IT202000016906A1 - Dispositivo per l’inattivazione di agenti patogeni contenuti in aerosol - Google Patents

Dispositivo per l’inattivazione di agenti patogeni contenuti in aerosol Download PDF

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IT202000016906A1
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Description

Descrizione dell?invenzione avente per titolo:
?DISPOSITIVO PER L?INATTIVAZIONE DI AGENTI PATOGENI CONTENUTI IN AEROSOL?
Descrizione
Campo della tecnica
La presente invenzione si riferisce al settore dei sistemi di purificazione dell?aria da agenti pericolosi per la salute umana e specificatamente ad un dispositivo atto all?inattivazione di agenti patogeni quali virus, e microorganismi in generale, contenuti nell? aria. Pi? in dettaglio la presente invenzione concerne un peculiare dispositivo per l?inattivazione di agenti patogeni, a mezzo di radiazioni provenienti da un emettitore LED, e segnatamente per l?inattivazione di virus che si trasmettono per trasmissione aerea, tra cui virus a singolo filamento quali coronavirus e virus influenzali.
Arte nota
Il sole ? il pi? potente virucida naturale conosciuto nonostante le sue radiazioni pi? pericolose. Le radiazioni comprese nella zona spettrale dell?ultravioletto (UV) sono suddivise in tre gruppi: UVA (320-400 nm), UVB (280-320), UVC (200-280). Gli UVB che arrivano sulla terra sono i responsabile dell?azione germicida e virucida del sole, in gran parte basata sull? inattivazione degli acidi nucleici a cui ? affidata l?informazione genetica di ogni vivente e dei virus, ma risultano tra 20 e 100 volte meno efficienti degli UVC<1>. La sensibilit? dei virus e dei batteri alla luce UV ? da decenni oggetto di indagine scientifica e le capacit? terapeutiche della luce solare sono note sin dall?antichit?: Ippocrate nel 460 a.C. prescriveva l?elioterapia per il trattamento della tubercolosi<2>, protocollo utilizzato fino a met? del ?900 e, sempre nei primi del ?900, fu sperimentata, con esiti positivi, la pratica di tenere all?aperto, nelle ore di sole, i malati durante l?influenza pandemica causata dal virus H1N1, tristemente nota come influenza spagnola<3>. Pi? recentemente, la radiazione UV della lampada a vapori di mercurio (254 nm) ? stata utilizzata per tecnologie inattivanti per la produzione di vaccini. Si ? cos? potuto accertare che i virus rispondono con modalit? differenti alla radiazione UV e che la resistenza, o sensibilit?, verso i danni causati dipendono dal tipo di acido nucleico<4 >che essi contengono e, anche, da come il medesimo ? organizzato nella struttura virale. Nell?analisi della cinetica di inattivazione del virus da parte della luce UV, si prende in considerazione l?interazione tra un numero finito di fotoni e un numero finito di virioni. Tale interazione comporta due processi statistici: l?assorbimento di alcuni dei fotoni incidenti da parte dei virioni e l?inattivazione di alcuni dei virioni assorbenti, a causa di un danno fatale, provocato dal fotone. Il rapporto tra i fotoni incidenti e quelli assorbiti indica qual ? la probabilit? di assorbimento ed ? denominata sezione trasversale di assorbimento (absorption cross section), s, mentre, il rapporto tra il numero dei virioni inattivati e il numero dei fotoni assorbiti d? la probabilit? relativa che i fotoni assorbiti inattivino il virus, indicata con ?, e denominata sezione trasversale di inattivazione (inactivation cross section). Il rapporto ?/s ? uguale al rapporto tra numero di virioni inattivati/numero di fotoni incidenti che rappresenta l?efficienza quantica del sistema ?. Quest?ultima grandezza, espressa in cm<2 >per fotone, si trova spesso negli spettri di azione UV, plottata verso le lunghezze d?onda. Rauth<5>, nel 1965, misur? l?efficienza quantica di alcuni virus a DNA ed RNA in soluzione acquosa sottoposti a UV di lunghezza d?onda 254 nm, riscontrando valori compresi nel range 5-65 *10<-4>, rilevando anche una differenza di efficacia fino a 100 volte tra i valori di ? riscontrati a 220 nm (10<-15>) e quelli oltre i 300 nm (10<-17>).
Spesso, le curve di inattivazione dei virus corrispondono ad una cinetica del colpo unico (one-hit kinetic) in cui un singolo evento dannoso a carico di un singolo target presente nell?entit? biologica in oggetto, risulta sufficiente all?inattivazione della stessa<6>. Se esprimiamo la fluenza dei fotoni come colpi/m<2 >e la sezione trasversale di inattivazione come m<2>/colpo il numero medio di colpi per target, ?, sar? proporzionale alla fluenza e a ?:
?=? F (1)
Applicando la distribuzione di Poisson per esprimere la probabilit? di sopravvivenza del virus, vale a dire la probabilit? che nessun target del virione venga colpito, avremo P(0) = (?<0 >e <-?>) / 0! Che si riduce a
P(0) = e- ?F (2)
Dato che la probabilit? di sopravvivenza ? espressa dal rapporto tra numero di virioni vitali (N) e il numero virioni totali (N0) avremo che N/N0= e <- ?F >per cui Ln (N/N0) = -?F (3).
Equazione che descrive la maggior parte delle curve di inattivazione dei virus esposti alla luce UV. In tale cinetica, quando la ? ? pari ad 1 il rapporto N/N0 ? 0,37 per cui c?? un 37% di sopravvissuti e ? ? pari al reciproco della fluenza. La fluenza espressa in Jm<-2 >alla quale si ottiene una sopravvivenza del 37% ? indicata come D37 e rappresenta un valore molto indicativo sulla specifica sensibilit? ad una determinata lunghezza d?onda del virus. L?analisi dei dati conosciuti, relativamente al D37 a 254 nm e al suo valore normalizzato rispetto alla dimensione dell?acido nucleico virale, hanno evidenziato che i virus a doppio filamento sono pi? resistenti di quelli a singolo, anche a causa della possibilit? di riparazione (fotoriattivazione), e quelli a RNA lievemente pi? sensibili di quelli a DNA. Un fattore discriminante di maggior incidenza della qualit? dell?acido nucleico ? la dimensione del genoma virale, dato che meno basi sono presenti, meno target sono disponibili ad essere intercettati e danneggiati dai fotoni con risultante ridimensionamento di ? e dell?efficienza quantica<7>.
