ITTO20080917A1 - Metodo per la diagnosi in vitro della resistenza ad un trattamento con platinoidi in un individuo con cancro ovarico - Google Patents

Metodo per la diagnosi in vitro della resistenza ad un trattamento con platinoidi in un individuo con cancro ovarico Download PDF

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Renzo Maria Flavia Di
Annalisa Lorenzato
Cosimo Martino
Martina Olivero
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Description

DESCRIZIONE
del brevetto per invenzione industriale dal titolo:
“METODO PER LA DIAGNOSI IN VITRO DELLA RESISTENZA AD UN TRATTAMENTO CON PLATINOIDI IN UN INDIVIDUO CON CANCRO OVARICO”
La presente invenzione è relativa ad un metodo per la diagnosi in vitro della resistenza ad un trattamento con platinoidi in un individuo con cancro ovarico.
Stato dell’Arte
Il carcinoma ovarico è la prima causa di morte per neoplasia ginecologica nel mondo e può essere suddiviso in 3 sottogruppi: epiteliale, stromale e delle cellule germinali. Ognuno di questi sottogruppi ha diverse eziologie e comportamenti clinici, tuttavia il carcinoma ovarico di origine epiteliale è il più comune costituendo più dell’85% dei casi di carcinoma ovarico.
Attualmente, i farmaci a base di platino sono gli agenti più attivi nella terapia del cancro ovarico epiteliale (McGuire WP, J Clin Oncol. 21, 133s-135s, 2003; Thigpen, J.T. Semin. Oncol., 27, 11–16, 2000; Agarwal and Kaye, Nat. Rev. Cancer, 3, 502–516, 2003; Ozols et al., Cancer Cell, 5, 19-24, 2004). Per tale motivo, il protocollo standard di trattamento usato nella gestione iniziale degli stadi avanzati di cancro ovarico è la chirurgia citoriduttiva, seguita da chemoterapia con un regime di platino che di solito comprende anche tassani. Circa il 70% dei pazienti mostrano una soddisfacente risposta clinica a questa terapia iniziale, con assenza di malattia residuale rivelabile per via clinica o radiologiche e normalizzazione dei marcatori serici (McGuire WP, J Clin Oncol., 23, 5862-4, 2003). Il rimanente 30% dei pazienti mostra malattia residuale o progressiva, a causa della resistenza alla terapia con platino.
I pazienti con resistenza al platino e ricaduta oncologica sono trattati con agenti di seconda linea, come topotecan, doxorubicina liposomale, gemcitabina, etoposide e ifosfamide. La risposta dei pazienti con cancro platinoresistente è in una percentuale inferiore al 20%, cui si aggiunge una tossicità cumulativa causata dai farmaci di seconda linea con effetti quali trombocitopenia e neuropatie periferiche. La risposta è correlata a parametri clinici quali la risposta alla terapia iniziale con platino, l’intervallo di assenza patologica prima della ricaduta, i farmaci utilizzati in precedenza, l’esistenza di tossicità cumulative, e lo stato generale di salute del paziente. Sebbene la scelta dei chemioterapici di seconda linea si basa sull’insieme di questi fattori, non esiste un singolo algoritmo clinico o un predittore biologico per la risposta alla terapia, cosicché la maggioranza dei pazienti è trattata su base empirica.
