ITMI20130908A1 - Materiale fotoluminescente a lunga persistenza a base di ossicarbonato di gadolinio drogato con itterbio e metodi per la sua produzione - Google Patents

Materiale fotoluminescente a lunga persistenza a base di ossicarbonato di gadolinio drogato con itterbio e metodi per la sua produzione

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ITMI20130908A1
ITMI20130908A1 IT000908A ITMI20130908A ITMI20130908A1 IT MI20130908 A1 ITMI20130908 A1 IT MI20130908A1 IT 000908 A IT000908 A IT 000908A IT MI20130908 A ITMI20130908 A IT MI20130908A IT MI20130908 A1 ITMI20130908 A1 IT MI20130908A1
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IT
Italy
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oxalates
ytterbium
gadolinium
oxide
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Application number
IT000908A
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English (en)
Inventor
Cristina Artini
Emanuela Diana Bottinelli
Valentina Caratto
Giorgio Andrea Costa
Mauro Fasoli
Enrico Franceschi
Enrica Gianotti
Federico Locardi
Marco Martini
Roberto Masini
Ivana Miletto
Laura Panzeri
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Univ Milano Bicocca
Univ Degli Studi Genova
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    • C09DYES; PAINTS; POLISHES; NATURAL RESINS; ADHESIVES; COMPOSITIONS NOT OTHERWISE PROVIDED FOR; APPLICATIONS OF MATERIALS NOT OTHERWISE PROVIDED FOR
    • C09KMATERIALS FOR MISCELLANEOUS APPLICATIONS, NOT PROVIDED FOR ELSEWHERE
    • C09K11/00Luminescent, e.g. electroluminescent, chemiluminescent materials
    • C09K11/08Luminescent, e.g. electroluminescent, chemiluminescent materials containing inorganic luminescent materials
    • C09K11/77Luminescent, e.g. electroluminescent, chemiluminescent materials containing inorganic luminescent materials containing rare earth metals
    • C09K11/7766Luminescent, e.g. electroluminescent, chemiluminescent materials containing inorganic luminescent materials containing rare earth metals containing two or more rare earth metals
    • C09K11/7767Chalcogenides

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  • Chemical & Material Sciences (AREA)
  • Inorganic Chemistry (AREA)
  • Engineering & Computer Science (AREA)
  • Materials Engineering (AREA)
  • Organic Chemistry (AREA)
  • Luminescent Compositions (AREA)
  • Pharmaceuticals Containing Other Organic And Inorganic Compounds (AREA)
  • Investigating, Analyzing Materials By Fluorescence Or Luminescence (AREA)

Description

Descrizione dell’invenzione industriale dal titolo:
“MATERIALE FOTOLUMINESCENTE A LUNGA PERSISTENZA A BASE DI OSSICARBONATO DI GADOLINIO DROGATO CON ITTERBIO E METODI PER LA SUA PRODUZIONEâ€
Campo dell’invenzione
La presente invenzione si riferisce ad un materiale fotoluminescente con lunghezze d’onda di emissione nel vicino infrarosso (NIR), così come ai metodi per la sua preparazione.
Stato della Tecnica
Sono detti materiali fotoluminescenti (o, comunemente, anche “fosfori†), tutti i materiali che emettono una radiazione elettromagnetica in risposta ad una sollecitazione a sua volta elettromagnetica, normalmente di energia superiore (e quindi avente frequenza superiore e lunghezza d’onda inferiore) a quella della radiazione emessa.
La fotoluminescenza à ̈ dovuta al ritorno degli elettroni inizialmente eccitati dalla radiazione incidente al loro stato fondamentale, con conseguente rilascio di energia attraverso l’emissione di un fotone. I meccanismi coinvolti nel fenomeno sono di vari tipi e avvengono su scale temporali diverse; in alcuni casi il ritorno allo stato fondamentale richiede tempi dell’ordine dei nanosecondi o decine di nanosecondi, così che, all’occhio dell’osservatore, il fenomeno si interrompe non appena cessa la sollecitazione; in altri casi, invece, il processo di decadimento degli elettroni verso lo stato fondamentale passa attraverso transizioni “proibite†e che avvengono con bassa frequenza, di modo che la luminescenza dovuta al fenomeno può durare secondi, minuti o anche ore dopo l’interruzione della sollecitazione. Tradizionalmente, la fotoluminescenza che cessava immediatamente dopo l’interruzione della sollecitazione veniva detto “fluorescenza†, mentre la fotoluminescenza persistente dopo l’interruzione della sollecitazione veniva detta “fosforescenza"; questa distinzione non à ̈ però considerata più attuale, e si preferisce oggi riferirsi alla persistenza della luminescenza.