Per i virus a singolo RNA la resistenza alla radiazione UV dipende, oltre che dalla taglia del genoma, dalla modalit? di replicazione: maggiore resistenza per quelli che operano via trascrittasi inversa (D37 tra 8 e 12 mJ cm<-2 >per un genoma tra 7 e 11 kb), seguiti da quelli a filamento RNA positivo di media taglia (D37 tra 5 e 2 per genomi tra 7 e 12 kb) e dai virus con (-)ssRNA di media taglia (D37 tra 1 e 0,4 per genomi di 10-16 kb) tra i quali i virus influenzali della famiglia Orthomixoviridae con D37 medio compreso tra 0,48 e 1.
Tra i virus con (+) ssRNA, i Coronaviridae presentano un genoma di 30 kb pari a due-tre volte quello delle altre famiglie e il D37 pi? piccolo tra tutti i virus testati pari a 0,31. In realt?, questo dato si riferisce al virus di Berna, che, inizialmente classificato come appartenente a tale famiglia, ? poi stato riconosciuto come membro della nuova famiglia creata ad hoc dei Toroviruses; il virus presenta un genoma molto simile per tipologia e taglia a quello dei Coronaviridae.
In pi?, la maggiore sensibilit? alla luce UV dei Coronaviridae ? stata provata da recenti sperimentazioni in cui un coronavirus ? risultato quasi 10 volte pi? vulnerabile alla luce UV (254 nm) di un altro virus con (+) ssRNA appartenente alla famiglia Leviviridae<8>. L?utilizzo della radiazione a 254 nm per l?inattivazione dei virus a scopo vaccinale ha dimostrato che la dose di radiazione somministrata modifica la qualit? dell?inattivazione e la possibilit? di usufruire del virus inattivato: ad esempio un Virus con (+) ssRNA appartenenti alla famiglia Caliciviridae<9 >(RHDV rabbit hemorragic disease virus) e un membro della famiglia Picornaviridae10 (mengovirus), se sottoposti ad una prolungata esposizione(dose totale di 1-2 ordini di grandezza il D37 a 254 nm), diventano inattivi, ma incapaci di proteggere l?ospite, a causa delle trasformazioni subite da elementi essenziali del capside<11>.
A dosi pi? moderate, il danno principale delle radiazioni UV 254 nm consiste nella la formazione di dimeri ciclobutile-pirimidina tra due timine e, con meno probabilit?, citosine, nel DNA a doppia elica. La formazione di questi legami covalenti, molto pi? forti dei legami idrogeno, avviene in 1 picosecondo e causa il blocco nella replicazione del DNA. Accanto alla dimerizzazione, avviene spesso la formazione di idrati pirimidinici che sono meno conosciuti perch? di pi? difficile rilevazione e molto pi? frequenti nel DNA a singola elica e nell?RNA. Nei virus ad RNA i dimeri di uracile sono pi? frequenti in quelli a doppio filamento, mentre i virus a singolo filamento presentano, principalmente, legami crociati tra i nucleotidi che si trovano a stretto contatto con le proteine del nucleocapside o del capside e, specificatamente con gli amminoacidi aromatici, la cisteina, la cistina, la serina la lisina, metionina ed arginina<12 >contenuti in dette proteine. Questo tipo di RNA tende a formare fotoidrati dell?uracile e non dimeri, data la rigidit? della conformazione che imprimono le proteine e, per lo stesso motivo di estrema vicinanza, ? pi? probabile la formazione dei legami crociati anzidetti. Anche i fotoidrati riescono ad inattivare la replicazione, come ? stato ben descritto nel caso del fago R17, dove l?inattivazione dipende linearmente dalla foto-formazione di idrati dell?uracile. Inoltre i virus a RNA singola elica sono i pi? sensibili anche perch? privi di qualsiasi mezzo di fotoriattivazione.
Lavori pi? recenti, potendo avvalersi della tecnologia al laser o di LED a lunghezza d?onda specifica, hanno iniziato a chiarire le differenti efficienze e i differenti target, a seconda della lunghezza d?onda applicata durante l?inattivazione. ? stato visto che l?efficienza della luce UV nell?inattivare vari sottotipi di virus, quali Rotavirus (dsRNA), MS2, Q beta (ss (+) RNA), T7 (dsDNA), T1UV (dsDNA) ? al suo massimo tra 210 e 220 nm e poi cala fino al minimo a 240 nm, valore dal quale risale gradatamente per raggiungere un secondo picco locale tra 259 e 265<13>. Ci? in quanto adenina, citosina, timina ed uracile presentano il massimo assorbimento nel l?intervallo 260-265nm, mentre il legame peptidico assorbe principalmente attorno ai 220 nm, ragione per cui lunghezze d?onda tra 220 e 240 nm agiscono prevalentemente sulle proteine mentre sopra i 240 con massimo attorno a 260 i danni arrecati sono, prevalentemente, quelli al materiale genetico. Questa generalizzazione trova numerose eccezioni dovute a fenomeni di trasferimento dell?energia da proteine ad acidi nucleici o alla formazione di legami crociati tra amminoacidi e nucleotidi che impediscono la replicazione. Nel colifago M2S (Leviviridae) la sensibilit? alle lunghezze d?onda rispetta lo schema sopra indicato, ma la sensibilit? dell?infettivit? del virus ? statisticamente non difforme dalla sensibilit? del suo genoma, a dimostrazione che il calo dell?infettivit? ? dovuto, in tutto l?intervallo di lunghezze d?onda, ai danni subiti dall?RNA. Il fenomeno si ripete nel Q? colifago in cui, anche sotto i 240 nm, il principale danneggiato risulta il genoma per probabile trasferimento dell?energia da parte della proteina di maturazione o delle proteine di rivestimento, con conseguente rottura dell?acido nucleico o formazione di legami crociati. In altri casi, invece, il virus risulta pi? sensibile alle lunghezze d?onda assorbite dagli acidi nucleici attorno a 260 nm, anzich? a quelle con maggiore energia di 230<14>. Ancora diverso, si presenta lo spettro d?efficacia degli UV sugli adenovirus