Ci sono diversi meccanismi (Agarwal and Kaye, Nat. Rev. Cancer, 3, 502–516, 2003; Brown and Attardi Nat Rev Cancer, 5, 231–7, 2005) con cui le cellule cancerose resistono agli agenti citotossici; uno di questi è correlato alla resistenza all’apoptosi, un tipo di morte cellulare che è innescato in risposta ai normali trattamenti chemioterapici e radioterapici. L’evasione dall’apoptosi è anche una delle caratteristiche principali di una cellula cancerogena, e spesso se il percorso apoptotico che è inattivato durante lo sviluppo del tumore è lo stesso che dovrebbe essere attivato in risposta al trattamento con farmaci, il tumore è già resistente ab initio. Perciò approcci terapeutici in grado di abbassare la soglia di sensibilità a stimoli apoptotici potrebbero essere molto utili per curare il cancro se usati come agenti singoli o in combinazione con altri interventi terapeutici. Nel carcinoma ovarico l’apoptosi è bloccata dall’effetto antiapoptotico di diversi oncogeni che includono recettori per fattori di crescita e altre chinasi che trasmettono il segnale dalla membrana al nucleo (Shayesteh L, Lu Y, Kuo WL, et al., Nat Genet. 21, 99–102, 1999; Yuan et al. Oncogene,19, 2324–30, 2000; Cuello et al. Cancer Res., 61, 4892–900, 2001). È stato dimostrato (Rasola et al., Cancer Res., 64, 1744–1750, 2004) che l’HGF (fattore di crescita epatocitario) è in grado di sensibilizzare diverse linee cellulari di carcinoma ovarico al CDDP e al Taxolo, agenti usati frequentemente come chemioterapici di prima linea nel trattamento del carcinoma ovarico avanzato.
Inaspettatamente, HGF aumenta la morte cellulare a dosi molto basse. Al contrario, infatti, era stato dimostrato in passato che l’HGF è il protagonista di un programma biologico noto come “crescita invasiva” poiché è in grado di orchestrare la sopravvivenza cellulare, la proliferazione, e la motilità attraverso l’attivazione del suo recettore MET, e di numerosi effettori a valle come le MAPK (mitogen activated protein kinase) e il percorso di PI3K/AKT e mTOR (Birchmeier et al. Nat Rev Mol Cell Biol 4, 915–25, 2003; Trusolino and Comoglio Nat Rev Cancer, 2, 289–300, 2002).
Tuttavia è stato dimostrato che l’attivazione di questi percorsi di sopravvivenza non ostacola l’abilità di HGF di sensibilizzare l’apoptosi in risposta a
F FIUSSELLO chemioterapici nelle linee di carcinoma ovarico. In queste cellule HGF attiva la p38MAPK, che è successivamente attivata anche dai farmaci e conduce le cellule alla morte (Coltella et al., Int. J. Cancer, 118, 2981-2990, 2006).
Dal momento che è stato dimostrato che la sensibilizzazione da HGF nelle linee di carcinoma ovarico richiede una esposizione a lungo termine di HGF (Rasola et al., Cancer Res., 64, 1744–1750, 2004) è stato ipotizzato che l’effetto di HGF possa essere collegato ad un effetto trascrizionale di regolazione di geni relativi all’apoptosi.
La difficoltà nel predire la risposta a terapie specifiche è il maggior impedimento per quel che concerne il miglioramento della prognosi per le donne affette da cancro ovarico. Attualmente, si usano strategie empiriche, che risultano spesso nella somministrazione di cicli multipli e spesso tossici di chemioterapici a donne con cancro chemoresistente, prima che sia identificata la mancata efficacia del trattamento. Nel corso di questi trattamenti poco efficaci, le pazienti sperimentano elevata tossicità, peggioramento della qualità della vita, e soprattutto subiscono il ritardo nell’attuazione di una terapia efficace. In sostanza, molte pazienti ricevono quindi un trattamento chemoterapico inutile e dannoso, prima che una terapia migliore sia identificata; pertanto, nel trattamento del cancro ovarico il prolungamento della sopravvivenza e una buona qualità di vita rimangono obiettivi importanti.
Pertanto sarebbe auspicabile l’individuazione di un metodo per la valutazione precoce dell’instaurarsi di una condizione di resistenza ai farmaci platinoidi al fine di migliorare la gestione della malattia ottimizzando l’uso dei chemoterapici disponibili e/o utilizzando nuovi farmaci. In questo ambito, l’individualizzazione del trattamento, attraverso la corretta classificazione di quelle pazienti che rispondono ad uno specifico chemoterapico, sia aumenterebbe l’efficacia dei trattamenti, sia limiterebbe l’incidenza e la severità di tossicità che non solo limitano la qualità della vita, ma diminuiscono la possibilità di tollerare ulteriori trattamenti terapeutici.
