ITTO20111241A1 - Metodo per la diagnosi in vitro della malattia di parkinson - Google Patents

Metodo per la diagnosi in vitro della malattia di parkinson Download PDF

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ITTO20111241A1
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protein
differentially expressed
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parkinson
disease
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IT001241A
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Tiziana Alberio
Mauro Fasano
Leonardo Lopiano
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Uni Degli Studi Dell Insubr Ia
Univ Degli Studi Torino
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Description

“Metodo per la diagnosi in vitro della malattia di Parkinsonâ€
TESTO DELLA DESCRIZIONE
Campo dell’invenzione
La presente descrizione riguarda un procedimento per la diagnosi in vitro della malattia di Parkinson.
Sfondo tecnologico
La malattia di Parkinson (MP) à ̈ una patologia neurodegenerativa cronica, progressiva, caratterizzata da sintomi motori e non motori con un’eziologia multifattoriale.
La MP à ̈ principalmente associata alla degenerazione dei neuroni dopaminergici della Substantia Nigra pars compacta (SNpc) mesencefalica e costituisce la seconda patologia neurodegenerativa più frequente dopo la malattia di Alzheimer.
L’incidenza e la prevalenza della malattia aumentano in relazione all’età; la prevalenza si attesta a 1-2% nelle persone oltre i 50 anni ed aumenta fino a 4-5% negli individui oltre gli 85 anni.
La diagnosi clinica di MP (possibile o probabile durante la vita del paziente) si basa sulla presenza in varie combinazioni dei sintomi cardinali: tremore a riposo, bradicinesia, rigidità e instabilità posturale. Il quadro clinico della MP presenta, tuttavia, anche un'ampia varietà di sintomi non motori, quali deficit cognitivi, allucinazioni, depressione, ansia, disturbi del sonno, perdita dell’olfatto e sintomi neurovegetativi come ipotensione, stipsi, impotenza e alterata sudorazione. Tali sintomi sono spesso già presenti nella fasi più precoci della malattia e possono precedere anche di alcuni anni l’insorgenza dei sintomi motori.
La diagnosi di MP à ̈ a tutt’oggi una diagnosi essenzialmente clinica ed à ̈ stato calcolato che nei centri più esperti l’errore diagnostico può arrivare fino a percentuali del 10-20%; se la diagnosi viene invece eseguita da medici di medicina generale l’errore può arrivare fino al 50%. La diagnosi clinica à ̈ supportata da una buona e duratura risposta ai farmaci dopaminergici; nei casi dubbi si può ricorrere a indagini di imaging funzionale (SPECT, PET) che sono, tuttavia, molto costose e gravate da una quota non irrilevante di falsi negativi. La conferma diagnostica richiede l’esame autoptico (diagnosi definita di MP).
La US FDA (United States Food and Drug Administration) definisce un biomarker “ogni caratteristica che può essere misurata e valutata oggettivamente come un indicatore di un normale processo biologico, di un processo patogenetico o di una risposta farmacologica ad un intervento terapeutico†.
Nel caso della MP, la scoperta di biomarker à ̈ attualmente considerata una priorità assoluta poiché avrebbe rilevanti ricadute, sia a livello sperimentale, sia sul piano clinico (Figura 1). La necessità di sviluppare biomarker per la diagnosi di MP à ̈ anzitutto determinata dall’assenza di test diagnostici affidabili. Inoltre, biomarker di MP potrebbero portare all’identificazione di soggetti a rischio prima che insorgano i sintomi motori, permettendo di intervenire con terapie neuroprotettive (in grado di rallentare la progressione di malattia) in uno stadio precoce, quando il processo neurodegenerativo à ̈ ancora in uno stadio iniziale. Infatti, quando compaiono i sintomi motori la degenerazione ha già interessato il 60-70% dei neuroni dopaminergici della SNpc mesencefalica.
Un altro aspetto rilevante dell’applicazione clinica di biomarker riguarda la diagnosi differenziale della MP. L’errore diagnostico à ̈ principalmente dovuto all’esistenza di sindromi parkinsoniane che all’esordio possono essere molto simili alla MP, ma che successivamente manifestano caratteristiche cliniche e decorso di malattia differenti (parkinsonismi degenerativi atipici). Tali forme di malattia hanno una prognosi diversa rispetto alla MP e necessitano di un approccio terapeutico differente.
Inoltre, anche nell’ambito della MP esistono diversi fenotipi clinici con decorso, risposta alle terapie e prognosi differenti. Anche in questi casi i biomarker potrebbero consentire una diagnosi differenziale con possibilità di “personalizzare†la terapia dei singoli pazienti.
Un’altra importante applicazione dei biomarker riguarda il monitoraggio della progressione di malattia (influenzata da numerosi fattori tra cui il fenotipo clinico, il carico genetico nella eziopatogenesi, le diverse terapie utilizzate). Ottenere biomarker che caratterizzano le diverse fasi della malattia (iniziale, intermedia, avanzata) potrebbe innanzitutto permettere di studiare l’impatto di vari fattori sulla progressione di malattia (con la possibilità di modificarli) ed inoltre permetterebbe di studiare l’effetto di terapie neuroprotettive.
Attualmente lo studio di farmaci ad azione neuroprotettiva à ̈ reso difficile dalla difficoltà di monitorare markers clinici oggettivi e specifici; inoltre, anche le tecniche di imaging funzionale non correlano con la progressione clinica della malattia e da un punto di vista tecnico sono influenzate dalla terapia stessa. L’utilizzo di biomarker di progressione di malattia potrebbe essere fondamentale per lo sviluppo di farmaci in grado di modificare il decorso della malattia e di valutarne in modo oggettivo l’efficacia.
Al momento sono stati individuati diversi possibili biomarker potenzialmente utilizzabili per la diagnosi e per la progressione della MP (Tabella 1).
Tabella 1
Biomarker Potenziale pratico Costo Molto pratico, non
Deficit olfattivi $
specifico
Frequenza movimenti intestinali ridotta Altamente non specifico $
Disturbi idiopatici del sonno REM Non specifico $$$ Riduzione di DA e DAT nel SNC mediante Molto pratico, non
$$$ radiotraccianti specifico
Iperecogenicità SNpc Tecnica complessa $$
Cambiamenti della SNpc (mediante NMR) Tecnica complessa $$$
Oligomeri di α-sinucleina nel plasma Tecnica complessa $ DA, dopamina;DAT, trasportatore della dopamina; SNC, sistema nervoso centrale; SNpc, substantia nigra pars compacta; NMR, Risonanza magnetica nucleare
Tra questi vi sono biomarker clinici, biomarker che utilizzano tecniche di imaging o biomarker presenti in fluidi corporei. Tra quelli di tipo clinico sembrano promettenti lo studio dei disturbi del sonno REM, dei deficit olfattivi e della stipsi nello stadio pre-motorio della malattia. Tra le tecniche di imaging funzionale vengono utilizzati vari radiotraccianti in grado di studiare i versanti pre- e post-sinaptico della sinapsi dopaminergica; vengono inoltre utilizzate metodiche di Risonanza Magnetica Nucleare funzionale e l'ecografia transcranica.
Queste tecniche sono promettenti, ma spesso dotate di scarsa specificità, richiedendo inoltre personale altamente specializzato e costi elevati.
I potenziali biomarker presenti nei fluidi corporei presentano caratteristiche che li rendono molto interessanti da un punto di vista applicativo; essi potrebbero essere misurati mediante test più semplici, meno invasivi e meno costosi.
Tra i più studiati vi sono diverse proteine correlate alla malattia, ma sembrano essere utili anche diversi marcatori di stress ossidativo e l’acido urico.
Esistono pertanto diversi possibili candidati biomarker nel sangue, nel liquido cerebrospinale (LCS) o nei tessuti, ma al momento attuale tutti necessitano di ulteriori conferme e di una validazione su larga scala. Nel caso di proteine o metaboliti dei distretti periferici à ̈ inoltre necessario porre attenzione ai possibili effetti determinati dalla terapia farmacologica sia a livello sperimentale, sia per la validazione in modo da evitare bias nell’identificazione di potenziali marcatori periferici.
Tra le cellule dei distretti periferici, i linfociti circolanti (PBL, Peripheral Blood Lymphocytes) sembrano essere particolarmente promettenti. Essi sono facili da ottenere e alcune alterazioni funzionali sono state osservate a carico di queste cellule nei pazienti con MP. Le funzioni di alcune cellule del sistema immunitario, tra cui i linfociti T, vengono regolate non solo dalle citochine, ma anche da diversi neurotrasmettitori tra cui la dopamina. Per tutte queste considerazioni, i linfociti T possono essere considerati cellule dopaminergiche circolanti, quindi potrebbero mostrare una maggiore suscettibilità ai danni da stress ossidativo. I linfociti T potrebbero anche riflettere alterazioni su base genetica. Come già menzionato essi esprimono diverse proteine coinvolte nel metabolismo della dopamina, quindi si può ipotizzare che varianti geniche responsabili di alterazioni patologiche nel SNC abbiano effetti periferici sui linfociti T, sebbene mediante meccanismi differenti. Nel complesso questi dati sostengono il possibile utilizzo dei linfociti T come compartimento idoneo alla ricerca di biomarker della MP (Figura 2). Questo razionale à ̈ stato proposto dai presenti inventori a livello teorico e sulla base della letteratura scientifica (Fasano M, Alberio T, Lopiano L. Peripheral biomarkers of Parkinson's disease as early reporters of central neurodegeneration. Biomark Med.
2008; 2:465-478). Questa review ha preso in considerazione i diversi distretti periferici per la ricerca di marcatori biologici di MP, con particolare riferimento a fluidi biologici quali liquor e plasma che costituiscono le fonti di biomarker comunemente utilizzate. La possibilità di ricercare marcatori periferici anche nei linfociti à ̈ stata proposta come ipotesi. Questa à ̈ stata verificata in uno studio preliminare in cui sono state riportate differenze tra i livelli di proteine in piccoli gruppi di soggetti affetti da MP in fase molto avanzata (Mila S, Giuliano Albo A, Corpillo D, Giraudo S, Zibetti M, Bucci EM, Lopiano L, Fasano M. Lymphocyte proteomics of Parkinson's disease patients reveals cytoskeletal protein dysregulation and oxidative stress. Biomark Med. 2009; 3:117-128). Le indicazioni contenute in tale pubblicazione non hanno tuttavia permesso di identificare biomarker della MP per diverse ragioni: i. l'utilizzo di un pool disomogeneo di cellule a causa di una procedura di isolamento parziale; ii. la bassa numerosità del campione statistico in esame; iii. lo stato avanzato di malattia dei soggetti reclutati; e iv. un'analisi statistica dei dati semplificata. Per tutte le ragioni sopra elencate, il risultato di questo studio era unicamente volto a evidenziare eventuali differenze nelle cellule di sangue periferico a supporto del razionale. Di conseguenza, le proteine identificate in tale documento non possono essere considerate biomarker effettivi della malattia di Parkinson.