Questi materiali sono di interesse applicativo in molti settori, come per esempio in optoelettronica e, soprattutto, nel settore del bio-imaging a scopi diagnostici; data la particolare importanza di quest’ultima applicazione, il resto della descrizione verrà riferito al bio-imaging, ma i fosfori dell’invenzione sono di applicabilità generale in tutti gli usi noti per materiali di questo tipo.
Nel settore del bio-imaging, sono particolarmente interessanti i fosfori in grado di emettere nel vicino infrarosso (NIR), soprattutto a lunghezze d’onda indicativamente nell'intervallo tra 800 e 1200 nanometri (nm), perchà ̈ i tessuti del corpo e in particolare la pelle sono trasparenti a queste radiazioni e quindi un segnale di lunghezza d'onda in questo intervallo emesso da una sorgente sotto la cute può essere facilmente rilevato e misurato con adatta strumentazione, consentendo lo sviluppo di metodi diagnostici non invasivi.
L’impiego di fosfori che emettono nel NIR come marcatori di recettori presenti su cellule oggetto di indagini diagnostiche à ̈ oggetto di vastissima letteratura sia tecnica che brevettale.
La domanda di brevetto US 2012/0258048 A1 fornisce una descrizione generale dei metodi di bio-imaging con sorgenti fotoluminescenti, costituite in questo caso da composti organici relativamente complessi. Il problema dei fosfori organici à ̈ che, per quanto estremamente versatili, subiscono interazioni con i tessuti circostanti che portano ad uno “spegnimento†rapido del segnale di emissione fotoluminescente. Tra i fosfori inorganici, i più interessanti dal punto di vista applicativo sono quelli a base di Terre Rare, che danno luogo alle rese di luminescenza migliori.
La domanda di brevetto WO 2008/022147 A1 descrive nanoparticelle di idrossidi di lantanidi, in particolare “nanorods†di idrossido di europio, per impiego in diagnostica medica.
La domanda di brevetto WO 2010/075003 A1 descrive complessi con emissione nel NIR costituiti da uno ione di un lantanide opportunamente chelato.
L’articolo di R. Osaki et al, pubblicato nei Proceedings della conferenza IEEE SENSORS 2011, pagine 1784-1787, descrive un sistema di diagnosi di cancro al seno che impiega come fosfori nanoparticelle di ossido di ittrio drogato con itterbio ed erbio.
L’articolo “In vivo optical imaging with rare earth doped Ca2Si5N8persistent luminescence nanoparticles†T. Maldiney et al, Optical Materials Express Vol. 2, no.
3, pagine 261-268 (2012), descrive l’uso in bio-imaging del composto Ca2Si5N8drogato con ioni Eu<2+>e Tm<3+>.
Nei sistemi descritti in queste pubblicazioni, il decadimento elettronico alla base del fenomeno di luminescenza à ̈ stimolato termicamente, così che la persistenza e l’intensità del segnale dipendono dalla temperatura del sistema; questa caratteristica complica le correlazioni tra misure effettuate in momenti diversi, e soprattutto tra misure effettuate in vitro ed in vivo, utili al fine dell’ottenimento di informazioni diagnostiche.
Scopo della presente invenzione à ̈ quello di fornire materiali fotoluminescenti con emissione nel vicino infrarosso, e la cui risposta di emissione sia indipendente dalla temperatura del sistema.
Sommario dell’invenzione
In un suo primo aspetto, la presente invenzione riguarda il materiale fotoluminescente ossicarbonato di gadolinio drogato con itterbio; questo materiale, avente formula Gd(2-x)O2CO3Ybxin cui x à ̈ compreso tra 0,002 e 0,08, presenta un’intensa emissione persistente centrata intorno a 967 nm, rivelabile anche dopo 16 ore.
In un suo secondo aspetto, l’invenzione riguarda i metodi per la preparazione del materiale fotoluminescente sopra citato.