Inoltre, l’identificazione di particolari geni correlati alla resistenza ai platinoidi può permettere lo sviluppo di future terapie, volte sia alla reversione della resistenza stessa che alla terapia del cancro ovarico.
Scopo della presente invenzione è dunque quello di fornire un nuovo metodo per la valutazione precoce dell’instaurarsi di una condizione di resistenza ai farmaci platinoidi che risolva i problemi presenti nell’arte.
Secondo la presente invenzione tale scopo viene raggiunto mediante un metodo secondo la rivendicazione 1. Breve descrizione delle figure
Per una migliore comprensione della presente invenzione, essa viene ora descritta anche con riferimento alle figure allegate, che illustrano quanto segue:
- la Figura 1 illustra i risultati della RT-PCR quantitativa per il dosaggio dell’espressione di geni selezionati in linee cellulari di cancro ovarico dopo trattamento con HGF e cisplatino.
- la Figura 2 illustra il silenziamento del gene CSE1L identificato a seguito dello studio di espressione illustrato dalla figura 1.
- la Figura 3 illustra i risultati della analisi al FACS condotta su cellule SKOV3 in seguito a silenziamento di CSE1L in condizioni basali e dopo trattamento con cisplatino.
- la Figura 4 illustra il silenziamento del gene NRIP1 identificato a seguito dello studio di espressione illustrato dalla figura 1.
- la Figura 5 illustra i risultati della analisi al FACS condotta su cellule SKOV3 in seguito a silenziamento di NRIP1 in condizioni basali e dopo trattamento con cisplatino.
Descrizione dettagliata dell’invenzione
Per individuare i geni coinvolti nel fenomeno di resistenza ai platinoidi, si sono individuati i geni e le proteine la cui espressione e’ alta in cellule resistenti al cisplatino, mentre viene ridotta in seguito a somministrazione di HGF, che rende le cellule piu’ sensibili al cisplatino.
E’ stato dunque possibile caratterizzare a livello molecolare i tratti della resistenza ai platinoidi.
Il metodo secondo l’invenzione permette una diagnosi in vitro della resistenza ad un trattamento con platinoidi mediante determinazione, in un campione organico isolato dall’individuo, del livello di espressione genica di almeno un gene avente sequenza selezionata tra SEQ ID:1 e SEQ ID:2 in detto campione organico. Tale livello di espressione genica viene poi confrontato con un livello di riferimento, preferibilmente calcolato come valore medio di detto almeno un gene determinato in campioni isolati contenenti cellule sane, ad esempio 5 campioni.
Il campione organico è preferibilmente selezionato nel gruppo costituito da un campione di tessuto tumorale o un campione di ascite. Il campione può essere chirurgicamente rimosso dalla paziente, oppure ottenuto attraverso biopsia mirata. Il campione deve contenere almeno un 50% di cellule tumorali, e preferibilmente più del 50%, verificato mediante esecuzione di sezione istologica parallela o dosaggio di espressione di un gene di riferimento (MET o PI3K) poco espresso nel tessuto normale corrispondente e nello stroma del tumore. In certi casi, il campione può essere tessuto tumorale fresco appena prelevato, in altri è un campione congelato. Il campione può essere stato congelato fino a 48 ore dopo l’estrazione dalla paziente, se conservato in liquidi preservanti, quale il blando fissativo commercialmente noto come RNAlater™, e a temperatura 4-12°C. I campioni congelati includono quelli immediatamente congelati o conservati per 48 ore come detto sopra, e poi mantenuti a -80 °C per non piu’ di un mese o in azoto liquido anche per anni.