Con un'incidenza di 12000 nuovi casi all'anno solo in Italia, un esame oggettivo che possa dare un punteggio di compatibilità con la MP avrebbe una grandissima richiesta. Vista la possibilità non trascurabile di errore diagnostico, la disponibilità di un ulteriore strumento di conferma sarebbe ampiamente utilizzato. Inoltre, l'elevato costo delle tecniche di diagnostica per immagini e l'uso di radiotraccianti ad esse connesso ne prevengono l'uso come tecniche di screening di massa. Ancora più importante sarebbe la disponibilità di un test semplice, non pericoloso, non doloroso, a basso costo utilizzabile su gruppi di pazienti a rischio di sviluppare la MP.
Sommario dell’invenzione
Tenendo in considerazione queste premesse, à ̈ quindi sentita la necessità di identificare biomarker per la diagnosi della malattia di Parkinson rintracciabili in un campione di tessuto periferico.
In accordo con l’invenzione, il suddetto scopo à ̈ ottenuto grazie alla soluzione specificatamente richiamata nelle rivendicazioni allegate, che costituiscono parte integrale della presente descrizione.
In generale, la presente invenzione si riferisce a procedimenti per la diagnosi della malattia di Parkinson. Più in particolare, la presente invenzione identifica e descrive le proteine che sono differenzialmente espresse nella malattia di Parkinson rispetto alla loro espressione nello stato normale.
La presente descrizione concerne un procedimento in vitro per diagnosticare la malattia di Parkinson in un soggetto, dove il procedimento comprende la rilevazione di una o più proteine differenzialmente espresse individuate con i metodi descritti nel presente documento in un campione di tessuto periferico di detto soggetto.
La presente invenzione descrive, inoltre procedimenti per i) determinare lo stadio o il grado di progressione della malattia di Parkinson in un soggetto, ii) eseguire una diagnosi differenziale della malattia di Parkinson, iii) verificare la risposta farmacologica del paziente affetto da malattia di Parkinson, dove i procedimenti comprendeno la rilevazione di una o più proteine differenzialmente espresse individuate con i metodi descritti nel presente documento in un campione di tessuto di detto soggetto.
In una realizzazione preferita il procedimento comprende:
(a) creare almeno un panel di proteine in cui almeno una proteina à ̈ differenzialmente espressa in un campione del soggetto affetto dalla malattia di Parkinson;
(b) ottenere un campione dal soggetto;
(c) determinare la presenza, l'assenza o il grado di espressione della proteina o proteine differenzialmente espresse nel campione, e
(d) determinare la natura o il grado della malattia di Parkinson con riferimento ad una precedente correlazione tra tale determinazione e informazioni cliniche o confronto con soggetti di controllo sani.
Questo procedimento permette, inoltre, di correlare il tipo di malattia di Parkinson di un paziente con il trattamento profilattico o terapeutico, con lo stato di avanzamento della malattia e di discriminare tra le forme EOPD ed LOPD della malattia.
Convenientemente, il campione di tessuto periferico del paziente utilizzato nei procedimenti dell’invenzione à ̈ un estratto proteico di linfociti T.
Preferibilmente, almeno una delle proteine differenzialmente espresse à ̈ una proteina mostrata nelle tabelle 3, 4, 8 e 10.
In una prima forma di attuazione preferita, il procedimento di diagnosi in vitro della malattia di Parkinson in un soggetto comprende rivelare almeno una prima proteina differenzialmente espressa in un campione biologico del soggetto, in cui l’almeno una prima proteina differenzialmente espressa appartiene ad un primo panel diagnostico di proteine, in cui detto primo panel diagnostico comprende vinculina, talina-1, beta-fibrinogeno, filamina A, alfa tubulina, gelsolina.
In una seconda forma di attuazione, il procedimento comprende rivelare almeno una seconda proteina differenzialmente espressa, in cui l’almeno una seconda proteina differenzialmente espressa appartiene ad un secondo panel diagnostico di proteine, in cui il secondo panel diagnostico comprende proteina 1 linfocita-specifica, vimentina, moesina, trans-aldolasi, proteina 14-3-3 epsilon.
In una terza forma di attuazione della presente descrizione, il procedimento comprende rivelare almeno una terza proteina differenzialmente espressa, in cui l’almeno una terza proteina differenzialmente espressa appartiene ad un terzo panel diagnostico di proteine, in cui il terzo panel diagnostico comprende vimentina, septina-6, transaldolasi, twinfilina-2, inibitore della dissociazione di GDP da Rho isoforma 2, frammento di beta actina.
La presente descrizione concerne, in una ulteriore forma di realizzazione, un procedimento di diagnosi differenziale in vitro della malattia di Parkinson in un soggetto, in cui la diagnosi differenziale permette di distinguere tra uno stato LOPD (late onset Parkinson's disease) ed uno stato EOPD (early onset Parkinson's disease); il procedimento comprende rivelare almeno una proteina differenzialmente espressa in un campione biologico del soggetto, in cui l’almeno una proteina differenzialmente espressa appartiene ad un panel di diagnosi differenziale di proteine, in cui il panel di diagnosi differenziale comprende beta tubulina, proteina disolfuro isomerasi A3, vimentina, plastina-2, purina nucleoside fosforilasi, glutatione S-transferasi Pi, proteina che interagisce con PDCD6.
La presente descrizione concerne, in una ulteriore forma di realizzazione, un procedimento di diagnosi in vitro della progressione della malattia di Parkinson in un soggetto, dove il procedimento comprende rivelare almeno una proteina differenzialmente espressa in un campione biologico del soggetto, in cui l’almeno una proteina differenzialmente espressa appartiene ad un panel di progressione di proteine, in cui il panel di progressione comprende beta-fibrinogeno, vimentina, proteina 1 linfocita-specifica, plastina-2, moesina, gelsolina, proteina 14-3-3 epsilon.
La presente descrizione concerne, in una ulteriore forma di realizzazione, un procedimento di diagnosi in vitro di risposta al trattamento farmacologico della malattia di Parkinson in un soggetto, dove il procedimento comprende rivelare almeno una proteina differenzialmente espressa in un campione biologico del soggetto, in cui l’almeno una proteina differenzialmente espressa appartiene ad un panel di risposta farmacologica di proteine, in cui il panel di risposta farmacologica comprende prolidasi, ATP sintasi mitocondriale subunità beta, proteina 2 correlata ad actina, proteina capping di F-actina subunità beta, tropomiosina catena alfa-3, complesso attivatore del proteasoma subunità-1, perossiredossina-6, gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi, subunità beta del proteasoma tipo-2.
L'espressione di alcune proteine differenzialmente espresse può essere aumentata nei soggetti con malattia di Parkinson rispetto ai soggetti di controllo. L'espressione di altre proteine differenzialmente espresse può essere diminuita in soggetti con malattia di Parkinson rispetto ai soggetti di controllo. Le tabelle 4 e 8 indicano se l'espressione delle proteine qui descritte à ̈ aumentato o diminuito nella malattia di Parkinson rispetto ai soggetti di controllo. Emerge quindi chiaramente dai simboli (↑ e ↓) nelle tabelle 4 e 8 e dai valori log2.fold nelle tabelle 5 e 9 se un aumento o una diminuzione di espressione à ̈ indicativa dello stato di malattia. Emerge inoltre dagli andamenti riportati nelle tabelle 3 e 10 se un aumento o una diminuzione di espressione à ̈ indicativa rispettivamente della risposta farmacologica e della progressione della malattia.
Le proteine differenzialmente espresse possono essere rilevate utilizzando un anticorpo specifico per tale proteina, per esempio in un test ELISA o Western blotting. In alternativa, le proteine differenzialmente espresse possono essere rilevate mediante, tra gli altri, elettroforesi su gel 2D o tecniche di spettrometria di massa, comprese le LS/MS/MS, MALDI-TOF o SELDI-TOF. Il campione può essere immobilizzato su un supporto solido per l'analisi.
In una forma di attuazione, la diagnosi può essere fatta sulla base del pattern di spot su un gel 2D preparato da un campione del soggetto. Il modello di spot ottenuto da un soggetto affetto dalla malattia di Parkinson può essere confrontato direttamente con il pattern ottenuto da campioni di soggetti di controllo, senza la necessità di identificare singole proteine.
L'invenzione si basa, in parte, sulle strategie di ricerca sistematica che comporta la ricerca di proteine sensibili da elettroforesi bidimensionale.
Gli esempi presentati di seguito mostrano il successo nell'uso di panel sperimentali dell'invenzione per identificare le proteine bersaglio associate con malattia di Parkinson.
Breve descrizione delle figure
L’invenzione verrà ora descritta in modo dettagliato, a puro titolo di esempio illustrativo e non limitativo, con riferimento alle figure allegate, in cui:
- Figura 1. Le motivazioni alla base della ricerca di biomarker della MP: 1) diagnosi precoce, possibilmente nella fase presintomatica; 2) diagnosi differenziale dei vari sottotipi di MP e possibilità di distinguere MP e parkinsonismi atipici (APD); 3) possibilità di disegnare un piano terapeutico personalizzato; 4) misura obiettiva della progressione della patologia e dell’efficacia terapeutica di potenziali terapie neuroprotettive e neurorigenerative.
- Figura 2. Perché i linfociti T sono una buona fonte di biomarker della MP: 1) I linfociti potrebbero riflettere alterazioni su base genetica; 2) i linfociti sono cellule dopaminergiche così come i neuroni soggetti alla malattia; 3) i linfociti pattugliano il sistema nervoso centrale.
- Figura 3. Localizzazione nella mappa 2-DE degli spot che variano significativamente in funzione della dose giornaliera di L-DOPA (nero) e della terapia con dopaminoagonisti (bianco).
- Figura 4. Pannello A: Grafico di correlazione lineare tra livello relativo di proteina e dose giornaliera di L-DOPA per gli spot 441 e 963. Pannello B: Distribuzione del volume relativo degli spot 400, 608, 774, 779, 839, 893, 921 in pazienti che non assumono dopamino agonisti (0) e pazienti che assumono dopamino agonisti (1). Con volume relativo si intende il volume dello spot in rapporto alla somma degli spot comuni a tutti i gel. La linea nera centrale à ̈ la mediana, il box à ̈ relativo al primo e al terzo quartile, i whisker si estendono ai limiti della distribuzione dei dati.
- Figura 5. Localizzazione nella mappa 2-DE dei 20 spot che discriminano i pazienti affetti da MP rispetto ai controlli (Modello a 20 spot).
- Figura 6. Pannello superiore: Variazione di intensità dei 20 spot che discriminano i pazienti affetti da MP rispetto ai controlli espressi come logaritmo in base 2. Valori positivi indicano maggiore intensità nel gruppo MP. Pannello inferiore: Valore di p del test di Wilcoxon.
- Figura 7. Classificazione leave-one-out dei soggetti inclusi nello studio sulla base del modello a 20 spot. In alto: Classificazione dei controlli (bianco), dei pazienti EOPD (grigio chiaro) e dei pazienti LOPD (grigio scuro). Sono indicate sensibilità e specificità. In basso a sinistra: Distribuzione dei punteggi (PD Score). In basso a destra: Curva ROC (receiver operating characteristic) e area sotto la curva (AUC).
- Figura 8. Localizzazione nella mappa 2-DE dei 14 spot che discriminano i pazienti affetti da MP rispetto ai controlli (Modello a 14 spot).