che mostrano una netta divergenza tra la sensibilit? spettrale dell?infettivit? e del genoma alle lunghezze d?onda sotto i 240 nm ed un restringimento della forbice tra le due linee, con sovrapposizione totale, solo a 280 nm. Il picco minore, che in molti virus cade a 260, ? spostato a 275 nm negli Adenovirus<15>. A questo riguardo si ? visto che gli Adenovirus resistono alla luce monocromatica della lampada a vapori di mercurio, ma non alle lampada ?medium pressure? che emette picchi a lunghezze d?onda comprese tra 250 e 300 nm<16 >mentre, in prove con LED specifici ad emissione 260 o 280, hanno mostrato che l?emissione a 280 nm, generalmente meno efficiente nell?inattivare batteri e virus di quella a 260nm, negli Adenovirus rivela una netta superiorit?; questo avviene solo se la dose totale supera i 1000 Jm<-2>. Ci? ? un chiaro indizio del fatto che l?inattivazione dipenda dalle numerose proteine che circondano il DNA e il probabile danneggiamento delle stesse avvenga con quantit? di radiazione superiori a quelle sufficienti a danneggiare gli acidi nucleici ed in tratti di sequenza ricchi in amminoacidi aromatici o ponti disolfuro tra cisteine, tutti aventi un picco relativo di assorbanza a 280 nm. Tali esempi dimostrano come, a priori da un gradiente generico di sensibilit? alla radiazione UV, l?inattivazione dei virus con questo tipo di radiazioni pu? essere svolta in modo diverso, a seconda delle finalit? per cui ? posta in essere. Se lo scopo ? la neutralizzazione del patogeno fine a se stessa, si pu? procedere con una dose massiccia di radiazioni, mentre se il virus inattivando ? la componente di un vaccino, occorrer? tenere in conto le specificit? del virus per calibrare dose e lunghezza d?onda da applicare al fine di ottenere il tipo di inattivazione che preservi le caratteristiche strutturali del medesimo, in special modo quelle che gli permettono di raggiungere l?interno delle cellule target. Naturalmente, dato che solo di recente le nuove tecnologie hanno permesso l?utilizzo di lunghezze d?onda differenti dalla 254 nm, la maggior parte dei dosaggi rinvenuti in letteratura riguardano l?inattivazione dei virus attraverso tale tipologia di radiazione. I lavori esaminati trattano di inattivazione su campioni di virus in soluzione acquosa con concentrazioni di 106 PFU/mL ai quali sono state somministrate dosi di radiazioni comprese tra 500 e 1500 Jm<-2 >per raggiungere valori di inattivazione log10 pari a 4 o nel range tra 3 e 4<17-18-19>. Calcolando che un fotone a 254 nm possiede un?energia di 7,8 exp-19 J e che una fluenza di 500 -1500 Jm<-2 >equivale a 64-192 exp19 fotoni per m<2>, e, tenendo in considerazione che la reale superficie di sezione trasversa di un virus ? nell?ordine di 10 <-14 >m<2>, si avr? che per ottenere una riduzione di 4 o 5-log sono stati necessari tra i 32.000.000 e 960.000.000 fotoni per virione, cifre di 3-5 ordini di grandezza superiori all?efficienza quantica misurata da Rauth per una riduzione di 2-log. Questo pu? rivelare, oltre alle differenze di esposizione e di agitazione del campione, la presenza di fenomeni collaterali e di pi? difficile identificazione, simili a quelli indicati dallo stesso Rauth, che aveva osservato come la curva di disattivazione si appiattiva oltre lo 0,01% di sopravvissuti, a causa di fenomeni di resistenza dei virus assorbiti sulle pareti del recipiente non irradiate. Una circostanza da sottolineare ? che tutti questi dati si riferiscono a virus contenuti in soluzioni acquose mentre in natura i virus responsabili delle malattie respiratorie infettive (Adenovirus, Arenavirus, Coronavirus, Coxsackievirus, Echovirus, Morbilivirus, Influenza, Parainfluenza, Paramyxovirus, Parvovirus B19, Reovirus, Respiratory Syncytial Virus, Rhinovirus, Togavirus, Varicella Zoster) si trovano, solitamente, ad affrontare la radiazione UV proveniente dal sole in condizioni molto meno favorevoli di quelle testate nei lavori suindicati.<20 >Sta di fatto che la strategia prevalente di tutti questi virus ? del tipo ?tutto o nulla? vale a dire affrontare il massimo rischio pur di reclutare nuovi ospiti. La contaminazione, infatti, ha luogo mediante l?emissione, principalmente per mezzo di tosse e starnuti, di minuscole goccioline di diametro variabile da 0,5 a 1000 ?m, ma il cui numero maggiore ? compreso tra 50 e 100 ?m. Tra queste, le pi? pesanti si depositano velocemente sulle superfici, mentre le pi? leggere (0,5-10 ?m) rimangono in aria per qualche ora subendo un processo di continuo ridimensionamento causato dall?evaporazione che le porta a raggiungere dimensioni finali non lontane da quelle dei patogeni che ospitano al loro interno, diventando particolarmente insidiose, data la capacit? di oltrepassare molte tipologie di tessuto filtrante e raggiungere gli alveoli polmonari. Un singolo starnuto pu? generare centomila particelle di bioaerosol, molte contenenti i patogeni attivi; 20 colpi di tosse ne producono circa 800 ma tossire ? dieci volte pi? frequente di starnutire<21>. Anche l?attivit? di ridere o parlare provoca l?emissione di bioaerosol, solitamente di misura inferiore (5-20 ?m) e in misura minore e dipendente da svariate variabili come se si ? bevuto prima di parlare e dalla frequenza di suoni aspirati nel tipo di lingua parlata. La presenza del patogeno dipende dalla sua concentrazione nella saliva; ad esempio, il coronavirus Sars-CoV-2 agente patogeno della pandemia in corso, presenta concentrazioni nella saliva del virus durante la fase sintomatica (10<7 >-10<8 >/ml)<22>.