La determinazione dei livelli di espressione dei geni può essere determinata utilizzando qualunque metodo noto. In particolare, è possibile misurare RNA messaggero o i livelli delle proteine espresse dai geni o, in presenza di un’attività enzimatica di queste ultime, ottenere una misura della loro attività con qualunque sistema noto. In una forma di applicazione, il trascritto di RNA (mRNA) di un gene può essere quantificato per determinare il livello di espressione di quel gene. Basandosi sulla sequenza del gene fornita dalla GenBankTm database, il trascritto può essere individuato e il suo livello di espressione misurato utilizzando tecniche ben note agli esperti del settore. Per esempio, le sequenze corrispondenti a tratti della sequenza dei geni bersaglio possono essere usate per costruire sonde per rivelare e quantificare mRNAs usando tecniche di Northern blot. L’ibridazione delle sonde ai loro bersagli di mRNA per saggiare la quantità di trascritto presente in un tessuto può avvenire anche utilizzando un microarray di DNA (gene chip). L’uso di un gene chip è preferibile per saggiare l’espressione di più geni contemporaneamente. Ancora, le sequenze identificate possono essere usate per costruire primer per amplificare specificamente gli mRNA da rivelare in applicazioni che usano metodiche quale la RT-PCR quantitativa.
In un approccio differente, l’espressione dei geni può essere rivelata misurando l’attività biologica o la quantità delle proteine corrispondenti. I metodi per rivelare la quantità di una proteina includono anche quelli immunologici.
Preferibilmente, la determinazione del livello di espressione genica nel campione viene effettuato mediante tecniche scelte nel gruppo costituito da RT-PCR quantitativa, Western Blotting, ELISA, HPLC, spettrometria di massa, microarray.
Il livello misurato per ciascuno dei geni può essere confrontato con il livello degli stessi geni, misurato con gli stessi metodi, in cellule sane ottenute dallo stesso organo prelevato oppure da una media dei valori ottenuti studiando diversi campioni di organi sani corrispondenti. Una espressione di almeno 2Log superiore è assunta come soglia di rischio per la diagnosi di resistenza ai platinoidi.
Vantaggiosamente il metodo secondo l’invenzione consente una valutazione precoce dell’instaurarsi di una condizione di resistenza ai farmaci platinoidi al fine di migliorare la gestione della malattia ottimizzando l’uso dei chemoterapici disponibili. Tale metodo consente inoltre di effettuare i test diagnostici in modo rapido e semplificato, diminuendo inoltre i costi di produzione di kit diagnostici e di utilizzo degli stessi.
Il piccolo numero di geni da valutare permette di utilizzare più tecnologie diverse per valutarne il livello di espressione, tra cui in particolare le tecniche di rilevazione mediante anticorpi delle proteine prodotte. Ciò consente sia di effettuare controlli incrociati dei risultati, aumentando l’affidabilità del test, sia di sviluppare kit diagnostici alternativi, valutando quelli più efficaci.
Ulteriori caratteristiche della presente invenzione risulteranno dalla descrizione che segue di alcuni esempi meramente illustrativi e non limitativi.
ESEMPI ESEMPIO 1
Allo scopo di caratterizzare a livello molecolare i tratti della resistenza ai platinoidi è stato analizzato il profilo di espressione delle tre linee cellulari di carcinoma ovarico (SKOV3, TOV21G, NIH-OVCAR3) che rispondono al trattamento con HGF in combinazione con CDDP e taxolo con un aumento della morte cellulare.
Gli esperimenti sono stati effettuati pretrattando le linee cellulari di carcinoma ovarico con HGF per 48 ore, esponendo le cellule pretrattate con HGF al CDDP e poi estraendo l’RNA dopo 6, 12, e 24 ore. Oltre ai punti sperimentali non trattati le cellule di controllo sono state trattate con CDDP da solo per 6, 12 e 24 ore o con HGF da solo per 48 ore.