- Figura 9. Classificazione leave-one-out dei soggetti inclusi nello studio sulla base del modello a 14 spot. In alto: Classificazione dei controlli (bianco), dei pazienti EOPD (grigio chiaro) e dei pazienti LOPD (grigio scuro). Sono indicate sensibilità e specificità. In basso a sinistra: Distribuzione dei punteggi (PD Score). In basso a destra: Curva ROC (receiver operating characteristic) e area sotto la curva (AUC).
- Figura 10. Localizzazione nella mappa 2-DE dei 9 spot che discriminano i pazienti affetti da MP rispetto ai controlli (Modello a 9 spot).
- Figura 11. Classificazione leave-one-out dei soggetti inclusi nello studio sulla base del modello a 9 spot. In alto: Classificazione dei controlli (bianco), dei pazienti EOPD (grigio chiaro) e dei pazienti LOPD (grigio scuro). Sono indicate sensibilità e specificità. In basso a sinistra: Distribuzione dei punteggi (PD Score). In basso a destra: Curva ROC (receiver operating characteristic) e area sotto la curva (AUC).
- Figura 12. Localizzazione nella mappa 2-DE dei 7 spot che discriminano i pazienti affetti da LOPD rispetto ai pazienti EOPD.
- Figura 13. Pannello superore: Variazione di intensità dei 7 spot che discriminano i pazienti affetti da LOPD rispetto ai pazienti EOPD espressi come logarirmo in base 2. Valori positivi indicano maggiore intensità nel gruppo LOPD. Pannello inferiore: Valore di p del test di Wilcoxon.
- Figura 14. Classificazione leave-one-out dei pazienti LOPD rispetto ai pazienti EOPD. In alto: Classificazione dei pazienti EOPD (grigio chiaro) e dei pazienti LOPD (grigio scuro). Sono indicate sensibilità e specificità. In basso a sinistra: Distribuzione dei punteggi (PD Score). In basso a destra: Curva ROC (receiver operating characteristic) e area sotto la curva (AUC).
Descrizione dettagliata dell’invenzione
Nella seguente descrizione, sono presentati numerosi dettagli specifici per fornire una comprensione completa delle forme di realizzazione. Le forme di realizzazione possono essere attuate in pratica senza uno o più dei dettagli specifici, o con altri procedimenti, componenti, materiali, ecc. In altri casi, strutture, materiali, od operazioni ben noti non sono mostrati o descritti in dettaglio per evitare di oscurare certi aspetti delle forme di realizzazione.
In tutta la presente specificazione, il riferimento ad “una forma di realizzazione†o “forma di realizzazione†significa che una particolare peculiarità, struttura, o caratteristica descritta in connessione con la forma di realizzazione à ̈ inclusa in almeno una forma di realizzazione. Quindi, la comparsa delle espressioni “in una certa forma di realizzazione†od “in una forma di realizzazione†in vari siti in tutta la presente specificazione non fa necessariamente sempre riferimento alla stessa forma di realizzazione. Inoltre, le particolari peculiarità, strutture, o caratteristiche possono essere combinate in qualsiasi modo adatto in una o più forme di realizzazione.
I titoli qui utilizzati servono semplicemente per convenienza e non interpretano lo scopo od il significato delle forme di realizzazione.
I marcatori per la diagnosi in vitro della malattia di Parkinson oggetto della presente descrizione sono stati identificati mediante elettroforesi bidimensionale su gel di estratti proteici di linfociti T di 32 soggetti, un numero pienamente congruo con altri lavori di biomarker discovery presenti nella letteratura scientifica.
I marcatori sono stati validati attraverso il metodo leave-one-out, ottenendo una stima delle loro prestazioni in termini di sensibilità e specificità.
L'analisi ha altresì evidenziato la possibilità di discriminare le forme a esordio precoce della MP da quelle ad esordio tardivo.
Inoltre, alcuni dei marcatori oggetto dell'invenzione hanno mostrato correlazione lineare con la durata della malattia, intesa come il tempo trascorso dalla comparsa dei sintomi clinici. Per questo motivo, detti marcatori possono essere considerati biomarker di progressione.
Infine, l'influenza della terapia farmacologica sul proteoma dei linfociti ha messo in luce l'opportunità di utilizzare queste cellule come reporter periferici di eventi centrali.
Come già esposto, la presente descrizione concerne un procedimento per la diagnosi in vitro della malattia di Parkinson realizzato attraverso la determinazione di proteine differenzialmente espresse in soggetti malati rispetto a soggetti sani.
Il procedimento può essere attuato secondo diversi livelli di approfondimento, ossia incrementando il numero di proteine differenzialmente espresse rivelate.
In prima istanza si procederà alla rivelazione di almeno una prima proteina differenzialmente espressa appartenente ad un primo panel diagnostico di proteine comprendente vinculina, talina-1, beta-fibrinogeno, filamina A, alfa tubulina, gelsolina.
Successivamente, per ottenere una diagnosi più specifica e sensibile si procederà alla rivelazione di almeno una seconda proteina differenzialmente espressa appartenente ad un secondo panel diagnostico di proteine comprendente proteina 1 linfocita-specifica, vimentina, moesina, trans-aldolasi, proteina 14-3-3 epsilon.
Infine, per incrementare ulteriormente la sensibilità e la specificità della diagnosi, si procederà alla rivelazione di almeno una terza proteina differenzialmente espressa appartenente ad un terzo panel diagnostico di proteine comprendente vimentina, septina-6, trans-aldolasi, twinfilina-2, inibitore della dissociazione di GDP da Rho isoforma 2, frammento di beta actina.
In una forma di realizzazione particolarmente preferita, il procedimento per la diagnosi in vitro della malattia di Parkinson comprende la rivelazione, in un campione di estratto proteico di linfociti T, di un primo panel diagnostico di proteine differenzialmente espresse, dove il primo panel diagnostico comprende vinculina trovata negli spot ID No.: 86, 87 della tabella 4, talina-1, betafibrinogeno trovata negli spot ID No.:362, 365, 368, 369 della tabella 4, filamina A e alfa tubulina trovate nello spot ID No.: 382 della tabella 4, e gelsolina.
In una seconda forma di realizzazione più preferita, il procedimento per la diagnosi in vitro della malattia di Parkinson comprende rivelare un secondo panel diagnostico di proteine differenzialmente espresse, combinando i risultati ottenuti dal secondo panel con quelli ottenuti dall’analisi del primo panel, dove il secondo panel diagnostico comprende proteina 1 linfocita-specifica, vimentina trovata nello spot ID No.: 591 della tabella 4, moesina, trans-aldolasi trovata nello spot ID No.: 676 della tabella 4, e proteina 14-3-3 epsilon.
In una terza forma di realizzazione ancora più preferita, il procedimento per la diagnosi in vitro della malattia di Parkinson in un soggetto comprende rivelare un terzo panel diagnostico di proteine differenzialmente espresse, combinando i risultati ottenuti dal terzo panel con quelli ottenuti dall’analisi del primo e del secondo panel, dove il terzo panel diagnostico comprende vimentina trovata nello spot ID No.: 329 della tabella 4, septina-6, trans-aldolasi trovata nello spot ID No.: 679 della tabella 4, twinfilina-2, inibitore della dissociazione di GDP da Rho isoforma 2, e frammento di beta actina.
Preferibilmente, il campione biologico à ̈ un campione di estratto proteico di linfociti T, in cui le proteine sopra elencate presentano una variazione dell’espressione rispetto ad un soggetto di controllo.
La rivelazione delle proteine differenzialmente espresse sopra elencate à ̈ realizzabile impiegando un anticorpo specifico per detta proteina, spettrometria di massa oppure elettroforesi bidimensionale su gel.
In una ulteriore forma di realizzazione preferita la presente descrizione concerne un procedimento di diagnosi differenziale in vitro della malattia di Parkinson in un soggetto, in cui la diagnosi differenziale permette di distinguere tra uno stato LOPD ed uno stato EOPD. Il procedimento di diagnosi differenziale comprende rivelare, in un campione biologico del soggetto, almeno una proteina differenzialmente espressa di un panel di diagnosi differenziale, in cui il panel di diagnosi differenziale comprende beta tubulina, proteina disolfuro isomerasi A3, vimentina, plastina-2, purina nucleoside fosforilasi, glutatione S-transferasi Pi, proteina che interagisce con PDCD6.
Inoltre, la presente descrizione concerne un procedimento di stadiazione in vitro della malattia di Parkinson in un soggetto, il procedimento comprendendo rivelare, in un campione biologico del soggetto, almeno una proteina differenzialmente espressa di un panel di progressione, in cui il panel di progressione comprende beta-fibrinogeno, vimentina, proteina 1 linfocita-specifica, plastina-2, moesina, gelsolina, proteina 14-3-3 epsilon.
In un ulteriore aspetto, la presente descrizione concerne un procedimento di diagnosi in vitro di risposta al trattamento farmacologico della malattia di Parkinson in un soggetto, il procedimento comprendendo rivelare, in un campione biologico del soggetto, almeno una proteina differenzialmente espressa di un panel di risposta farmacologica, in cui il panel di risposta farmacologica comprende prolidasi, ATP sintasi mitocondriale subunità beta, proteina 2 correlata ad actina, proteina capping di F-actina subunità beta, tropomiosina catena alfa-3, complesso attivatore del proteasoma subunità-1, perossiredossina-6, gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi, subunità beta del proteasoma tipo-2.
L'analisi delle proteine dei linfociti periferici mediante elettroforesi bidimensionale à ̈ particolarmente preferita essendo un potente strumento di indagine per valutare differenze biochimiche associate alla MP.
Allo stato dell’arte non à ̈ disponibile alcuna evidenza sperimentale riguardo le alterazioni biochimiche in relazione allo stadio di MP, ai differenti fenotipi clinici di MP, alla diversa età di esordio e, infine, mancano dati che permettano di distinguere, da un punto di vista molecolare, la MP dai parkinsonismi degenerativi atipici.
In modo sicuramente innovativo la presente descrizione ha permesso di identificare diverse proteine differenzialmente espresse, appartenenti a diversi panel di proteine (tre panel diagnostici, un panel di diagnosi differenziale, un panel di progressione ed un panel di risposta farmacologica), caratterizzate per la loro identità e per la loro posizione nel gel di elettroforesi bidimensionale; in base all’espressione di tali proteine à ̈ possibile distinguere i pazienti affetti da MP rispetto ai controlli, ed i pazienti EOPD rispetto ai pazienti LOPD, nonché ottenere un’indicazione circa la progressione o la risposta alla terapia farmacologica.
Questi panel sono stati validati estraendo ciascun soggetto dalla costruzione del modello, in modo da classificarlo in modo non autoreferenziale.
I presenti inventori hanno identificato tre diversi panel diagnostici di biomarker.