A tal proposito ? notizia recentissima l?anticipazione del New York Times relativamente ad una lettera firmata da 239 scienziati di varia nazionalit? e diretta all?OMS relativa al fatto che la trasmissione aerea del SARS-CoV-2 ? un fattore significativo nella pandemia tanto da invitare ad una revisione delle norme di contenimento, quali l?uso di mascherine capaci di filtrare anche le particelle di aerosol pi? piccole e le modalit? di aereazione degli spazi comuni chiusi da basarsi su minimo ricircolo, filtraggio dell?aria ed eliminazione mediante luci UV del virus. Le microsfere di saliva, pertanto, trasportano e proteggono in un ambiente acquoso i virioni mantenendoli in grado di infettare per ore, se in un ambiente chiuso, mentre in un contesto assolato, rappresentano un ?involontario? modello ideale di micro espositore, in cui il patogeno viene esposto alla radiazione solare in circostanze atte a garantire la massima efficienza quantica. Infatti, fin quando la particella rimane sospesa in aria, subisce continui spostamenti lineari e rotatori dettati dai movimenti dell?aria ed espone in tal modo da pi? lati il o i patogeno/i in essa contenuti, senza strati aggiuntivi che possano schermare la radiazione incidente. Di conseguenza, l?inattivazione dei virioni che si trovano in questo stato con radiazione UV artificiale attuata tramite LED a lunghezza d?onda specifica o LASER, dovrebbe comportare il duplice vantaggio di poter utilizzare dosaggi molto inferiori a quelli sperimentati per i campioni acquosi in recipiente e, al contempo, operare pi? selettivamente sul genoma, lasciando inalterate, e quindi attive, le proteine. Cercando riscontri in letteratura sull?argomento, uno dei primi lavori attinenti che si trova risale agli anni 1960<23 >ma il testo appare di difficile comprensione, specialmente nel comunicare quale dosaggio di radiazione luminosa sia stato necessario per raggiungere le inattivazioni riferite. In due studi pi? recenti, gli autori hanno provato ad inattivare quattro virus con DNA e RNA a doppio e singolo filamento con UV a 254 nm sia su superficie solida<24>, che in aerosol<25>. I quattro virus sotto studio (MS2 (ss(+) RNA, ?X 174 (ss DNA), ? 6 (dsRNA), T7 (dsDNA) in concentrazione da 10<7 >a 10<8 >/ml, spalmati su gelatina, o presenti nel nebulizzato con particelle del diametro compreso tra 0,5 e 3 ?m, sono stati sottoposti a radiazione UV 254 nm, alla temperatura di 25-28 ?C e con due diverse umidit? 55% e 85% (tabella 1).
Tabella 1.
Cond..: condizioni sperimentali, sup. (campione con virus sulla superficie solida della gelatina); aer: campione con virus nell?aerosol; ?% inatt. J/m<2>: dose totale di radiazione alla quale si ? ottenuta una inattivazione del?.%; U?.%: percentuale di umidit? nell?aria durante la prova
In un altro lavoro pubblicato<8 >si ? provato ad inattivare il batteriofago MS2, il Coronavirus MHV (murine hepatitis virus) quale surrogato del Sars-CoV e l?Adenovirus Respiratorio Umano (Sierotipo 2) contenuti in una soluzione nebulizzata per creare aerosol, in concentrazioni comprese tra 10<4>-10<5 >PFU/mL e sottoposti a due differenti dosaggi di radiazione a 254 nm, 26 e 5,99 Jm<-2 >con umidit? del 50%. La sensibilit? dei virus ? stata misurata mediante calcolo del valore Z pari al logaritmo naturale del rapporto tra numero di PFU, in assenza di esposizione, e numero di PFU dopo l?esposizione suddiviso per la dose ricevuta espressa in ?W s<-1>cm<-2>.
L?adenovirus ed il fago hanno mostrato resistenze quasi uguali (31%-32,9%di sopravvissuti dopo aver ricevuto la dose di 26 Jm<-2>) mentre il coronavirus ha mostrato 12% di sopravvivenza dopo la dose minore di 5,99 Jm<-2 >e, difatti, il suo valore Z ? risultato quasi 10 volte quello degli altri due virus (37,7 contro 3,8 e 3,9). Le prove eseguite a diverso intervallo di umidit? hanno mostrato, da parte di MS2 e dell?adenovirus in aerosol sospeso, un comportamento inaspettato, con maggiore sensibilit? alle radiazioni in presenza tasso di umidit? pi? alto, mentre, negli altri contesti l?umidit? pi? alta ha protetto i virioni.
Infine, anche in questo caso, la comparazione tra valori Z relativi ai virus in aerosol o in sospensione acquosa hanno rivelato che i valori relativi all?aerosol sono molto maggiori, nello specifico il rapporto tra Zaer e ZH2O sono stati pari a 6,9 -16,3 e 85,7 rispettivamente per MS2, adenovirus e coronavirus.
Infine, prove con UVC-LED proiettati su aerosol hanno rivelato una disattivazione 5-log di due batteriofagi a ss ?RNA e di 1 a ss-DNA con un dosaggio comune di 450 Jm<-2 26>.
Come era prevedibile, i dati dei suddetti studi mostrano una netta differenza nelle dosi necessarie per il medesimo grado di inattivazione nei due contesti; i virus presenti in aerosol richiedono dosi di radiazioni quattro-otto volte inferiori a quelli su superficie e fino a cinquanta volte inferiori alle dosi riferite ai virus in campioni acquosi.
Volendo rapportare queste risultanze ad un contesto naturale, per esempio, una giornata di maggio in Centro Italia con cielo sereno alle 11 del mattino, tenendo in conto che la radiazione UVB ? tra le 20 alle 100 volte meno efficace della UVC, che la radiazione UVB rappresenta 1,5% dell?irradianza solare totale a livello del mare<27>e che all?ora e latitudine indicata l?irradianza totale sia pari a 700 Wm<-2>, avremo circa 10,5 Wm<-2 >di radiazioni UVB pari a 630 Jmin<-1 >per m<2>. Tenendo in conto per sicurezza il massimo della potenziale differenza d?efficacia tra UVB e UVC, possiamo calcolare che ci vorrebbero da 1,5 a 3,5 minuti circa di esposizione in pieno sole, per inattivare il 99% dei quattro virus in oggetto contenuti nell? aerosol sospeso in aria.
Il tempo necessario stimato risente del fatto che, anche agendo sulla fase di massima vulnerabilit? dei virus, la luce solare ? limitata, nella sua efficacia, dalla scarsa percentuale di radiazioni UVB e dalla totale assenza di UVC lontani, e quindi sono necessari alcuni minuti per raggiungere la dose inattivante adatta al patogeno.