Dall’analisi statistica dei dati di espressione genica effettuati mediante microarray Illumina è stato possibile individuare una lista di 106 geni corrispondenti a quei trascritti che in tutte e 3 le linee cellulari esaminate vengono differenzialmente espressi in seguito a trattamento combinato di HGF e CDDP rispetto al trattamento con solo CDDP (>1, <-1 log fold, p 0,05).
Da lavori precedenti (Coltella et al., Int. J. Cancer, 118, 2981-2990, 2006) è noto che fra le vie di traduzione del segnale attivate da HGF, l’attivazione di p38MAPK è necessaria e sufficiente per promuovere un aumento della risposta apoptotica nelle cellule trattate con HGF e CDDP.
Inoltre l’inibizione della via di trasduzione di p38MAPK è in grado di impedire la sensibilizzazione all’apoptosi ottenuta con HGF e CDDP.
Perciò, per validare i putativi bersagli trascrizionali individuati è stato usato come modello la risposta trascrizionale di cellule SKOV3 trattate con HGF e CDDP, esprimenti una forma dominante negativa di p38MAPK, ottenuta trasferendo la p38α-FLAG tagged con le mutazioni T180A e Y182F, utilizzando vettori lentivirali.
Con una analisi SAM è stata confrontata la risposta trascrizionale all’HGF e al CDDP delle SKOV3-wt e delle SKOV3 esprimenti la forma dominante negativa di p38MAPK. Fra i 106 geni individuati con l’analisi precedente, 58 risultavano significativamente revertiti dall’inattivazione di p38MAPK, cioe’ nelle cellule esprimenti la forma dominante negativa di p38MAPK.
Dei 58 geni individuati sono stati presi in esame quelli più fortemente down modulati. Le variazioni di espressione dei geni sono state misurate nelle cellule non trattate e nelle cellule pretrattate per 48 ore con HGF e poi esposte a 20μM di CDDP per 12 o 24 ore. Di questi e’ stata confermata la regolazione mediante RT-PCR quantitativa, come illustrato in Figura 1, allo scopo di validare il risultato dei microarray. Tra i geni validati, dallo studio della letteratura scientifica, in particolare di quella che riferisce l’espressione genica dei carcinomi ovarici sulla base di microarray (Bild et al., Nature 439, 353-7, 2006) sono stati selezionati due geni (NRIP e CSE1L) il cui silenziamento ha dimostrato la loro correlazione con la risposta delle cellule ai plaitnoidi.
Per studiare in vitro il coinvolgimento di questi geni mediante l’analisi di espressione, per ciascun gene si è proceduto al silenziamento mediante “RNA interference”.
A questo proposito si è deciso di utilizzare in trasfezione i siRNA ON-TARGET plus SMART pool (Dharmacon). Si tratta di una miscela di quattro siRNA differenti diretti contro un singolo gene. La scelta di questo tipo di strategia di silenziamento deriva dal fatto che questo tipo di approccio è in grado di minimizzare gli effetti di un eventuale “off-targeting” (la concentrazione totale delle 4 sequenze di siRNA è molto inferiore a quella che si dovrebbe usare con una sequenza sola) e poiché imita il meccanismo naturale di silenziamento mediante RNA interference osservato in natura.
Cellule SKOV3 sono state trasfettate con differenti concentrazioni di siRNA (50-200 μM) e di agente trasfettante (in questo caso, Oligofectamina Invitrogen). Per ogni gene è stato ottenuto un silenziamento variabile dal 60% al 70% senza effetti tossici, con una concentrazione di 100μM di siRNA. La downmodulazione del mRNA è stata misurata mediante RT-PCR quantitativa a 24, 48 e 72 ore dopo la trasfezione.
Per valutare l’effetto della downmodulazione dei geni bersaglio individuati nella sensibilizzazione al CDDP delle linee di carcinoma ovarico, sono stati effettuati saggi di proliferazione e morte cellulare.