Il primo panel à ̈ costituito da 9 spot (86, 87, 335, 362, 365, 368, 369, 382, 657) riconducibili a 6 proteine, che nell'insieme mostrano capacità discriminante, con un'area sotto la curva ROC pari a 0,992. Risulta inoltre di grande rilevanza la sensibilità del 100%, ovvero la corretta classificazione di tutti i pazienti MP. Inoltre, 4 spot (362, 365, 368, 369) sono espressione della stessa proteina, beta-fibrinogeno, e hanno volumi tra di loro correlati. Le altre proteine che costituiscono il modello a 9 spot sono proteine citoscheletriche. Sebbene queste da sole non siano sufficienti a classificare correttamente i soggetti, l'associazione ai 4 spot di beta-fibrinogeno ha consentito di ottenere una correlazione tra l’espressione di tali proteine e la malattia di Parkinson.
L'aggiunta di ulteriori 5 spot (405, 591, 598, 676, 1641) migliora sensibilmente le prestazioni del modello di classificazione, ottenendo la corretta classificazione di tutti i pazienti MP e la falsa classificazione di un solo controllo. Quantitativamente, la prestazione del modello à ̈ descritta dall'area sotto la curva ROC pari a 0,996.
Gli spot finora discussi sono un sottoinsieme di quelli selezionati sulla base del test non-parametrico di Wilcoxon. Includendo nel modello anche i 6 spot finora non considerati (329, 414, 679, 842, 871, 1639) le prestazioni del modello migliorano leggermente.
Nella procedura finora discussa à ̈ stata valutata una popolazione di pazienti affetti da MP in cui il gruppo dei soggetti a esordio precoce à ̈ stato notevolmente arricchito rispetto alla prevalenza della forma giovanile. Questa sovra-rappresentazione dei pazienti EOPD à ̈ stata introdotta per evitare di identificare marcatori che siano in qualsiasi modo collegati all'età all'esordio o ad una possibile base genetica. D'altro canto, l'analisi mediante test di Wilcoxon di questi sottogruppi di pazienti (classificati in base all'età all'esordio) ha permesso di selezionare 7 spot in grado di discriminare i due sottotipi di pazienti MP. In effetti, la funzione discriminante ottenuta sulla base di questi spot (351, 363, 392, 505, 792, 940, 1787) à ̈ stata in grado di classificare correttamente tutti i pazienti EOPD e il 71% dei pazienti LOPD.
Mediante analisi di correlazione di Pearson sono stati selezionati, tra gli spot elencati sopra, quelli che correlano significativamente con gli anni trascorsi dall'esordio della malattia (spot 362, 365, 368, 369, 392, 405, 505, 591, 598, 657, 1641), permettendo quindi di identificare possibili marcatori di progressione.
Prima di qualsiasi analisi degli spot, sia essa mirata all'identificazione di biomarker di MP, sia rivolta alla classificazione differenziale di EOPD e LOPD, sono stati identificati gli spot che correlano con possibili fattori confondenti, quali l'età e il regime terapeutico. Gli spot che correlano linearmente con la dose giornaliera di L-DOPA sono soltanto due (441 e 963), a dimostrazione del fatto che l'azione extracellulare della L-DOPA plasmatica sui linfociti periferici à ̈ estremamente limitata. Al contrario, i pazienti trattati con farmaci dopamino-agonisti non ergolinici D3-selettivi mostrano differenze significative nei livelli di 7 proteine linfocitarie (400, 608, 774, 779, 839, 893 e 921). Questo risultato à ̈ una interessante dimostrazione della possibilità di modulare farmacologicamente il sistema dopaminergico nei linfociti periferici. Inoltre, la stimolazione dopaminergica dei linfociti può essere alla base di effetti osservati a carico del sistema immunitario in soggetti affetti da MP e trattati con farmaci dopamino-agonisti. Infine, le variazioni indotte dalla terapia dopamino-agonista riflettono a livello periferico l'efficacia terapeutica del farmaco a livello centrale.
Questa indagine ha permesso di ottenere tre diversi pannelli di marcatori biochimici linfocitari per la diagnosi in vitro della MP, un pannello di marcatori biochimici linfocitari per la diagnosi differenziale in vitro delle forme EOPD e LOPD, un pannello di marcatori biochimici linfocitari della progressione della MP, e infine un pannello di marcatori biochimici linfocitari associati alla risposta alla terapia farmacologica della MP.
Materiali e metodi
Sono stati selezionati due gruppi di pazienti: un primo gruppo di 8 soggetti affetti da EOPD (esordio prima dei 50 anni di età), identificati in modo anonimo come EOF_TO048, EOM_NO018, EOM_TO049, EOM_TO008, EOM_TO022, EOF_TO050, EOM_NO028 e EOM_NO017, e un gruppo di 7 malati LOPD (esordio dopo i 50 anni di età), identificati in modo anonimo come LOM_TO040, LOF_TO021, LOF_TO016, LOM_TO006, LOM_TO064, LOF_NO023 e LOM_TO066. Come gruppo di controllo sono stati reclutati 14 soggetti sani di sesso ed età corrispondente a quella dei pazienti, identificati in modo anonimo come CTF_NO021, CTF_TO035, CTF_TO027, CTF_TO033, CTM_TO059, CTF_TO063, CTF_TO065, CTF_TO043, CTM_NO022, CTM_NO027, CTM_TO058, CTM_TO051, CTF_TO060 e CTM_TO054. Inoltre sono stati inclusi nel gruppo di controllo 3 soggetti affetti da parkinsonismi atipici, identificati in modo anonimo come APF_TO047, APM_NO015 e APF_ TO042, per valutare la specificità dei candidati biomarker nei confronti di soggetti affetti da patologie neurodegenerative non-MP.
I criteri di inclusione ed esclusione per ciascuno dei tre gruppi sono riassunti nella Tabella 2.
Tabella 2
CRITERI
GRUPPO DESCRIZIONE CRITERI ESCLUSIONE
INCLUSIONE
Pazienti sottoposti a DBS MP idiopatica (Deep Brain Stimulation) o Malattia di Esordio prima dei duodopa
EOPD Parkinson ad 50 anni di età Patologie autoimmuni e esordio precoce Storia familiare terapie con
di MP immunosoppressori Melanomi maligni Età superiore ai 75 anni Pazienti sottoposti a DBS o Malattia di MP idiopatica duodopa
LOPD Parkinson ad Esordio dopo i 50 Patologie autoimmuni e esordio tardivo anni di età terapie con immunosoppressori Melanomi maligni Soggetti sani di
Storia familiare di MP età e sesso
Controlli Buona salute Patologie infiammatorie analoghi ai
Sani e recenti gruppi sopra
non-MP
Parkinsonismi
MSA Come il gruppo dei LOPD atipici
Al momento del reclutamento ciascun soggetto ha sottoscritto il consenso informato, in accordo con il protocollo approvato dalla commissione etica dell’Università degli Studi di Torino.
Per ciascun soggetto sono stati raccolti i dati relativi a: età, sesso, diagnosi, età all’esordio della malattia, eventuale familiarità, terapie ed eventuali altre patologie recenti. Al fine di tutelarne la privacy, a ciascun partecipante à ̈ stato associato un codice alfanumerico ed i dati anagrafici del soggetto (nome e cognome) sono stati affidati unicamente al medico curante.
Da ciascun soggetto sono stati prelevati 20 ml di sangue venoso dalla vena antecubitale in provette sterili sottovuoto Vacutainer® contenenti EDTA.
Entro 24 ore si à ̈ proceduto all’isolamento delle cellule mononucleate del sangue periferico (PBMC, Peripheral Blood Mononuclear Cells) mediante centrifugazione in gradiente di densità.
Ogni campione à ̈ stato diluito con PBS (Phosphate Buffered Saline) fino ad un volume finale di 70 ml, la soluzione à ̈ stata divisa in due e le due aliquote da 35 ml sono state lentamente stratificate sopra 15 ml di Lympholyte®-H (CEDARLANE, Hornby, Ontario, Canada), una soluzione di un polisaccaride ad alto peso molecolare. Le due provette sono state quindi centrifugate a 800g per 20’ a RT (Room Temperature); questo passaggio determina la separazione del buffy coat (una frazione arricchita in linfociti e monociti) all’interfaccia tra le due soluzioni.
Il buffy coat à ̈ stato prelevato, servendosi di una pipetta pasteur, e successivamente diluito fino a 15 ml con MACS Buffer (EDTA 2 mM, sodio azide 0,09% w/v, BSA 0,5% w/v, in PBS) in due provette separate. Dopo centrifugazione a 400g per 15’ a RT, il surnatante à ̈ stato aspirato e i due pellet sono stati uniti e risospesi con 10 ml di MACS Buffer. Dopo la conta cellulare mediante camera di BÃ1⁄4rker, si à ̈ effettuata un’ulteriore centrifugazione a 400g per 15’ a RT, in modo da eliminare le piastrine rimaste (nel surnatante).
La separazione dei linfociti T dai PBMC à ̈ stata ottenuta mediante l’utilizzo di un kit commerciale per la separazione immunomagnetica, il QuadroMACS (Miltenyi Biotec, Bergisch Gladbach, Germania). Inizialmente le cellule sono state incubate con un mix di anticorpi primari contro diversi antigeni delle cellule del sangue, diverse dai linfociti T (ovvero escluso il marker molecolare CD3). Al pellet sono stati aggiunti 40 µl di MACS Buffer, 10 µl di anticorpi coniugati a biotina ogni 107 PBMC e il tutto à ̈ stato incubato a 4°C per 10’. Questi anticorpi si legano a tutte le cellule tranne che a quelle di interesse. Questo permette di evitare una possibile alterazione/attivazione della popolazione linfocitaria di interesse dovuta al legame dell’anticorpo in superficie. Successivamente le cellule sono state incubate con microbeads anti-biotina, ossia nanoparticelle superparamagnetiche coniugate con l’anticorpo secondario che si lega alla biotina. Sono stati quindi aggiunti 30 µl di MACS Buffer e 20 µl di microbeads anti-biotina ogni 107 cellule e il tutto à ̈ stato incubato a 4°C per 15’. Al termine dell’incubazione l’eccesso di anticorpi e microbeads à ̈ stato rimosso risospendendo in 10 ml di MACS Buffer e centrifugando a 400g per 10’ a RT. Quindi il surnatante à ̈ stato aspirato e il pellet risospeso con 500 µl di MACS buffer.
Il campione à ̈ stato poi caricato in testa ad una colonna magnetica ed eluito con 3 aggiunte di MACS Buffer da 3 ml ciascuna: le cellule legate alle microbeads vengono ritenute (frazione non-T), mentre i linfociti T attraversano la colonna e possono venire raccolti. La frazione ottenuta à ̈ stata centrifugata a 400g per 10’ a RT e lavata con 5 ml di PBS. Il campione à ̈ stato quindi nuovamente centrifugato a 400g per 10’ a RT, il surnatante eliminato e le proteine totali estratte dal pellet di linfociti T.
Le cellule ottenute sono state immediatamente lisate al fine di ottenere degli estratti proteici totali. Ogni pellet à ̈ quindi stato risospeso in 120 µl di un lysis buffer costituito da UTC (urea 7 M, tiourea 2 M, CHAPS 4%) e una miscela di inibitori della proteasi nelle dosi consigliate dal produttore (Sigma-Aldrich, Steinheim, Germania). I pellet sono poi stati sonicati ad immersione (3 sonicazioni da 5’’) e lasciati 30’ a RT, per favorire l’estrazione. In ultimo i campioni sono stati sottoposti a centrifugazione a 10000g per 30’ a 10°C, per eliminare eventuali residui cellulari e l’estratto proteico così ottenuto (surnatante) à ̈ stato congelato con azoto liquido e conservato a -80°C.