Parimenti, dato che gli eventi di foto-danneggiamento a carico di biomolecole avvengono nell?ordine di uno o pi? picosecondi<28>, il tempo di esposizione alla radiazione ? una variabile che pu? essere ampiamente modificata in modo intercambiabile con l?irradianza, senza alcun effetto sulla cinetica di inattivazione del patogeno. Questa importante caratteristica apre alla possibilit? di progettare spazi di inattivazione dove l?irraggiamento a cui ? sottoposto il target biologico sia tale da permettere tempi di ritenzione molto ridotti per neutralizzare i patogeni presenti nell?aria. Negli ultimi anni LASER e LED sono stati utilizzati per la creazione di sistemi di disinfezione di superficie di oggetti o di interi ambienti, tecnologia che ha visto un forte incremento durante i primi mesi dell?attuale pandemia, con nuovi dispositivi atti ad essere utilizzati in ambiente ospedaliero o su mezzi di trasporto quali aerei, bus, treni ecc. ma non sono stati sviluppati sistemi dedicati alla purificazione dell?aria via UV.
Un passo in questo senso ? rappresentato dall?idea, alla base della ricerca in corso da anni presso la Columbia University, di utilizzare su larga scala in scuole ospedali, aeroporti, ecc. la luce a lunghezza d?onda 222 nm, molto efficace contro virus e batteri a causa degli effetti sul legame peptidico e, teoricamente, innocua per le persone, in quanto non in grado di penetrare lo strato di cellule morte dell?epidermide umana e la superficie dell?occhio<29>.
Tale pratica prevede un uso intensivo di questa lunghezza d?onda su ampie superfici in presenza degli utenti, per cui molte persone sarebbero soggette alla radiazioni per ore ed ore, il che rende necessario una vasta sperimentazione a riguardo che ne certifichi l?innocuit?, anche per lunghe esposizioni su pelle, mucose, abrasioni cutanee, ecc. ma, oltre a questa necessit?, che rende tale rimedio non utilizzabile nell?immediato, rimane il fatto che trattare con la luce ampi spazi occupati da innumerevoli oggetti, quali sono i luoghi sopra accennati, richiede un grande dispendio di energia senza poter mai assicurare il risultato di una completa sanificazione a cui si oppongono la perdurante presenza di ampie zone oggetto di ombreggiamento dove le radiazioni, per quanto intense, non possono arrivare. Per quanto attiene al virus contenuto nell?aerosol, inoltre, assicurare un?irradianza tale da inattivare il virus nel lasso di tempo, anche di pochi secondi, tra l?esalazione da una persona e l?inalazione in un?altra, richiederebbe un consumo energetico insostenibile anche nel medio termine.
Un?alternativa che dai dati sperimentali e dagli ultimissimi progressi nella tecnologia degli UV-LED sembra percorribile, ? di trattare l?aria in uno spazio artificiale e circoscritto, progettato per assicurare la massima efficienza energetica e il raggiungimento da parte delle radiazioni di tutti i patogeni target eventualmente presenti nei volumi d?aria trattati. Questa ? l?idea che ha portato alla definizione presente invenzione.
Prima di entrare nel merito della seguente descrizione dell?invenzione ? di interesse puntualizzare che, ad oggi una delle principali modalit? di difesa dalle malattie infettive che si diffondono per via aerea ? rappresentata dai DPI, atti alla filtrazione dell?aria per impedire l?inalazione dell?agente patogeno e per tale motivo possono essere indicati con l?acronimo RPD (respiratory protective device). L?evitamento diventa fondamentale in caso di epidemia contro la quale non esistano vaccini o profilassi farmacologiche, atte ad escludere lo sviluppo di sintomi gravi o fatali in una determinata percentuale di infetti.
Per tale motivo, l?attuale fase di emergenza pandemica provocata dalla diffusione in tutto il mondo del virus SARS-CoV-2 ha catalizzato l?attenzione sugli RPD esistenti e la loro capacit? di protezione nei confronti del virus.
Gli RPD pi? comuni ed utilizzabili su larga scala sono le semimaschere, comunemente indicate come mascherine, realizzate in tessuto filtrante solitamente polipropilene e polietilene, e destinate ad un limitato numero di ore di utilizzo, la cui efficienza di filtrazione viene indicata a mezzo di sigle diverse per Europa e Stati Uniti. Le sigle FFP1-2-3 (European Standard 149:2001) indicano RPD in grado di trattenere rispettivamente l?80% il 94% e il 99% delle particelle con diametro superiore o uguale a 0,3 ?m, mentre N - P - R 95-99-100 (USA) presentano rispettivamente 95%, 99% e 99,97% capacit? filtrante delle particelle di medesimo calibro e la resistenza nulla (N), media (R) o forte (P) verso l?aerosol oleoso.
Studi che hanno messo a confronto le semimaschere chirurgiche con i modelli FFP presentano fattori di protezione (PF= Conc. est/Conc. int) di 11-15 volte inferiori, rispettivamente a FFP1 e FFP 2 e 3, per le particelle di diametro tra 0,04 e 1,3 ?m.<1A>
Altri lavori hanno dimostrato che le semimaschere chirurgiche non trattengono le particelle inferiori a 0,2 ?m<2A >e non sono efficienti nel trattenere all?interno l?aerosol emesso durante colpi di tosse, a causa, probabilmente, della pressione positiva che si viene ad instaurare tra volto ed interno del dispositivo<3A>.
Numerosi studi compiuti nell?intento di definire chiaramente i parametri di filtrazione hanno dimostrato, innanzitutto, la grande difficolt? nell?ottenere dati realistici dato che l?efficienza delle semimaschere in tessuto ? strettamente legata a quanta parte del bordo della semimaschera non aderisce ai contorni del volto. Il fenomeno ? tale da poter provocare una minor efficacia nelle maschere a maggior indice di protezione, poich? l?aumentata capacit? filtrante, richiedendo una maggiore pressione negativa per il fluire dell?aria, aumenta anche la presenza di fessurazioni tra pelle e bordi in tessuto ed il flusso d?aria in tali varchi provocando di conseguenza veri e propri crolli della capacit? filtrante<4A>.
Le semimaschere o maschere a pieno facciale, costruite in silicone o elastomeri, garantiscono, invece, una molto maggiore tenuta ed aderenza e possono essere abbinate a filtri FFP o a carboni attivi, arrivando a garantire una protezione al 99,9%; hanno, per?, lo svantaggio di richiedere frequenti sostituzioni dei filtri, con il conseguente onere finanziario di acquisto di filtri nuovi e smaltimento di quelli esausti, considerati rifiuto pericoloso. Inoltre, il peso dei filtri e la resistenza respiratoria, effetto collaterale dell?elevata capacit? di filtrazione, provocano disagio nell?indossarle, soprattutto, se il periodo di utilizzo dura ore.