Breve descrizione delle Figure
- la Figura 1 mostra un diffrattogramma ai raggi X di un materiale dell'invenzione con x pari a 0,08;
- la Figura 2 mostra lo spettro di emissione di un materiale dell'invenzione con x pari a 0,02;
- la Figura 3 rappresenta l’andamento della resa di emissione dei materiali dell’invenzione al variare del grado di sostituzione di gadolinio con itterbio;
- la Figura 4 mostra un grafico in cui à ̈ riportata l’intensità di luminescenza persistente di un materiale dell’invenzione in funzione del tempo e la curva teorica prevista per un’emissione di luminescenza non dipendente dalla temperatura;
- la Figura 5 mostra tre grafici dell’intensità di luminescenza persistente di un materiale dell’invenzione in funzione del tempo ottenuti a temperature differenti; - la Figura 6 mostra lo spettro di luminescenza persistente di un materiale dell’invenzione schermato da una coltura di Escherichia coli.
Descrizione dettagliata dell’invenzione
Il materiale dell'invenzione à ̈ ossicarbonato di gadolinio, in cui il gadolinio à ̈ sostituito con itterbio con percentuali di sostituzione che variano tra 0,1 e 4%, equivalenti a valori di x tra 0,002 e 0,08 nella formula Gd(2-x)O2CO3Ybx.
La Figura 1 mostra uno spettro di diffrattometria di polveri ottenuto con uno strumento Philips PW1830, con radiazione incidente di lunghezza d’onda λ = 1,5406 A e con velocità di scansione 0.5°/ min. Lo spettro della figura à ̈ stato ottenuto su un campione con x = 0,08, cioà ̈ al massimo valore di sostituzione di Gd con Yb secondo l’invenzione. Questo spettro à ̈ rappresentativo di tutti i possibili materiali dell’invenzione, poiché per percentuali di sostituzione di Gd con Yb inferiori a 5% le minime variazioni delle dimensioni della cella elementare non sono rilevabili con la tecnica XRD.
Gli inventori hanno osservato che il materiale dell’invenzione presenta una resa di intensità della luminescienza persistente in funzione del tempo il cui andamento à ̈ rappresentato dall’equazione (1):
A
I =
(t- C) y0(1)
in cui:
I à ̈ l’intensità di emissione;
A à ̈ una costante di proporzionalità che tiene conto dei contributi dell’intensità di emissione e dell’efficienza del rivelatore;
t à ̈ il tempo trascorso dal termine della stimolazione;
C Ã ̈ una costante empirica;
y0Ã ̈ il valore del segnale di fondo.
Come si può osservare dall’equazione (1), l’intensità di emissione da parte dei materiali dell’invenzione non à ̈ funzione della temperatura. Tale dipendenza dal tempo dell’intensità di luminescenza persistente può essere dovuta o a un meccanismo di ricombinazione per effetto tunnel atermico o alla presenza di livelli di trappola con una distribuzione continua delle energie.
In un suo secondo aspetto, l’invenzione riguarda i metodi per la preparazione del materiale dell’invenzione.
La preparazione del materiale può avvenire attraverso diverse sintesi, che utilizzano generalmente come materiale di partenza miscele omogenee di ossalati di gadolinio ed itterbio nelle proporzioni desiderate.
Queste miscele possono essere ottenute tramite co-precipitazione a partire dagli ossidi degli elementi, preferibilmente in polvere, che sono solubilizzati tramite soluzioni acide; allo scopo à ̈ possibile impiegare per esempio una soluzione di HCI a freddo. Alla soluzione così ottenuta si aggiunge una soluzione di acido ossalico in eccesso come agente precipitante. Considerando che i prodotti di solubilità degli ossalati di terre rare trivalenti sono molto simili tra loro (nell’ordine di 10<-30>) la loro precipitazione à ̈ essenzialmente contemporanea, portando ad un ossalato misto omogeneo; nelle prove effettuate dagli inventori, questa omogeneità à ̈ stata confermata da un’analisi della distribuzione dei cationi con tecnica di dispersione di raggi X in un microscopio elettronico attrezzato con opportuna sonda (tecnica ben nota nel settore dei materiali con la sigla SEM-EDXS). Il prodotto così ottenuto viene generalmente filtrato, lavato con acqua e quindi asciugato in forno.