Prima del successivo utilizzo del campione in elettroforesi bidimensionale, la quantità di proteine totali in ciascun lisato à ̈ stata dosata mediante metodo di Bradford, utilizzando Bradford Reagent (Serva Electrophoresis, Heidelberg, Germania) diluito 1:5 con acqua bidistillata. Si tratta di una tecnica colorimetrica per la misurazione indiretta della concentrazione proteica mediante l’utilizzo del colorante Coomassie Brillant Blue G-250. Questa molecola à ̈ in grado di legarsi alle proteine e il legame va a stabilizzare la forma anionica del colorante. Mentre la forma non legata alle proteine (forma cationica) presenta uno spettro di assorbimento con un massimo a 470 nm, la forma legata (forma anionica) presenta uno spettro di assorbimento nel blu, con un massimo a 595 nm. Quindi, l’assorbanza della soluzione a 595 nm à ̈ proporzionale alla concentrazione di proteine, che à ̈ possibile stimare mediante lettura allo spettrofotometro alla suddetta lunghezza d’onda. Quindi, una quota di estratto proteico (1 µl) à ̈ stata aggiunta al Bradford Reagent opportunamente diluito e l’assorbanza letta alla lunghezza d’onda di 595 nm mediante spettrofotometro UV-Vis a singolo raggio Cary 50 Bio (Varian Inc., Palo Alto, U.S.A.). La concentrazione proteica à ̈ stata ottenuta mediante interpolazione dei valori di assorbanza con una retta di taratura precedentemente calcolata utilizzando come standard l’albumina di siero bovino (Biorad, Hercules, CA, U.S.A.), a diverse concentrazioni note (tra 1 µg/ml e 5 µg/ml).
L’elettroforesi bidimensionale su gel (2-DE, Twodimensional gel electrophoresis) à ̈ una tecnica elettroforetica che permette di separare le proteine in base al loro punto isoelettrico e alla massa molecolare. Con questa tecnica à ̈ possibile discernere centinaia di proteine contemporaneamente, permettendone la successiva analisi quantitativa. Mediante la separazione delle proteine tramite due principi fisici differenti lungo le due direzioni ortogonali, à ̈ possibile separare miscele proteiche complesse e questo rende possibile lo studio del proteoma delle cellule. Nella prima dimensione le proteine subiscono una separazione sulla base del loro punto isoelettrico, mediante la tecnica dell’ isoelettrofocalizzazione (IEF, Isoelectric focusing). La carica netta delle proteine dipende dal pH dell’ambiente in cui si trovano; la motilità elettroforetica di ciascuna proteina à ̈ diversa a seconda della propria composizione aminoacidica e diventa nulla quando il pH equivale al suo punto isoelettrico. Immobilizzando un gradiente di pH e applicando un campo elettrico à ̈ possibile far sì che le proteine migrino fino a raggiungere il valore di pH corrispondente al loro punto isoelettrico, determinando un annullamento della carica netta e il conseguente arresto della migrazione in quel punto.
La preparazione del campione per l’IEF in un volume finale di 340 µl in UTC à ̈ stata ottenuta aggiungendo a 200 µg di estratto proteico ditiotreitolo (DTT) 20 mM, IPG Buffer 1% e tracce di blu di bromofenolo. Questa soluzione à ̈ stata posta a contatto con una IPG DryStrip da 18 cm a gradiente di pH 3-10 non lineare (GE Healthcare, Uppsala, Svezia), lasciata a reidratare overnight a RT. Il giorno successivo à ̈ stata condotta la IEF mediante un apposito apparato, l’Ettan IPGPhor IIâ„¢ (GE Healthcare, Uppsala, Svezia). Per la focalizzazione à ̈ stato utilizzato il seguente protocollo in cui varia la differenza di potenziale: 100 V per 8 ore; gradiente da 100 V a 500 V in 2 ore; gradiente da 500 V a 2000 V in 2 ore; 2000 V per 2 ore; gradiente da 2000 V a 5000 V in 1 ora; 5000 V per 2 ore; gradiente da 5000 V a 8000 V in 2 ore; 8000 V per 3 ore. Ogni esperimento ha previsto la focalizzazione in contemporanea di un numero variabile di strip fino ad un massimo di 12; la corrente à ̈ stata limitata ad un massimo di 75 µA per strip e la temperatura mantenuta costante a 18°C. Al termine della focalizzazione la strip à ̈ stata conservata a -20°C.
La seconda dimensione consiste in una SDS-PAGE (Sodium DodecylSulfate Poly-Acrylamide Gel Electrophoresis) attraverso cui le proteine si separano in base alla loro massa molecolare. Le strip sono state scongelate e preparate per la seconda dimensione mediante immersione in una soluzione di equilibrazione composta da: Tris-HCl pH 8,8 50 mM, urea 6 M, glicerolo 30%, sodio dodecilsolfato (SDS) 2% e tracce di blu di bromofenolo. Sono stati effettuati due passaggi da 20’ ciascuno, nel primo dei quali alla soluzione di equilibrazione à ̈ stato aggiunto DTT 1%, mentre il secondo passaggio à ̈ avvenuto in presenza di iodoacetamide (IAA) 2,5% (DTT e IAA, Serva Electrophoresis, Heidelberg, Germania). Queste fasi sono importanti per permettere l’equilibrazione delle proteine con l’SDS; inoltre, nel primo passaggio l’azione riducente del DTT favorisce la rottura dei ponti disolfuro, mentre nel secondo passaggio l’azione della IAA determina una alchilazione degli stessi, prevenendone l’eventuale riossidazione.
I gel utilizzati hanno dimensioni di 250 × 200 × 1 mm e sono stati preparati il giorno precedente partendo da una soluzione di: acrilammide/bis-acrilammide 14%, SDS 0,1% (Serva Electrophoresis, Heidelberg, Germania), Tris-HCl pH 8,8 375 mM, ammonio persolfato 0,1% (APS, Sigma-Aldrich, Steinheim, Germania) e tetrametiletilendiammina 0,02% (TEMED, Sigma-Aldrich, Steinheim, Germania). Per permettere una completa polimerizzazione, dopo aver versato la soluzione tra i vetri, i gel sono stati lasciati polimerizzare overnight.
Dopo i passaggi di riequilibrazione le strip sono state rapidamente sciacquate con acqua deionizzata, poste in cima al gel ed immobilizzate in posizione versando una soluzione bollente di agarosio per IEF allo 0,6 % (GE Healthcare, Uppsala, Svezia) in una soluzione di corsa (o running buffer) costituita da: 25 mM Tris, 192 mM glicina, 0,1% SDS. La corsa elettroforetica viene condotta nell’apposita camera (Hoefer SE900; Hoefer, San Francisco, CA, USA) ad una temperatura costante di 16 °C mediante un opportuno apparato di raffreddamento, al fine di evitare distorsioni dei fronti di migrazione. Durante la prima ora à ̈ stata applicata una differenza di potenziale di 25 V per permettere un ingresso lento delle proteine all’interno del gel, successivamente la corsa à ̈ stata condotta overnight a 20 mA/gel.
Per la colorazione dei gel si à ̈ scelto di utilizzare il Ru(II) tris(batofenantrolina solfonato) (RuBPS), un colorante fluorescente che si eccita con lunghezze d’onda intorno ai 302 nm ed emette con un massimo a 610 nm. Il protocollo di colorazione à ̈ stato ottimizzato al fine di ottenere il miglior rapporto segnale/rumore. Al termine della corsa i gel sono stati immersi in una soluzione di fissaggio costituita da etanolo 30% e acido acetico 10% in acqua per 24 ore. Successivamente sono stati immersi in una soluzione di etanolo 30%, acido acetico 10% e RuBPs 1 µM dove sono rimasti per almeno 6 ore (normalmente overnight). Il legame della molecola alle proteine à ̈ non-covalente, preferenzialmente con i residui basici. In ultimo, i gel sono stati decolorati in una soluzione analoga a quella di fissaggio, dove sono rimasti in agitazione per 2 ore, prima di essere acquisiti.
L’acquisizione à ̈ stata ottenuta mediante il sistema di acquisizione GelDoc-It® Imaging System (UVP, Upland, CA, USA), munito di sensore CCD da 12 bit (Sony 1/1/8†ICX274AL), transilluminatore UV (254-365 nm) e ottica con filtro a 590 nm. Per ogni gel sono state scattate 10 immagini in sequenza (frames) con parametri di acquisizione (focus, zoom, apertura, tempo di esposizione, gain) ottimizzati e fissi, e altre 10 immagini con gli stessi parametri con la camera vuota (per rilevare il rumore elettrico e correggerlo successivamente).
La prima parte dell’analisi di immagine à ̈ stata studiata per ottimizzare l’eleborazione dei dati ed à ̈ stata condotta utilizzando il software ImageJ (NIH, versione 1.44). Delle 10 immagini raccolte per ciascun gel à ̈ stata calcolata la media dei valori di intensità per ciascun pixel; all’immagine risultante à ̈ sottratta quella ottenuta dalla media delle 10 immagini acquisite con la camera vuota. Questo permette di ridurre il rumore dovuto alla produzione di elettroni liberi a livello del sensore CCD (fenomeno proporzionale alla temperatura di esercizio), aumentando di 3 volte il rapporto segnale/rumore. La sottrazione dei valori registrati a camera vuota, inoltre, permette di rimuovere il problema legato ad eventuali pixel “caldi†, dovuti a difetti nella fabbricazione del sensore.
L’immagine ottenuta à ̈ stata quindi elaborata per migliorare la successiva detection degli spot. Al fine di rimuovere gli artefatti dovuti a precipitati di RuBPS, à ̈ stato applicato un filtro mediano che sostituisce il valore di ogni pixel con la mediana dei valori dei pixel vicini (3×3). Per ridurre il background dovuto a disomogeneità della colorazione, à ̈ stato applicato l’algoritmo rolling ball con un raggio di 75 pixel. Infine, à ̈ stato applicato un aumento lineare del contrasto, in modo da sfruttare tutto il range dinamico dei 16 bit; tale passaggio, ovviamente, non aumenta l’informazione data dall’immagine, ma favorisce la detection degli spot da parte del software utilizzato nella fase successiva: ImageMaster 2D Platinum 6.0 (GE Healthcare, Uppsala, Svezia).
Le immagini così ottenute sono state invertite e sottoposte all’algoritmo di detection automatica degli spot, perfezionato poi manualmente. A detection ultimata, l’operatore fissa dei riferimenti sull’immagine (landmarks) e l’algoritmo di matching provvede ad associare gli spot corrispondenti su gel diversi. Il risultato dell’analisi consiste in un numero elevato di spot a cui sono associati valori di volume per ciascuna immagine. I volumi sono calcolati come somma della luminosità dei pixel che descrivono lo spot preso in considerazione. I volumi degli spot che sono presenti in almeno il 75% dei gel totali sono stati esportati e le analisi successive sono state condotte mediante R, un ambiente di sviluppo open-source specifico per l’analisi statistica (R Development Core Team (2009). R: A language and environment for statistical computing. R Foundation for Statistical Computing, Vienna, Austria. ISBN 3-900051-07-0; http://www.r-project.org/). Il volume di ciascuno spot à ̈ stato normalizzato rispetto alla somma dei volumi di un set di spot di riferimento in ciascun gel. Tale set di riferimento à ̈ costituito dagli spot presenti in tutte le immagini. Ipotizzando che la maggior parte delle proteine non abbia grosse variazioni nei diversi gruppi, per ciascun paziente viene calcolata la sommatoria degli spot comuni e il volume di ogni spot à ̈ stato espresso come frazione di questo valore (correzione di eventuali differenze di caricamento o colorazione).
