare attorno a 700.000 euro (valore prudenzialmente in eccesso) e il prezzo del kwh pari a 0,07 euro, si otterranno il numero di anni necessari per ammortizzare il dispositivo :
700.000 /236,30 x 24 x 360 x 0,07= 4,89 anni
che senz'altro fa ritenere l'investimento molto interessante, in considerazione delle diverse decine di anni di durata del meccanismo.
Rispetto delle normative
I dati rilevati sui fenomeni ondosi, i test, le verifiche, i calcoli e tutti gli elaborati grafici verranno sottoposti agli esami delle Autorità OFFSHORE OIL E GAS per verificarne il rispetto dei relativi standard di sicurezza. Così pure, periodicamente, dopo l'installazione, gli impianti saranno sottoposti a ispezioni da parte di autorità esterne, indipendenti, perché possano verificarne il rispetto delle norme sulla sicurezza.
Punti di forza
Le caratteristiche insite nel funzionamento d'insieme di questo convertitore, costituiscono i suoi punti di forza.
Riassumendo, vengono brevemente descritte queste caratteristiche, evidenziandone le positività.
• E' completamente galleggiante. E' solo fissato con un cavo sul fondo del mare e rispetto ad un meccanismo stabilmente ancorato:
o abbassa i costi di realizzazione
o migliora la sopravvivenza
• E' estremamente compatto. E' sostanzialmente costituito da due grandi contenitori e da un vano protetto per generatori e macchinari annessi.
o abbassa i costi di realizzazione
o abbassa i costi di manutenzione
o migliora la sopravvivenza
• La "boa" è piatta, è senza irregolarità superficiali, galleggia sulla superficie fuoriuscendo dal pelo libero solamente un paio di metri. Nel suo centro, verso l'alto, sporge di poco un vano per i macchinari.
o abbassa i costi di manutenzione
o migliora la sopravvivenza
o minimizza l'impatto ambientale
• E' scalabile, è cioè adattabile sia ai mari con onde altissime (mari del nord) sia ai mari con onde di altezza limitata (mari del mediterraneo). Basta sostanzialmente ed opportunamente variare le sue dimensioni.
o annulla i costi di ricerca per dispositivi alternativi
• Occupa pochissima superficie di mare sia per la sua compattezza che per la sua limitata superficie di rispetto. Ne consegue la possibilità di inserire un maggior numero di meccanismi per unità di superficie di mare:
o aumenta la produttività per unità di superficie di mare
• Non è necessario orientarlo in mare. Funziona qualunque sia la direzione delle onde. Si adatta sia alle onde parallele del near-shore che a quelle più irregolari e variabili dell'o//-shore.
o allarga il suo campo di applicazione
• E' altamente produttivo. Proporzionalmente alle sue dimensioni e al suo costo la produzione di energia è molto elevata:
o aumenta la produttività nel suo insieme
• La sua realizzazione è dislocabile. Se si esclude l'assemblaggio, le varie parti del dispositivo possono essere realizzati in altri luoghi, da altre aziende:
o velocizza la produzione
o minimizza i costi per concorrenza
• L'ammaraggio è semplice. Dopo aver lasciata in galleggiamento la "boa" ed aver lasciato verticalmente affondare il "cilindro stabilizzante" l'operazione si conclude avvicinando le parti e agganciandoli nel punto di snodo con operazioni non complesse. L'insieme può essere trascinato in mare fino al sito definitivo:
o bassi costi di ammaraggio
o bassi costi di trascinamento in mare
o bassi costi di fissaggio del cavo al fondo
Conclusioni
NeN'ampia panoramica con la quale è stato descritto questo dispositivo, si è cercato di non tralasciare aspetti importanti che ne fanno individuare il principio di funzionamento. Si è cercato anche di dettagliare alcuni particolari che, magari, pur se secondari , hanno dato un minimo contributo alla chiarezza e alla comprensione. Sicuramente alcune parti potevano essere trattate con una maggiore professionalità. Ci si riserva, nella fase appena successiva, di analizzare ogni problematica legata a questa tematica con maggiore ordine e con dovuto rigore scientifico.

Claims (6)

  1. RIVENDICAZIONI 1. Si rivendica la forma della "boa" fluttuante, assimilabile a un cilindro piatto, di poco più spesso al centro, con bordi perimetrali arrotondati. Rende il funzionamento del dispositivo indipendente dalla direzione delle onde; la sua forma compatta migliora la produttività e la sopravvivenza del meccanismo oltre a far diminuire i suoi costi di manutenzione (FIG. 2, FIG. 3).