In ultimo, risulta difficile, se non impossibile, per l?utente capire quando i filtri cominciano a perdere efficacia, causa la saturazione raggiunta, che si manifesta con un aumento della resistenza respiratoria la cui soglia di percezione varia da soggetto a soggetto.
Per una maggiore comprensione della presente invenzione, qui di seguito dettagliatamente descritta, ? altres? di interesse riportare che studi recenti rilevano che la finalit? di immunizzare, servendosi del patogeno inattivato con raggi UV, ? stata, ed ? tutt?ora, alla base di innumerevoli vaccini, non tutti riusciti. Alcuni casi di insuccesso, come quello relativo al mengovirus, sono dipesi dal fatto che durante l?inattivazione, effettuata con massicce dosi di radiazioni a 254 nm, contestualmente alla formazione di dimeri sull?RNA si rivelano foto prodotti inattivanti la proteina del capside che rendono incapace il virus inattivato di evocare la risposta immunitaria necessaria alla produzione degli anticorpi<5A>. Un?attenzione particolare, dato anche la pandemia in atto, meritano i tentativi di trovare vaccini contro il virus SARS-CoV del 2002 (simile a quello attuale oltre il 90%), che nei test su animali mostrano di essere tenuti sotto controllo, prevalentemente, dalla risposta innata, tanto che il virus viene allontanato dai polmoni dell?animale prima della formazione degli anticorpi e senza l?intervento di cellule NK o linfociti T e B.
In test eseguiti su topi e scimmie in grado di guarire dall?infezione virale senza aiuto esogeno, si ? potuto notare che la risposta infiammatoria, evocata dalla presenza del patogeno, sebbene consistente, non produce infiltrazione a lungo termine di linfociti e macrofagi nel tessuto polmonare n? danni gravi permanenti al medesimo. Come si ? potuto osservare in un recentissimo studio su macachi infettati con SARS-CoV<6A>, questo avviene per un perfetto coordinamento tra risposta infiammatoria e conseguente riparazione ed inibizione della stessa da parte di macrofagi specializzati, mentre negli esemplari a cui ? stato somministrato il vaccino, ? stata rilevata una risposta immunopatologica marcata ai danni del tessuto polmonare, del tutto simile a quella osservata nei pazienti umani in cui la malattia si ? rivelata fatale.
In particolare, si ? visto che le S- immunoglobuline G, che vengono prodotte tra gli umani che muoiono in anticipo in confronto a quelli che sopravvivono, se si trovano ad operare durante l?infiammazione, peggiorano lo stato infiammatorio, andando a riprogrammare, in senso pro-infiammatorio, i macrofagi destinati a riparare i danni prodotti ed inibire la risposta infiammatoria stessa. Pertanto, l?esito fatale della malattia sarebbe dovuto ad un prolungarsi di una risposta infiammatoria non sufficiente a neutralizzare il virus, fino alla formazione delle S-IgG alla comparsa delle quali, gli eventi precipiterebbero, portando rapidamente verso la sindrome respiratoria acuta (ARDS). Infatti, negli animali non trattati, la risposta infiammatoria ? gi? notevolmente regredita quando avviene la sieroconversione delle immunoglobuline che, pertanto, non possono incidere sulla fase acuta dell?infiammazione. I virus come SARS e MERS hanno un singolo RNA che viene riconosciuto all?interno della cellula dai recettori endosomiali ?toll-like? TLR 3 e 7 e dal sensore citosolico RIG I- MDA 5<7A >fatto per cui ? necessario che il virus entri nelle cellule target perch? i recettori suindicati vengano attivati. I virus SARS-CoV possiedono diverse strategie, principalmente dipendenti dalla proteina strutturale N<8A >e dalla proteina non strutturale ?papaine like? PLPro<9A >ed altre, per inibire, direttamente o indirettamente, i recettori TLR dalla cui attivazione dipendono innumerevoli cascate di segnale aventi relazione sia con la risposta innata che con quella adattativa. MERS-CoV che presenta un pi? alto tasso di mortalit?, utilizza le stesse strategie di SARS con in pi? una, sui generis, relativa alla soppressione della modificazione di istoni. L?inibizione dei TLR, dunque, non solo provoca una risposta innata meno efficace contro la replicazione virale, ma implica, anche, modificazioni sulla maturazione di anticorpi, circostanza riscontrata anche nel caso del virus respiratorio sinciziale (RSV) <10A>. Anche nei casi del SARS- CoV del 2002, l?esame dei campioni provenienti da pazienti sopravvissuti o deceduti ha mostrato una diversa tempistica e qualit? di immunoglobuline, dove i primi presentano anticorpi verso la glicoproteina virale S e la proteina N, i secondi solo contro S ed in anticipo in confronto al primo gruppo ma meno longevi<11A>.
Sembrerebbe, pertanto, che queste tipologie di virus l?immunit? acquista non escluda una reiterata risposta immunopatologica della medesima entit? di quella occorsa al primo contatto con il virus<12A>, o, addirittura, peggiore nel caso gli anticorpi formati non siano totalmente efficaci, come accade nel caso dei vaccini anti SARS.<13A-14A>.
Naturalmente, essendo l?esito definitivo frutto di un delicato equilibrio tra l?infiammazione necessaria a neutralizzare il virus e il meccanismo di inibizione e riparazione dei danni subiti durante la fase infiammatoria acuta, il danno immunopatologico sar? tanto pi? intenso quanto pi? la fase acuta dell?infiammazione richieder? tempo per neutralizzare il virus, vale a dire pi? le strategie di evitamento virali saranno riuscite a rendere poco efficace la risposta innata dell?ospite; se si aggiunge che, a causa delle inibizioni imposte dal patogeno, anche la formazione degli anticorpi viene negativamente influenzata, ? plausibile che questi ultimi vadano ad esacerbare l?infiammazione in atto, provocando una sindrome respiratoria acuta, come osservato nel succitato studio sui macachi.