I valori mancanti in ciascuna serie di dati relativi ad uno spot (al massimo il 25 % della serie) sono stati sostituiti utilizzando la sua media all’interno del gruppo o - se la media del gruppo era minore del secondo centile della distribuzione totale di tutti i valori - il minimo valore associato a quello spot all’interno del suo gruppo. Questo doppio criterio si à ̈ reso necessario per trattare in maniera differente i valori mancanti a causa della variabilità sperimentale da quelli mancanti a causa della ridotta espressione proteica in un determinato gruppo (potenziali biomarker).
La valutazione della distribuzione dei valori mediante grafici di dispersione ha evidenziato casi di possibili distribuzioni non normali dei dati; pertanto, venendo a mancare i presupposti per l’utilizzo di test parametrici, si à ̈ deciso l'utilizzo di test non parametrici per le successive analisi. Tale scelta à ̈ stata presa in via precauzionale ed à ̈ inoltre supportata dalla presenza di distribuzioni molto ampie dei dati (oltre tre deviazioni standard), che richiedono l’utilizzo di test statistici con un alto grado di robustezza.
I dati sono stati quindi analizzati mediante test di Wilcoxon al fine di studiare le variazioni significative (p<0,05) in funzione di sesso, uso di dopamino-agonisti e presenza di familiarità per la malattia. Sono poi calcolati i coefficienti di correlazione di Pearson (r) (secondo l’equazione eq. 1) di ciascuno spot con la dose di L-DOPA, l’età, l’età all’esordio e gli anni dall’esordio (anni di malattia). Per le correlazioni con la terapia, l’analisi à ̈ stata condotta solo nel gruppo dei pazienti, mentre per le correlazioni con l’età, solo nel gruppo dei controlli:
 xy
ï€ xy
rï€1⁄2 n
 x 2 2
2
ï€ x  y 2
ï€ y
n n eq. 1
in cui x indica la variabile indipendente (dose di L-DOPA, età, età all’esordio o anni dall’esordio), y indica la variabile dipendente (volume relativo dello spot), x indica il valor medio di x, y indica il valor medio di y, xy
indica il prodotto di x per y, xy indica il prodotto dei
valori medi x e y.
Tutti gli spot che hanno mostrato correlazioni statisticamente significative (p<0,05) con età, uso di dopamino-agonisti e uso di L-DOPA (r≠0 con p<0,05) non sono stati presi in considerazione per la definizione dei marcatori di malattia. Tutti gli spot non esclusi sono stati analizzati mediante test di Wilcoxon (p<0,05, applicando la correzione di Bonferroni), in termini di differenti distribuzioni sia tra malati MP e controlli, sia tra EOPD e LOPD.
Tra gli spot che variano significativamente in ciascun confronto sono stati selezionati quelli che mostrano correlazione lineare significativa (r≠0 con p<0,05) con gli anni di malattia come possibili marcatori di progressione della MP.
Gli spot che variano significativamente in ciascun confronto sono stati sottoposti ad analisi discriminante lineare (LDA) per costruire un modello che consenta di discriminare i gruppi tra loro. Questa tecnica permette di creare una procedura di classificazione mediante l’utilizzo di una combinazione lineare dei predittori (i volumi degli spot) tale per cui lo Score (il valore assunto dalla funzione) sia significativo nel discriminare i gruppi. In pratica si ricerca una funzione lineare in grado di massimizzare il test F per l’analisi della varianza (ANOVA) ad una via, mediante il massimo aumento del rapporto tra varianza tra-gruppi e varianza intra-gruppo.
Per discriminare in generale i pazienti dai controlli, i gruppi LOPD e EOPD sono stati accorpati, in modo da determinare un singolo set di coefficienti cidai quali ottenere uno score di probabilità di MP (PD Score), sommando (Σ) i volumi relativi degli spot Volimoltiplicati per i relativi coefficienti (ci) che vengono determinati mediante regressione lineare.
<PD Scoreï€1⁄2>i<c>i<Vol>i eq. 2
Al fine di valutare la significatività statistica raggiunta nel grado di separazione degli Score, i punteggi dei soggetti appartenenti ai diversi gruppi sono stati poi confrontati mediante test di Wilcoxon (p<0,05).
Il peso dei singoli spot nel modello (W) à ̈ stato ottenuto moltiplicando ciascun coefficiente ciper la differenza in valore assoluto tra le medie dei volumi degli spot nei due gruppiï€ ̈VolCOï€ Vol MP, dove Vol CO à ̈ il valor medio dei volumi relativi dello spot nel gruppo dei controlli (CO) e Vol MP à ̈ il valor medio dei volumi relativi dello spot nel gruppo dei malati (MP).
W ï€1⁄2ciï€ ̈VolCOï€ Vol MP
eq. 3
In questo modo sono stati progressivamente rimossi gruppi di spot con peso percentualmente minore, ottenendo sottogruppi di spot a ridotta numerosità. Si passa così ad un modello che considera un minor numero di spot con peso maggiore, necessari per la capacità discriminante del modello. Per ciascun modello, costruito sui sottogruppi di spot a diversa numerosità, à ̈ stata valutata la performance attraverso la tecnica di validazione detta jackknifing o leave-one-out, mediante la quale ciascun soggetto à ̈ stato classificato sulla base di una funzione LDA ottenuta da tutti gli altri soggetti. Questa procedura di validazione, escludendo il soggetto in esame dalla costruzione della LDA, permette di ottenere una stima realistica dei valori di sensibilità e specificità, che possono considerarsi rappresentativi di un campione più esteso. Il potere predittivo di ciascun modello à ̈ stato infine quantificato misurando l'area sotto la curva ROC (Receiver Operating Characteristic) e i valori di sensibilità e specificità nel campione in esame.
Per il taglio degli spot sono state realizzate mappe preparative. Gli spot abbondanti sono stati prelevati da una mappa ottenuta caricando 100 µg di proteine totali di linfociti T, derivanti da diversi soggetti utilizzati nello studio (pool). Al contrario, spot di proteine poco abbondanti sono stati prelevati da una mappa ottenuta caricando 500 µg di proteine totali di linfociti T, derivanti dal medesimo pool. Le mappe preparative sono state colorate con Colloidal Coomassie Blue G250 mediante il seguente protocollo: fissaggio overnight (50% etanolo, 3% H3PO4); tre lavaggi di 20 min con acqua; pre-colorazione per un'ora (10% H3PO4, 10% (NH4)2SO4, 20% metanolo); colorazione overnight (0,12% G250, 10% H3PO4, 10% (NH4)2SO4, 20% metanolo). Gli spot proteici di interesse sono stati asportati dal gel mediante taglio con bisturi. Per la decolorazione ogni spot à ̈ stato immerso in una soluzione di etanolo 50% per 2 ore; ogni spot à ̈ stato poi immerso in 100 µl di una soluzione di NH4HCO3200 mM per 20’ e lavato in acqua deionizzata per 20’. Rimossa l’acqua, ciascuno spot à ̈ stato disidratato con acetonitrile per 40’ (100 µl/spot). In ultimo l’acetonitrile à ̈ stato eliminato attraverso centrifugazione sottovuoto in SpeedVac.
Per la digestione proteica gli spot sono stati trattati con 10 µl di una soluzione di NH4HCO350 mM e tripsina 12,5 ng/µl (Modified Porcine Trypsin, sequencing grade, Promega, Madison, WI). Dopo 10’ sono stati aggiunti 30 µl di NH4HCO350 mM e si à ̈ lasciata procedere la reazione overnight a 37°C. Al termine della reazione sono stati raccolti i surnatanti contenenti i peptidi idrofilici; l’ulteriore estrazione dei peptidi più idrofobici à ̈ stata ottenuta in un bagno ad ultrasuoni con sonicazioni di 10 min l’una (due volte con 100 µl/spot di una soluzione 1:1 di acetonitrile e acido formico 1%; una terza volta con acetonitrile 50 µl/spot). I surnatanti raccolti nei diversi passaggi sono stati poi raccolti nella stessa provetta e il tutto à ̈ stato essiccato attraverso centrifugazione a vuoto e conservato a -80°C.
Le proteine di interesse sono state identificate mediante spettrometria di massa. Le miscele peptidiche sono separate utilizzando un sistema HPLC-chip a nanoflusso (Agilent 1200 series). Un volume di campione pari a 5 µl à ̈ stato caricato nella precolonna del chip (Zorbax 300SB-C18, 5 Î1⁄4m) ad una velocità di flusso pari a 10 µl/min. L’eluizione sequenziale dei peptidi à ̈ stata realizzata impostando una velocità di flusso di 250 nl/min e un gradiente lineare da una soluzione A (composta da 2% acetonitrile, 0,1% acido formico) al 50% di una soluzione B (composta da 98% acetonitrile, 0,1% acido formico) in 40’. La precolonna del chip à ̈ stata interfacciata con una colonna di ripartizione (Zorbax 300SB-C18 40 nl). I peptidi sono stati direttamente eluiti in uno spettrometro di massa con sorgente nano-Electrospray Ionization (nanoESI) e analizzatore a trappola ionica (IT) (Esquire 6k, Bruker-Daltonics). I parametri utilizzati per la nanoESI sono stati 1,5-2 kV di tensione, 10 l/min di velocità di flusso del gas essiccante e una temperatura pari a 200°C. Sono stati osservati unicamente i segnali dei peptidi che presentavano una m/z da 300 a 1800.
L’identificazione delle proteine à ̈ stata ottenuta tramite ricerca nella banca dati NCBInr (National Center for Biotechnology Information non-redundant) utilizzando il programma Mascot (Perkins, D. N., Pappin, D. J. C., Creasy, D. M. and Cottrell, J. S. (1999), Probability-based protein identification by searching sequence databases using mass spectrometry data. Electrophoresis, 20: 3551–3567; http://www.matrixscience.com). Il margine d’errore nell’accuratezza delle masse peptidiche à ̈ stato impostato a ± 0,9 Da per la prima analisi di massa e a ± 0,9 Da per l’analisi MS/MS; il valore di “missed cleavages†(cioà ̈ il numero di siti non digeriti dalla tripsina) à ̈ stato impostato a 1; l’acetilazione dell’N-terminale, la parziale ossidazione delle metionine e la carbamidometilazione delle cisteine sono state impostate come modificazioni variabili. Sono state considerate positive le identificazioni che presentavano un punteggio Mascot significativo (test di Fisher, p<0,05), sulla base della dimensione del database interrogato.