Una prima via di sintesi del materiale dell’invenzione consiste nel trattamento della miscela di ossalati in un forno orizzontale in aria, per esempio a 600 °C per 6 ore, per ottenere l’ossido misto corrispondente. Quest’ultimo à ̈ quindi addizionato ad una miscela di sali avente composizione, in frazioni molari, 0,476 U2CO3- 0,270 Na2CO3- 0,254 K2CO3; questa miscela costituisce un eutettico che fonde a circa 500 °C; l’ossido misto di gadolinio e itterbio viene aggiunto a questa miscela in quantità di circa 1 g per 150 mg di detta miscela. Il sistema viene poi portato ad una temperatura superiore a quella di fusione dell’eutettico, e preferibilmente tale che il fuso sia sufficientemente fluido, per esempio a 600 °C; nel fuso viene fatto passare un flusso di CO2, per esempio per un tempo di 12 ore, che determina la parziale ricarbonatazione dell’ossido a dare l’ossicarbonato di gadolinio e itterbio. Il composto ottenuto à ̈ quindi lavato con acqua in bagno ad ultrasuoni e filtrato in modo da eliminare la miscela di carbonati che à ̈ solubile in acqua a differenza del materiale desiderato.
Una metodica alternativa à ̈ il trattamento della miscela di ossalati ottenuta come prima descritto con C02statica, per esempio a 600 °C per almeno 5 giorni.
Un ultimo possibile metodo di sintesi del materiale dell’invenzione consiste nella decomposizione termica degli ossalati in un reattore chiuso in atmosfera inerte, per esempio di N2; la decomposizione termica può essere fatta avvenire per esempio ad una temperatura di 700 °C, secondo un processo analogo a quello descritto nell’articolo “Synthesis of New Red-Emitting Single-Phase Europium Oxycarbonate" di V. G. Pol et al, Inorganic Chemistry, Vol. 48, No. 12 (2009), pagine 5569-5573. La presente invenzione verrà ulteriormente illustrata attraverso i seguenti esempi.
Esempio 1
Questo esempio si riferisce alla preparazione dell’ossicarbonato Gd1,994O2CO3Yb0,006·36,25 g di Gd2O3(0,1 mol) e 0,119 g di Yb2O3(3 x 10<-4>mol) vengono disciolti in 500 cc di una soluzione di HCI al 13% in peso a questa soluzione si aggiungono 500 cc di una soluzione di acido ossalico al 15% in peso, osservando la formazione di un precipitato che viene filtrato su buchner e lavato abbondantemente con acqua e infine asciugato in forno a 80 °C per 2 ore. La polvere così ottenuta viene trattata a 600 °C per 6 ore in forno orizzontale in aria, ottenendo una miscela di ossidi di gadolinio e itterbio con resa quantitativa rispetto agli ossidi di partenza. Alla miscela di ossidi si aggiungono circa 5,5 g della miscela eutettica di carbonati Li2CO3-Na2CO3- K2CO3e si porta il sistema a 600 °C in flusso di CO2per 12 ore. Alla fine del ciclo termico il materiale ottenuto viene immerso in acqua, trattato con ultrasuoni e infine centrifugato, recuperando il materiale desiderato dopo evaporazione deN’umidità residua; il prodotto così ottenuto costituisce il Campione 1. Su questo campione viene effettuata una misura XRD, ottenendo lo spettro di diffrazione riportato in Figura 1.
Esempio 2
Seguendo la procedura dell'esempio 1, impiegando in partenza sempre 36,25 g di Gd2O3(0,1 mol) e quantità diverse di Yb2O3, vengono preparati tre campioni a diverso grado di sostituzione di Gd con Yb, come riassunto nella tabella seguente:
Tabella 1
Campione Peso Yb2O3iniziale (g) moli Yb2O3iniziale Formula composto
2 0,398 1 x 10<-3>Gd1 ,98O2CO3Yb0,02
3 1,219 3,1 x 10<-3>Gd1 ,94O2CO3Yb0,06
4 1,642 4,2 x 10<-3>Gd1,92O2CO3Yb0,08
Si effettuano misure XRD sui campioni 2, 3 e 4 così preparati, ottenendo in tutti i casi uno spettro di diffrazione corrispondente a quello della Figura 1.
Esempio 3
0,1 g del campione 2 vengono sospesi in 1 I di soluzione acquosa di NaCl di concentrazione 9 g/l, e si sottopone la sospensione a trattamento con ultrasuoni per 10 minuti per rompere eventuali aggregati di polvere e disperderla uniformemente nel solvente, in modo da ottenere una sospensione omogenea di polvere del campione.
2 mi di questa sospensione vengono depositati su un vetrino, e si lascia poi evaporare il solvente, ottenendo una polvere asciutta.
11 campione di polvere viene posto in un portacampioni, pressandolo in un incavo circolare con 5 mm di diametro e profondo 1 mm.