I test di morte cellulare sono stati effettuati mediante FACS, utilizzando come marcatori il Propidio Ioduro e anticorpi di annexina V coniugata ad APC in grado di riconoscere l’esposizione sulle membrane cellulari di fosfaditilserina (marcatore precoce di apoptosi). In questo modo è stato possibile distinguere all’interno di ogni punto sperimentale quattro diverse popolazioni: le cellule vitali che sono negative per tutti e due i fluorocromi, cellule nelle fasi precoci di apoptosi positive alla sola annexina V, cellule in fase tardiva di apoptosi che mostrano positività per annexina V e Propidio Ioduro e cellule positive per il solo Propidio Ioduro, la cui morte non è di natura apoptotica.
Il silenziamento di CSE1L e NRIP, studiati dal punto di vista funzionale, ha fornito un “read-out biologico”.
CSE1L è stato “down”modulato in modo transiente tramite siRNA ON-TARGET plus SMART pool (Dharmacon) come illustrato in Figura 2. Le cellule trasfettate con siRNA diretti contro CSE1L mostrano un aumento della morte cellulare già in condizioni basali: rispetto al controllo, infatti, la quota di cellule positive all’annexina-V e al PI, è aumentata di circa il 20% come illustrato in Figura 3.
Dopo trattamento con chemioterapico si nota un probabile effetto sinergico con il CDDP, infatti le cellule trattate con CDDP (20µM 48 ore) mostrano un aumento della quota di cellule positive al propidio ioduro e annexina V di circa il 30-40% rispetto al controllo come illustrato in Figura 3.
Gli stessi risultati sono stati ottenuti in un’altra linea di carcinoma ovarico, le TOV21G (non mostrato).
NRIP1 è stato “down”modulato in modo transiente tramite siRNA ON-TARGET plus SMART pool (Dharmacon), come illustrato in Figura 4. In condizioni basali il silenziamento di questo gene non determina una variazione della sopravvivenza cellulare. Dopo trattamento con chemioterapico (20μM 48 ore) si nota un effetto di sensibilizzazione al CDDP: infatti le cellule silenziate per NRIP1 mostrano un aumento della quota di cellule positive al propidio ioduro e annexina V di circa il 30-40% rispetto al controllo come illustrato in Figura 5.

Claims (7)

  1. RIVENDICAZIONI 1. Metodo per la diagnosi in vitro della resistenza ad un trattamento con platinoidi in un individuo con cancro ovarico comprendente le fasi di: - isolare un campione organico dell’individuo, - determinare il livello di espressione genica di almeno un gene avente sequenza selezionata tra SEQ ID:1 e SEQ ID:2 in detto campione organico e - confrontare detto livello con un livello di riferimento.
  2. 2. Metodo secondo la rivendicazione 1, caratterizzato dal fatto che detto campione organico è selezionato nel gruppo costituito da un campione di tessuto tumorale o un campione di ascite.
  3. 3. Metodo secondo la rivendicazione 2, caratterizzato dal fatto che detto campione di tessuto tumorale contiene almeno 50% di cellule tumorali.
  4. 4. Metodo secondo la rivendicazione 3, caratterizzato dal fatto che detto campione di tessuto tumorale contiene più del 50% di cellule tumorali.
  5. 5. Metodo secondo una qualsiasi delle rivendicazioni precedenti, caratterizzato dal fatto che detto livello di riferimento è calcolato come valore medio di detto almeno un gene determinato in campioni isolati contenenti cellule sane.
  6. 6. Metodo secondo una qualsiasi delle rivendicazioni precedenti, caratterizzato dal fatto che detto livello di espressione genica in detto campione è determinato mediante una tecnica selezionata nel gruppo costituito da RT-PCR quantitativa, Western Blotting, ELISA, HPLC, spettrometria di massa, microarray.
  7. 7. Metodo secondo una qualsiasi delle rivendicazioni precedenti, caratterizzato dal fatto di essere eseguito in combinazione con un ulteriore metodo per la diagnosi della resistenza ad un trattamento con platinoidi in un individuo con cancro ovarico.
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