Risultati
L'analisi delle mappe 2-DE ha rivelato 2 spot correlati alla dose giornaliera di L-DOPA (441 e 963) e 7 spot correlati all'assunzione di dopamino-agonisti (400, 608, 774, 779, 839, 893 e 921). La Figura 3 mostra la localizzazione di questi spot, la cui identificazione à ̈ riportata in Tabella 3 (Identificazione delle proteine che correlano con la dose giornaliera di L-DOPA e con la terapia dopamino-agonista (DAgo) nei pazienti affetti da MP), mentre la Figura 4 riporta la correlazione dei livelli di proteina con la dose giornaliera di L-DOPA (pannello A) o con l'assunzione di dopamino-agonisti (pannello B).
Tabella 3
Codice
Spot Nome della proteina Correlazione Uniprot
400 Prolidasi P12955 DAgo ↑
ATP sintasi mitocondriale
441 P06576 L-DOPA ↑
subunità beta
608 Proteina correlata all’actina 2 P61160 DAgo ↑
Proteina capping di F-actina
774 P47756 DAgo ↑
subunità beta
779 Tropomiosina catena alfa-3 P06753 DAgo ↓
Complesso attivatore del
839 Q06323 DAgo ↑
proteasoma subunità-1
Codice
Spot Nome della proteina Correlazione Uniprot
893 Perossiredossina-6 P30041 DAgo ↑
Gliceraldeide-3-fosfato
921 P04406 DAgo ↓
deidrogenasi
Subunità beta del proteasoma
963 P49721 L-DOPA ↓
tipo-2
Questi spot costituiscono la prova che la terapia farmacologica ha un effetto sui linfociti T che, come descritto nell’introduzione, possiedono tutti gli elementi del sistema dopaminergico e quindi subiscono un effetto recettore- e trasportatore-mediato. Le differenze di espressione di queste proteine, essendo indotte dal trattamento farmacologico, non sono considerabili come marcatori periferici della malattia.
L'analisi mediante test di Wilcoxon a due gruppi ha rivelato la presenza di 20 spot (86, 87, 329, 335, 362, 365, 368, 369, 382, 405, 414, 591, 598, 657, 676, 679, 842, 871, 1639 e 1641) in grado di differenziare i soggetti affetti da MP dai soggetti di controllo, compresi quelli affetti da parkinsonismi degenerativi atipici. La Figura 5 mostra la localizzazione di questi spot, la cui identificazione à ̈ riportata in Tabella 4.
Tabella 4
Codice
Spot Nome della proteina Correlazione Uniprot
86 Vinculina P18206<↓ MP>87 Vinculina P18206<↓ MP>329 Vimentina P08670<↑ MP>335 Talina-1 Q9Y490<↓ MP>362 Beta-fibrinogeno P02675<↓ MP>365 Beta-fibrinogeno P02675<↓ MP>368 Beta-fibrinogeno P02675<↓ MP>369 Beta-fibrinogeno P02675<↓ MP>Filamina-A P21333
382 ↓ MP Alfa tubulina Q71U36
405 Proteina 1 linfocita-specifica P33241<↑ MP>414 Septina-6 Q14141<↑ MP>591 Vimentina P08670<↑ MP>598 Moesina P26038<↑ MP>Codice
Spot Nome della proteina Correlazione Uniprot
657 Gelsolina P06396<↓ MP>676 Trans-aldolasi P37837<↑ MP>679 Trans-aldolasi P37837<↑ MP>842 Twinfilina-2 Q6IBS0<↑ MP>Inibitore della dissociazione di
871 P52566 ↑ MP
GDP da Rho isoforma 2
1639 Frammento di beta actina P60709<↓ MP>1641 Proteina 14-3-3 epsilon P62258<↓ MP>
La Figura 6 mostra la variazione delle medie di questi spot nel gruppo dei pazienti MP rispetto ai controlli, espresso come logaritmo in base 2, ed il valore di p del test di Wilcoxon. Attraverso l'analisi LDA a ciascuno spot à ̈ stato assegnato un coefficiente ciriportato in Tabella 5 insieme alle medie Vol CO e Vol MP , alle relative deviazioni standard SDCOe SDMP, al logaritmo in base 2 del rapporto log2.fold, al valore p del test di Wilcoxon e al peso relativo W di ciascuno spot. Questa classificazione ha permesso di discriminare i pazienti MP rispetto ai controlli. Il modello à ̈ stato verificato escludendo i soggetti uno alla volta (leave-one-out) per classificarli in modo indipendente.
Tabella 5
Spot Vol COVolMP SDCOSDMPlog2.fold p ciW 86 0,004224 0,001323 0,003075 0,001157 -1,67424 0,002995 -600,686 1,7421 87 0,009339 0,004162 0,007192 0,003908 -1,16594 0,017844 -264,381 1,3687 329 0,038974 0,059189 0,027047 0,023517 0,602818 0,00589 10,36814 0,2096 335 0,008308 0,002727 0,010188 0,00183 -1,60734 0,016085 215,5296 1,2029 362 0,009563 0,004381 0,006244 0,003477 -1,12633 0,005062 636,0328 3,2962 365 0,039501 0,013373 0,027716 0,010683 -1,56254 0,002963 83,49427 2,1815 368 0,014433 0,006631 0,009325 0,004548 -1,12214 0,013749 248,4692 1,9386 369 0,043135 0,014665 0,022932 0,010157 -1,55651 0,000111 -237,39 6,7585 382 0,01855 0,007941 0,016438 0,003274 -1,22408 4,06E-05 -172,321 1,8282 405 0,009601 0,015152 0,006945 0,007468 0,6582 0,025469 116,0502 0,6441 414 0,002995 0,004797 0,002806 0,003023 0,679751 0,047448 95,2961 0,1718 591 0,016275 0,028806 0,027281 0,021975 0,823719 0,002995 -32,3974 0,406 Spot Vol COVolMP SDCOSDMPlog2.fold p ciW 598 0,005291 0,010536 0,006546 0,009667 0,99378 0,011988 68,16852 0,3576 657 0,005921 0,002097 0,007311 0,001374 -1,49737 0,022923 -276,697 1,0581 676 0,002479 0,004467 0,001406 0,00218 0,849536 0,006618 288,5843 0,5737 679 0,002906 0,004289 0,004396 0,002219 0,561735 0,014477 -93,1787 0,1289 842 0,004159 0,005844 0,002544 0,003163 0,490514 0,034513 7,034449 0,0118 871 0,041053 0,056733 0,012937 0,025399 0,466704 0,031025 9,524728 0,1493 1639 0,039102 0,028801 0,047388 0,053201 -0,4411 0,030118 -1,94833 0,0201 1641 0,009622 0,005948 0,004875 0,003176 -0,69397 0,002422 -87,9513 0,3231
La Figura 7 riporta la classificazione dei soggetti ottenuta sulla base dei 20 spot, corrispondente a sensibilità dell'87% e specificità dell'81%, la distribuzione dei punteggi (Score) rispetto ai due gruppi (p<0,001) e la curva ROC del modello, con un'area sotto la curva pari a 0,906.
Un modello semplificato à ̈ stato ottenuto eliminando i 6 spot con il valore di W più basso, riducendo così il set a 14 (ovvero gli spot 86, 87, 335, 362, 365, 368, 369, 382, 405, 591, 598, 657, 676 e 1641). La Figura 8 mostra la localizzazione di questi spot. La validazione leave-one-out del modello, riportata in Figura 9, mostra sensibilità del 100% e specificità del 94%, la distribuzione dei punteggi (Score) rispetto ai due gruppi con p<0,001 e area sotto la curva ROC pari a 0,996. La tabella 6 riporta la classificazione degli spot che discriminano i pazienti affetti da MP rispetto ai controlli nel modello a 14 spot.
Tabella 6
Spot Vol COVolMP<SD>CO<SD>MP<log2.fold P c>i<W>86 0,004224 0,001323 0,003075 0,001157 -1,67424 0,002995 -497,319 1,4423 87 0,009339 0,004162 0,007192 0,003908 -1,16594 0,017844 -267,284 1,3837 335 0,008308 0,002727 0,010188 0,00183 -1,60734 0,016085 233,0078 1,3005 362 0,009563 0,004381 0,006244 0,003477 -1,12633 0,005062 525,1409 2,7215 365 0,039501 0,013373 0,027716 0,010683 -1,56254 0,002963 68,0007 1,7767 368 0,014433 0,006631 0,009325 0,004548 -1,12214 0,013749 267,874 2,09 Spot Vol COVolMP SDCOSDMPlog2.fold P ciW 369 0,043135 0,014665 0,022932 0,010157 -1,55651 0,000111 -232,881 6,6301 382 0,01855 0,007941 0,016438 0,003274 -1,22408 4,06E-05 -162,367 1,7226 405 0,009601 0,015152 0,006945 0,007468 0,6582 0,025469 108,9691 0,6048 591 0,016275 0,028806 0,027281 0,021975 0,823719 0,002995 -30,2936 0,3796 598 0,005291 0,010536 0,006546 0,009667 0,99378 0,011988 77,40111 0,406 657 0,005921 0,002097 0,007311 0,001374 -1,49737 0,022923 -326,081 1,247 676 0,002479 0,004467 0,001406 0,00218 0,849536 0,006618 249,3849 0,4958 1641 0,009622 0,005948 0,004875 0,003176 -0,69397 0,002422 17,97102 0,066
Un'ulteriore semplificazione del modello à ̈ stata ottenuta riducendo la numerosità degli spot del modello sulla base del valore di W a 9 spot (ovvero 86, 87, 335, 362, 365, 368, 369, 382, 657), localizzabili sulla mappa nella Figura 10. La validazione leave-one-out del modello, riportata in Figura 11, mostra sensibilità del 100% e specificità dell'88%, la distribuzione dei punteggi (Score) rispetto ai due gruppi con p<0,001 e area sotto la curva ROC pari a 0,992. In tabella 7 à ̈ riportata la classificazione degli spot che discriminano i pazienti affetti da MP rispetto ai controlli nel modello a 9 spot.
Tabella 7
Spot Vol COVolMP SDCOSDMPlog2.fold P ciW 86 0,004224 0,001323 0,003075 0,001157 -1,67424 0,002995 -320,193 0,9286 87 0,009339 0,004162 0,007192 0,003908 -1,16594 0,017844 -289,305 1,4977 335 0,008308 0,002727 0,010188 0,00183 -1,60734 0,016085 148,7851 0,8304 362 0,009563 0,004381 0,006244 0,003477 -1,12633 0,005062 400,9809 2,0781 365 0,039501 0,013373 0,027716 0,010683 -1,56254 0,002963 91,44323 2,3892 368 0,014433 0,006631 0,009325 0,004548 -1,12214 0,013749 192,639 1,503 369 0,043135 0,014665 0,022932 0,010157 -1,55651 0,000111 -217,223 6,1843 382 0,01855 0,007941 0,016438 0,003274 -1,22408 4,06E-05 -108,18 1,1477 657 0,005921 0,002097 0,007311 0,001374 -1,49737 0,022923 -281,185 1,0753
L'analisi mediante test di Wilcoxon a due gruppi ha infine rivelato la presenza di 7 spot (351, 363, 392, 505, 792, 940, 1787) in grado di differenziare i soggetti affetti da LOPD dai pazienti EOPD. La Figura 12 mostra la localizzazione di questi spot, la cui identificazione à ̈ riportata in Tabella 8.