  2. 2. Si rivendica la forma del "cilindro stabilizzante"assimilabile a due cilindri rigidamente collegati: - uno superiore di diametro piccolo, tale da minimizzare l'ostacolo al moto dell'onda ma tale anche da poter resistere allo sforzo che gli viene trasmesso dalla "boa" tramite il giunto; la sua altezza dovrà essere tale che l'azione dell'onda sul cilindro sottostante sia minimizzata (FIG. 3). Questo in considerazione che l'azione dell'onda si riduce, fino ad azzerarsi ad una profondità pari alla metà della lunghezza d'onda (FIG. 1). - uno inferiore di diametro più grande, all'interno del quale, sul fondo verrà inserita della zavorra in quantità tale da incrementare l'affondamento della "boa" nella percentuale desiderata.
  3. 3. Si rivendica la distribuzione dei pesi nel "cilindro stabilizzante". La sua forma è già tale che i pesi prevalentemente sono più in basso, a questo, come appena detto, si aggiunge il peso della zavorra, costituito magari da calcestruzzo cementizio sistemato sul fondo del cilindro sottostante.
  4. 4. Si rivendica, come conseguenza dei punti 2. e 3., il valore elevato del momento d'inerzia del "cilindro stabilizzante" rispetto agli assi orizzontali passanti per il giunto. In sostanza, quando l'onda solleverà una estremità della "boa", questa ruotando cercherà di trascinarsi dietro anche il "cilindro stabilizzante", il quale sia per la difficoltà a spostarsi in acqua, sia per la sua elevata inerzia, ruoterà pochissimo e in ritardo . Ne consegue che il "cilindro stabilizzante funge da struttura fissa senza esserla, permettendo alla "boa" di ruotare con il massimo valore del momento torcente ad ogni passaggio di onda. La piccola perdita nella rotazione relativa tra boa e cilindro stabilizzante viene recuperata quando l'onda solleva l'altra estremità della boa, e così ad ogni passaggio di onda. Ne conseguirà una elevata produzione di energia elettrica.
  5. 5. Si rivendica la forma e la composizione dello snodo, cardanico-sferico, tra "boa" e "cilindro stabilizzante" costituito principalmente da due calotte sferiche, una interna (FIG. 11), l'altra esterna (FIG. 9) e da due alberi cardanici disposti a croce (FIG. 12); ha le caratteristiche sia di un giunto cardanico che di un giunto sferico. La calotta esterna, di diametro adeguato alle misure della boa, ha uno sviluppo di una semisfera, è realizzata in tecnopolimero e viene saldamente fissata alla boa (FIG. 13); inferiormente ha una apertura sufficiente e necessaria per permettere alla "boa" di ruotare rispetto al "cilindro stabilizzante (FIG. 10). -La calotta interna, di diametro che le consente di aderire e ruotare dentro la calotta esterna, ha uno sviluppo anch'essa di 180°; è realizzata in acciaio o in tecnopolimero; un tutt'uno con essa nel suo interno c'e' un cilindro cavo di bloccaggio (FIG. 11), con diametro interno tale che il "cilindro stabilizzante" possa infilarsi dentro (FIG. 14) ed essere bloccato. Una volta che la calotta interna è nella sua sede (FIG. 15), si inseriscono gli assi cardanici (FIG. 16), bloccandoli con robustissime flange: l'albero lungo alla "boa , l'albero corto alla calotta interna. In tal modo restano libere le rotazioni della "boa" rispetto al "cilindro stabilizzante" (FIG. 18, FIG. 19). Durante ogni rotazione si avrà uno scivolamento della calotta interna su quella esterna; la perfetta aderenza tra esse impedisce la risalita dell'acqua verso l'alto, tenendo in sostanza il meccanismo dello snodo all'asciutto (FIG. 17). Ogni singola parte dello snodo verrà adeguatamente dimensionato. Lo snodo, così realizzato, permetterà di agganciare il "cilindro stabilizzante" alla "boa" con operazioni eseguite in mare senza nessuna complessità (pagg. 7 e 8 della descrizione).
  6. 6. Si rivendica la forma e la composizione dello snodo cilindrico concettualmente identico allo snodo cardanico-sferico ma di costo senza dubbio più basso (dalla FIG. 20 alla FIG. 31). Ha delle calotte cilindriche anziché sferiche. Come lo snodo cardanico-sferico, esso lascia integro sia il vantaggio di tenere le parti meccaniche rotanti protette dalla furia delle onde che quello di consentire un ammaraggio dell'intero dispositivo con operazioni eseguibili senza nessuna complessità (pag. 8 della descrizione).
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