La stimolazione della luminescenza persistente (PeL) viene effettuata utilizzando un tubo a raggi X Philips 2274, con bersaglio di tungsteno, alimentato con 20 kV e 20 mA. Si registra poi lo spettro di emissione del campione, misurando l’intensità del segnale di luminescenza persistente che viene valutata integrando lo spettro nella regione di emissione dell’Yb (tra 880 e 1050 nm) e successivamente normalizzata dividendo per il tempo di integrazione della misura. Il sistema di rivelazione à ̈ costituito da un monocromatore Triax 180 Jobin-Yvon (utilizzando un reticolo a 100 righe/mm e una larghezza della fenditura di 0.25 mm) accoppiato ad un sensore CCD Spectrum One 3000 Jobin-Yvon retroilluminato e raffreddato con azoto liquido. Lo spettro così ottenuto, riportato in Figura 2, mostra un intenso picco di emissione centrato a circa 970 nm.
Esempio 4
I campioni 1-4 prodotti come descritto negli esempi 1 e 2 vengono sottoposti a radiazione ionizzane (raggi X) per stimolare la luminescenza persistente.
I campioni vengono preparati e irradiati con raggi X come descritto nell’esempio precedente. A partire dall’istante in cui si interrompe l’irraggiamento, vengono acquisiti, a intervalli regolari, degli spettri di luminescenza persistente utilizzando lo stesso sistema di rivelazione utilizzato nella misura precedente. Il tempo di integrazione delle misure à ̈ di 30 s e si monitora l’intensità di luminescenza per circa 30 minuti. Gli spettri vengono normalizzati dividendo l'ampiezza di luminescenza per il tempo di integrazione in modo da rendere confrontabili i diversi spettri.
I risultati di queste misure sono riportati in grafico in Figura 3; nel grafico à ̈ anche riportato il valore misurato come sopra descritto per un composto nominalmente non contenente Yb; la debole luminescenza osservata à ̈ dovuta a tracce di Yb comunque presenti nel campione. La Figura mostra come il materiale con la migliore resa di luminescenza sia quello con la percentuale di sostituzione di Gd con Yb pari a 1% (equivalente a x = 0,02).
Esempio 5
Sul campione 2 viene effettuata una misura di persistenza della luminescenza dopo l'interruzione della sollecitazione (utilizzando raggi X).
Si opera come descritto nell’esempio 4, registrando però in questo caso la luminescenza nel tempo, inizialmente ogni 30 secondi dopo l’interruzione della sollecitazione (fino a 30 minuti dall’inizio della prova) e di seguito ogni 30 minuti fino a quando l'emissione non risulta praticamente estinta integrando per 240 s. Anche in questo caso gli spettri vengono normalizzati dividendo l’ampiezza di luminescenza per il temo di integrazione della misura. I risultati della prova sono riportati in grafico in scala doppio logaritmica in Figura 4, insieme alla curva teorica calcolata, tramite l’equazione 1 riportata in precedenza. Come si può notare, i valori ottenuti nella misura replicano quasi esattamente quelli attesi dal calcolo.
Esempio 6
L’esempio 5 viene ripetuto tre volte a tre temperature diverse (280 K, 300 K e 320 K), misurando la luminescenza per ad intervalli di 30 s effettuando prove della durata di 30 minuti. I risultati delle tre prove vengono riportati in scala lineare in Figura 5; i grafici relativi alle tre misure sono stati sfalsati nella figura per poterli evidenziare, poiché quasi esattamente sovrapposti. Queste misure dimostrano che il decadimento dell’intensità di luminescenza persistente non dipende dalla temperatura.
Esempio 7
Il campione 2 viene impiegato in una prova di luminescenza persistente in un campione biologico (una coltura di Escherichia coli).
Si inocula Escherichia coli a 37 °C per 24 ore in 50 mi di LB broth (il terreno liquido standard utilizzato per questa metodica). Dopo 24 ore di incubazione si centrifuga per 10 minuti a 5000 giri/minuto il materiale, si elimina il liquido surnatante e si sospende il pallet batterico in soluzione fisiologica sterile (soluzione di NaCl 9 g/l); l’operazione viene ripetuta operazione 3 volte.
Si misura allo spettrofotometro (a lunghezza d’onda di 600 nm) l’assorbanza della soluzione, correlando il valore al numero di unità formanti colonie (CFU) presenti nel campione attraverso al seguente equazione: 1 abs = 10<7>CFU.