Confermano questa ipotesi i risultati ottenuti su topi anziani che non riescono a sopravvivere al virus SARS-CoV, ma escono quasi indenni dall?infezione se viene somministrato, a partire da qualche gg prima di inoculare la dose infettante, un agonista dei TLR quale il poly IC RNase resistente, mostrando come questi recettori, una volta attivati, riescano a contrastare gli effetti inibitori della prostaglandina 2, presente nel tessuto polmonare degli animali anziani e le strategie virali di evitamento, generando una risposta innata interferone dipendente in grado di difendere l?animale dalla virulenza del patogeno e portarlo a guarigione senza gravi danni tissutali <15A-16A>. Dato il fondamentale ruolo che la risposta innata sembra detenere per questi coronavirus, appare difficile la formulazione di un vaccino che possa evitare del tutto la reazione infiammatoria nel tessuto polmonare ed elevato il rischio che la reazione immunopatologica creata dal vaccino possa essere analoga o, addirittura, peggiore di quella causata dalla malattia stessa. D?altra parte, l?utilizzo di poly IC o analoghi, come adiuvanti, pu? rappresentare un problema finanziario per un prodotto da usarsi su larga scala, dato il costo di produzione di questa tipologia di farmaco.
?, pertanto, importante che il vaccino riesca, di per s?, ad evocare la risposta TLR dipendente e per tale motivo l?utilizzo di virus inattivati con mezzi multipli o con beta propriolattone<17A >rischia di essere controproducente perch?, se i danni provocati non permettono al virus di raggiungere l?interno delle cellule target, non potr? avvenire l?attivazione di questi recettori da parte dell?RNA virale. In tal senso, con dosi adeguate di UVC a lunghezza d?onda 265 nm, i danni provocati ai virioni, prevalentemente a carico dell?RNA, dovrebbero lasciare integre le funzioni necessarie a raggiungere l?interno della cellula target. A questo punto, l?impossibilit? di traduzione del genoma virale non permette l?attuazione delle misure di evitamento dipendenti dalle proteine non strutturali, prima di tutte la PLPro, della reazione innata dell?ospite e l?RNA virale pu? fungere da attivatore dei recettori TLR endosomiali e di quelli citosolici.
La circostanza che i virus inattivati entrino via inalazione conferisce il vantaggio, che perseguono anche molti vaccini, da somministrarsi per via intranasale, vale a dire che il patogeno inattivato possa arrivare alle cellule alveolari esattamente come quello non inattivato.
?, pertanto, ipotizzabile che l?utilizzo di un dispositivo ad inattivazione via UVC come quello in oggetto al presente brevetto possa, se utilizzato in ambiente in cui il virus ? consistentemente presente nell?aria, provocare la formazione di anticorpi adeguati a rispondere ad un?eventuale infezione. Per tale motivo il dispositivo pu? anche essere utilizzato in sperimentazioni con aria a quantit? nota di carica virale ed anche con la contemporanea somministrazione di farmaci inibitori delle prostaglandine allo scopo di raggiungere l?immunit? in soggetti anziani a determinati patogeni virali, tra i quali attualmente il SARS-CoV-2.
Naturalmente, in caso questa ipotesi si confermasse reale, il dispositivo acquisirebbe una rilevanza notevole in caso di epidemie o pandemie provocate da virus di cui non sia immediatamente disponibile un vaccino. In tal caso, potrebbe rilevarsi un aiuto insostituibile per le persone pi? a rischio come il personale sanitario, o quelle pi? vulnerabili ai sintomi della malattia.
Descrizione dell?invenzione
L?invenzione oggetto del presente documento si basa su un principio fisico diverso dalla filtrazione e comporta alcuni vantaggi inediti e non raggiungibili con alcun sistema di filtraggio nella neutralizzazione specifica dei virus:
- la capacit? di neutralizzare il patogeno contenuto anche nelle particelle di aerosol dal diametro inferiore ai 0,3 ? che le mascherine chirurgiche e i filtri in tessuto non riescono a trattenere;
- un?efficienza tanto maggiore nell?inibire i virus quanto ? pi? piccola la particella di aerosol che lo contiene;
- la capacit? di neutralizzare il patogeno target che pu? arrivare a 99,99% relativamente ai coronavirus, tra i quali SARS-CoV e MERS, e ad altri virus a singolo filamento;
- la durata, senza bisogno di ricambi, per 10.000-50.000 ore che rappresenta l?intervallo di vita del LED;
- la maggiore portabilit? in confronto ai filtri a carbone attivo, grazie alla mancanza di resistenza respiratoria e al peso di circa 50 g. pari al 40% del peso dei filtri tradizionali a carbone attivo in uso sulle semimaschere. Questo permette di utilizzare anche semimaschere con elastici al posto delle allacciature con fibbie e stringhe;
- la possibilit? di conoscere immediatamente se il sistema non ? al pieno della sua capacit?, grazie alla spia luminosa e allarme;
- la possibilit? di venire a contatto con il patogeno inattivato ma ancora in grado di provocare reazioni da parte del sistema immunitario potenzialmente utili all?immunizzazione attiva.
Relativamente a quest?ultimo punto, ? necessario specificare quanto segue.
Una caratteristica che accomuna tutti gli RPD sinora presi in considerazione ? che l?attivit? di difesa si esplica con l?intercettazione dei patogeni e la loro immobilizzazione nella matrice filtrante. Pertanto, il patogeno viene trattenuto dal filtro o passa, e viene inalato nell?esatto stato in cui si trova nell?aria.
Il dispositivo oggetto del presente brevetto, invece, si basa sull?inattivazione mediante mezzo fisico del patogeno che, una volta reso inoffensivo dal passaggio nel CDI, pu? essere inalato.
Ergo, data l?elevata efficienza nell?inattivazione specifica dei coronavirus, l?utente viene in contatto quasi unicamente con il virus inattivato.
Le modalit? con cui questo avviene sono direttamente dipendenti dalla concentrazione del virus nell?aria per cui, le dosi di virus inattivato inalate saranno maggiori negli individui che pi? si trovano in contatto con gli infetti.
Fermo restando che, anche quanto segue, deve essere verificato sperimentalmente, come pu? avvenire in natura per effetto del sole, il patogeno viene inalato, dopo aver subito mutazioni irreversibili al proprio patrimonio genetico, che lo rendono incapace di riprodursi ma ancora in grado di penetrare nella cellula target, grazie al fatto che le proteine sono rimaste, almeno per la maggior parte, intatte.
Se tali fenomeni possano portare ad un vantaggio nella capacit? di rispondere alla malattia o a processi di immunizzazione attiva sono questioni conoscibili solo attraverso la sperimentazione e possono essere molto diverse da virus a virus, come sostenuto da esperti del settore, interpellati sull?argomento.