Tabella 8
Codice
Spot Nome della proteina Correlazione Uniprot
351 Beta tubulina P07437<↑ LOPD>Proteina disolfuro ↑ LOPD 363 P30101
isomerasi A3
392 Vimentina P08670<↓ LOPD>505 Plastina-2 P13796<↓ LOPD>Purina nucleoside ↑ LOPD 792 P00491
fosforilasi
940 Glutatione S-transferasi Pi P09211<↑ LOPD>Proteina che interagisce
1787 Q8WUM4 ↑ LOPD
con PDCD6
La Figura 13 mostra la variazione delle medie di questi spot nel gruppo dei pazienti LOPD rispetto ai EOPD, espresso come logaritmo in base 2, ed il valore di p del test di Wilcoxon.
Attraverso l'analisi LDA a ciascuno spot à ̈ stato assegnato un coefficiente ciriportato in Tabella 9 insieme alle medie Vol EO e Vol LO , alle relative deviazioni standard SDEOe SDLO, al logaritmo in base 2 del rapporto tra le medie log2.fold, al valore p del test di Wilcoxon e al peso relativo W di ciascuno spot.
Tabella 9
Spot Vol EO Vol LO<SDEO SDLO log2.fold P ci W>351 0,0316 0,052336 0,014737 0,012047 0,727888 0,04657 100,3744 2,0814 363 0,006961 0,023751 0,005022 0,01687 1,770691 0,01339 33,9704 0,5704 392 0,042265 0,011208 0,036513 0,009313 -1,91491 0,04657 41,19515 1,2794 505 0,007761 0,001404 0,005867 0,001274 -2,46677 0,013 178,0764 1,1321 792 0,004367 0,010556 0,002512 0,003108 1,273523 0,013424 467,5068 2,8937 940 0,007862 0,016943 0,003081 0,007606 1,107683 0,015631 -22,836 0,2074 1787 0,001435 0,003481 0,000996 0,001215 1,278563 0,047418 558,9536 1,1437 Questa classificazione ha permesso di discriminare i pazienti LOPD rispetto ai pazienti EOPD. Il modello à ̈ stato verificato escludendo i soggetti uno alla volta (leave-oneout) per classificarli in modo indipendente. La Figura 14 riporta la classificazione dei soggetti ottenuta sulla base dei 7 spot, corrispondente a sensibilità del 71% e specificità del 100%, la distribuzione dei punteggi (Score) rispetto ai due gruppi (p<0,001) e la curva ROC del modello, con un'area sotto la curva pari a 0,911.
L'analisi mediante correlazione di Pearson ha inoltre rivelato 11 spot tra quelli precedentemente identificati (362, 365, 368, 369, 392, 405, 505, 591, 598, 657, 1641) che correlano linearmente con gli anni di malattia e che potrebbero quindi rappresentare marcatori di progressione da seguire nel tempo. La Tabella 10 mostra l'identità di tali spot, il coefficiente di correlazione di Pearson r e il valore di p della correlazione.
Tabella 10
Codice Andamento
Spot Nome della proteina r p Uniprot nel tempo
362 Beta-fibrinogeno P02675 Decrescente 0,50 0,006 365 Beta-fibrinogeno P02675 Decrescente 0,49 0,008 368 Beta-fibrinogeno P02675 Decrescente 0,43 0,019 369 Beta-fibrinogeno P02675 Decrescente 0,53 0,003 392 Vimentina P08670 Crescente 0,45 0,015 Proteina 1 linfocita-405 P33241 Crescente 0,50 0,008 specifica
505 Plastina-2 P13796 Crescente 0,42 0,049 591 Vimentina P08670 Crescente 0,47 0,018 598 Moesina P26038 Crescente 0,62 0,014 657 Gelsolina P06396 Decrescente 0,39 0,039 1641 Proteina 14-3-3 epsilon P62258 Decrescente 0,56 0,004
Naturalmente, mentre i principi dell’invenzione restano gli stessi, i dettagli strutturali e le forme di realizzazione possono ampiamente variare rispetto a quanto à ̈ stato descritto ed illustrato semplicemente a titolo di esempio, senza allontanarsi dallo scopo della presente invenzione.

Claims (17)

  1. RIVENDICAZIONI 1. Procedimento di diagnosi in vitro della malattia di Parkinson in un soggetto, il procedimento comprendendo rivelare, in un campione biologico di detto soggetto, almeno una prima proteina differenzialmente espressa appartenente ad un primo panel diagnostico di proteine, detto primo panel diagnostico comprendendo vinculina, talina-1, beta-fibrinogeno, filamina A, alfa tubulina, gelsolina.
  2. 2. Procedimento di diagnosi in vitro della malattia di Parkinson secondo la rivendicazione 1, in cui detta almeno una prima proteina differenzialmente espressa à ̈ selezionata fra vinculina trovata negli spot ID No.: 86, 87 della tabella 4, talina-1, beta-fibrinogeno trovato negli spot ID No.: 362, 365, 368, 369 della tabella 4, filamina A e alfa tubulina trovate nello spot ID No.: 382 della tabella 4, e gelsolina.
  3. 3. Procedimento di diagnosi in vitro della malattia di Parkinson secondo la rivendicazione 1 o la rivendicazione 2, in cui il procedimento comprende rivelare più di una prima proteina differenzialmente espressa appartenente al primo panel diagnostico, preferibilmente tutte le proteine differenzialmente espresse appartenenti al primo panel diagnostico.
  4. 4. Procedimento di diagnosi in vitro della malattia di Parkinson secondo una qualsiasi delle rivendicazioni 1 a 3, in cui il procedimento comprende rivelare almeno una seconda proteina differenzialmente espressa appartenente ad un secondo panel diagnostico di proteine, detto secondo panel diagnostico comprendendo proteina 1 linfocitaspecifica, vimentina, moesina, trans-aldolasi, proteina 14-3-3 epsilon.
  5. 5. Procedimento di diagnosi in vitro della malattia di Parkinson secondo la rivendicazione 4, in cui detta almeno una seconda proteina differenzialmente espressa à ̈ selezionata fra proteina 1 linfocita-specifica, vimentina trovata nello spot ID No.: 591 della tabella 4, moesina, trans-aldolasi trovata nello spot ID No.: 676 della tabella 4, e proteina 14-3-3 epsilon.
  6. 6. Procedimento di diagnosi in vitro della malattia di Parkinson secondo la rivendicazione 4 o la rivendicazione 5, in cui il procedimento comprende rivelare più di una seconda proteina differenzialmente espressa appartenente al secondo panel diagnostico, preferibilmente tutte le proteine differenzialmente espresse appartenenti al secondo panel diagnostico.
  7. 7. Procedimento di diagnosi in vitro della malattia di Parkinson secondo una qualsiasi delle rivendicazioni precedenti, in cui il procedimento comprende rivelare almeno una terza proteina differenzialmente espressa appartenente ad un terzo panel diagnostico di proteine, detto terzo panel diagnostico comprendendo vimentina, septina-6, trans-aldolasi, twinfilina-2, inibitore della dissociazione di GDP da Rho isoforma 2, frammento di beta actina.
  8. 8. Procedimento di diagnosi in vitro della malattia di Parkinson secondo la rivendicazione 7, in cui detta almeno una terza proteina differenzialmente espressa selezionata fra vimentina trovata nello spot ID No.: 329 della tabella 4, septina-6, trans-aldolasi trovata nello spot ID No.: 679 della tabella 4, twinfilina-2, inibitore della dissociazione di GDP da Rho isoforma 2, e frammento di beta actina.
  9. 9. Procedimento di diagnosi in vitro della malattia di Parkinson secondo la rivendicazione 7 o la rivendicazione 8, in cui il procedimento comprende rivelare più di una terza proteina differenzialmente espressa appartenente al terzo panel diagnostico, preferibilmente tutte le proteine differenzialmente espresse appartenenti al terzo panel diagnostico.
  10. 10. Procedimento di diagnosi differenziale in vitro della malattia di Parkinson in un soggetto, in cui la diagnosi differenziale permette di distinguere tra uno stato LOPD ed uno stato EOPD, il procedimento comprendendo rivelare, in un campione biologico di detto soggetto, almeno una proteina differenzialmente espressa appartenente ad un panel di diagnosi differenziale di proteine, detto panel di diagnosi differenziale comprendendo beta tubulina, proteina disolfuro isomerasi A3, vimentina, plastina-2, purina nucleoside fosforilasi, glutatione S-transferasi Pi, Proteina che interagisce con PDCD6.
  11. 11. Procedimento di diagnosi differenziale in vitro della malattia di Parkinson secondo la rivendicazione 10, in cui il procedimento comprende rivelare più di una proteina differenzialmente espressa appartenente al panel di diagnosi differenziale, preferibilmente tutte le proteine differenzialmente espresse appartenenti al panel di diagnosi differenziale.
  12. 12. Procedimento di diagnosi in vitro di risposta alla terapia farmacologica della malattia di Parkinson in un soggetto, il procedimento comprendendo rivelare, in un campione biologico di detto soggetto, almeno una proteina differenzialmente espressa appartenente ad un panel di risposta farmacologica di proteine, detto panel di risposta farmacologica comprendendo prolidasi, ATP sintasi mitocondriale subunità beta, proteina correlata all’actina 2, proteina capping di F-actina subunità beta, tropomiosina catena alfa-3, complesso attivatore del proteasoma subunità-1, perossiredossina-6, gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi, subunità beta del proteasoma tipo-2.
  13. 13. Procedimento di diagnosi in vitro di risposta alla terapia farmacologica della malattia di Parkinson secondo la rivendicazione 12, in cui il procedimento comprende rivelare più di una proteina differenzialmente espressa appartenente al panel di risposta farmacologica, preferibilmente tutte le proteine differenzialmente espresse appartenenti al panel di risposta farmacologica.
  14. 14. Procedimento di diagnosi in vitro della progressione della malattia di Parkinson in un soggetto, il procedimento comprendendo rivelare, in un campione biologico del soggetto, almeno una proteina differenzialmente espressa appartenente ad un panel di progressione di proteine, detto panel di progressione comprendendo beta-fibrinogeno, vimentina, proteina 1 linfocita-specifica, plastina-2, moesina, gelsolina, proteina 14-3-3 epsilon.
  15. 15. Procedimento di diagnosi in vitro della progressione della malattia di Parkinson secondo la rivendicazione 14, in cui il procedimento comprende rivelare più di una proteina differenzialmente espressa appartenente al panel di progressione, preferibilmente tutte le proteine differenzialmente espresse appartenenti al panel di progressione.
  16. 16. Procedimento secondo una qualsiasi delle rivendicazioni precedenti, in cui la rivelazione di detta proteina differenzialmente espressa à ̈ realizzata impiegando un anticorpo specifico per detta proteina, spettrometria di massa oppure elettroforesi bidimensionale su gel.
  17. 17. Procedimento secondo una qualsiasi delle rivendicazioni precedenti, in cui detto campione biologico à ̈ un estratto proteico di linfociti T.
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