Il campione viene preparato in tubo falcon come segue: 20 mi di soluzione di E. coli vengono aggiunti a 20 mi della sospensione di ossicarbonato dell’esempio 3; la concentrazione iniziale di batteri à ̈ di circa 994 x 10<4>CFU
Si porta ad un volume di 100 mi con LB e si inocula per 24 ore a 37 °C.
Il campione viene poi centrifugato e risospeso in soluzione fisiologica, quindi si preparano i vetrini per le misure ottiche depositando 2 mi di campione e lasciando evaporare la frazione liquida.
Vengono anche preparati due controlli, il primo (bianco negativo) corrispondente alla sospensione di solo ossicarbonato dell’esempio 3, e il secondo (bianco positivo) senza ossicarbonato, contenente quindi solo la carica batterica.
Sul campione e sui due controlli vengono effettuate misure di luminescenza come descritto nell’esempio 3, con i seguenti risultati:
- il campione bianco positivo non presenta alcun segnale;
- il campione bianco negativo presenta un segnale con il picco di emissione a circa 970 nm, confermando il risultato riportato in Figura 2;
- il campione contenente sia il fosforo dell’invenzione che la carica batterica, avente un’assorbanza di 1.889 abs che corrisponde a 1.889 x 10<7>CFU; lo spettro di emissione di questo campione, riportato in Figura 5, evidenzia sia il picco dell’itterbio, leggermente attenuato rispetto al bianco, che un debole picco intorno a 600 nm che à ̈ tipico dei batteri, corrispondente alla radiazione tipicamente emessa dai batteri in seguito aH’assorbimento di una radiazione.

Claims (10)

  1. RIVENDICAZIONI 1. Composto luminescente a lunga persistenza di luminescenza avente formula Gd(2-x)O2CO3Ybx, in cui x à ̈ compreso tra 0,002 e 0,08.
  2. 2. Composto secondo la rivendicazione 1 , in cui x à ̈ superiore a 0,006.
  3. 3. Composto secondo la rivendicazione 2, in cui x à ̈ 0,02.
  4. 4. Processo per la preparazione di un composto secondo una qualunque delle rivendicazioni da 1 a 3, che comprende le seguenti operazioni: a) ottenere una miscela omogenea di ossalati di gadolinio ed itterbio nelle proporzioni desiderate; b) sottoporre la miscela di ossalati a trattamento termico per decomporre detti ossalati ed ottenere un ossido misto; c) addizionare detto ossido misto ad una miscela di sali avente composizione, in frazioni molari, 0,476 Li2CO3- 0,270 Na2CO3- 0,254 K2CO3; d) sottoporre detti ossido e sali ad un trattamento termico ad una temperatura superiore a quella di fusione della miscela di sali, facendo fluire CO2attraverso il fuso; e) lasciare solidificare il fuso; f) lavare con acqua e filtrare il solido così ottenuto, e recuperare il composto di formula Gd(2-X)O2CO3Ybx.
  5. 5. Processo secondo la rivendicazione 4, in cui nell’operazione b) la miscela di ossalati à ̈ decomposta per trattamento termico in aria a 600 °C per 6 ore.
  6. 6. Processo secondo una qualunque delle rivendicazioni 4 o 5, in cui nell’operazione c) detto ossido misto viene aggiunto alla miscela di sali in rapporto in peso 1:0,15.
  7. 7. Processo secondo una qualunque delle rivendicazioni da 4 a 6, in cui nell’operazione d) la miscela di ossido misto e sali viene trattata a 600 °C per 12 ore.
  8. 8. Processo per la preparazione di un composto secondo una qualunque delle rivendicazioni da 1 a 3, consistente nel trattare una miscela omogenea di ossalati di gadolinio ed itterbio nelle proporzioni desiderate con CO2statica ad una temperatura di almeno 600 °C.
  9. 9. Processo per la preparazione di un composto secondo una qualunque delle rivendicazioni da 1 a 3, consistente nella decomposizione termica di una miscela omogenea di ossalati di gadolinio ed itterbio nelle proporzioni desiderate in un reattore chiuso in atmosfera inerte ad una temperatura di almeno 700 °C.
  10. 10. Processo secondo una qualunque delle rivendicazioni da 4 a 9, in cui la miscela di ossalati iniziale viene ottenuta tramite dissoluzione in soluzione acida di ossido di gadolinio e di ossido di itterbio nelle proporzioni desiderate, aggiunta di acido ossalico alla soluzione così ottenuta, e recupero degli ossalati precipitati.
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