L?utilizzo delle nuove tecnologie di irraggiamento con UVC e dei nuovi materiali, per creare un dispositivo ad elevata efficienza quantica per l? inattivazione dei patogeni contenuti nell?aria, pu? rappresentare vantaggi e applicazioni inedite, risultando, al contempo, finanziariamente molto pi? sostenibile dei rimedi attualmente in essere, ma la sfida principale che impone ? l?efficienza quantica da raggiungere per garantire un ridotto consumo energetico che sia conciliabile anche con un?alimentazione indipendente dalla rete elettrica.
Questa ? un?esigenza del tutto sui generis del sistema in oggetto che non ? mai stata affrontata nei lavori sull?inattivazione dei virus, come ? naturale visto che l?incremento dell?efficienza quantica del sistema non ? esigenza prioritaria in caso l?inattivazione avvenga in un sistema di laboratorio collegato alla rete e senza particolari limiti del tempo di ritenzione del campione d?aria da purificare.
Come abbiamo evidenziato l?efficienza quantica di inattivazione si pu? dedurre dal rapporto tra superficie trasversale di inattivazione e di absorbimento, ?/s, espresse in fotoni per cm<2>. Su ? si pu? intervenire modificando le lunghezze d?onda della radiazione incidente scegliendo quelle a pi? elevata efficacia (220 nm) ma, due fattori pesano su questa scelta rendendola, alla fine, non percorribile: la mancanza di fonti di luce adeguate al sistema con sufficiente potenza in uscita, ed il fatto che tale lunghezza d?onda agisce primariamente sulle proteine mentre, per le ragioni che verranno dettagliate in seguito, ? preferibile una lunghezza d?onda assorbita principalmente dagli acidi nucleici. La scelta alternativa riguarda il picco secondario tra 259 e 265 che danneggia primariamente gli acidi nucleici, dato il loro picco massimo di assorbimento in tale intervallo, e presenta nelle curve di inattivazione di molti virus, un?efficienza maggiore di circa il 15% della lunghezza d?onda di 254 nm data dai vapori di mercurio. In tale intervallo di lunghezza d?onda, le ultimissime innovazioni permettono di poter scegliere chip LED dotati di potenza adeguata (50 mW). I LED presentano molti vantaggi rispetto alle lampade a vapori di mercurio: non hanno componenti pericolosi e ad alto impatto ambientale come il mercurio, se accesi, raggiungono immediatamente la piena emissione luminosa, hanno una durata tra le 10.000 e 50.000 ore di utilizzo.
La variabile su cui si ha maggior capacit? di intervento, a livello strutturale, ? invece s, dato che si basa sulla probabilit? di incontro tra patogeno e fotoni. Tale incontro, nel progetto, ? stato favorito concentrando contestualmente l?aria da purificare e la radiazione inattivante in un volume ristretto in cui il rapporto tra sup. illuminata e sup. di sezione del virus ? di 10<10 >contro il 10<15 >rilevato nelle prove riportate in letteratura <8-24-25-26>. Un volume ridotto aumenta la probabilit? che ogni sua porzione teorica delle dimensioni del patogeno sia occupata dal medesimo, mentre una maggiore densit? d?energia incrementa la probabilit? che durante la porzione temporale in cui detta frazione di superficie ? occupata dal patogeno un fotone la attraversi. Di conseguenza il valore di s andr? a diminuire in modo inversamente proporzionale al prodotto tra queste due probabilit?.
Uno dei tanti accessori in uso con i LED ? rappresentato dalle guide di luce, che consistono in tubi che ricevono e trasportano, mediante riflessione al loro interno, la luce da un LED di partenza, deviandone la direzione.
Il principio base delle guide di luce, che vengono utilizzate anche per portare all?interno delle abitazioni la luce solare, e non ? lontano da quello delle fibre ottiche, ? di limitare gli eventi di riflessione per trasportare il pi? lontano possibile dalla sorgente la luce, senza dissiparla.
Nel caso della presente innovazione, invece, la finalit? della guida di luce non ? di preservare l?energia mentre la si sposta nello spazio, bens? quello di provocare multipli fenomeni di riflessione in uno spazio limitato attraverso i quali ottenere la concentrazione delle radiazioni emesse dal LED aumentando le probabilit? di incontro tra il singolo fotone e il suo bersaglio.
Ci? viene ottenuto mediante l?utilizzo di un numero variabile di strutture denominate unit? di inattivazione (in seguito UDI).
Descrizione delle figure
L?invenzione verr? qui di seguito dettagliatamente descritta anche in riferimento alle figure annesse in cui:
FIGURA 1 mostra una vista prospettica dell?unit? di inattivazione 10 del dispositivo di inattivazione 1 di agenti patogeni secondo la presente invenzione. FIGURA 2 mostra una vista prospettica del dispositivo di inattivazione 1 di agenti patogeni e i particolari di alcune sue componenti strutturali: in particolare la figura 2 (a) mostra una vista schematica di una vista della sezione longitudinale del dispositivo 1; la figura 2(b) mostra una vista in pianta dell?anello metallico 510 con guide e bordino estroflesso; la figura 2(c) mostra il bordo dal profilo ad U con relativa guarnizione dell?anello apicale del secondo tubo interno 200 in cui si inserisce il bordo dell?anello contenete la piattaforma del LED; la figura 2(d) mostra una vista di una porzione interna del secondo tubo 200 dell?unit? di inattivazione 10. Pi? in dettaglio in quest?ultima figura la freccia A indica la parte libera tra gli anelli delimitata con anello in cytop, la freccia B indica la porzione di parete a spessore base con scanalatura, la freccia C la porzione dell?anello (anello 200? della precedente figura 1) con pareti di spessore base (0,5 mm), la freccia D indica la porzione della parete interessata dall?ispessimento progressivo dello spessore.
FIGURA 3 mostra una vista schematica del percorso dei raggi di luce all?interno dell?unit? di inattivazione. La freccia nera e spessa indica la direzione di propagazione della luce a mezzo delle riflessioni. Sono altres? indicati i seguenti angoli:
? = angolo di incidenza;
?- ? = angolo tra le due perpendicolari a parete e tangente della curva = ? angolo di inclinazione tra parallela a parete e tangente della curva;
? = ?= angolo di incidenza def. = angolo di riflessione definitivo
? = primo angolo di riflessione
? = ? angolo di inclinazione
? = ? che ? dato da ? angolo di emissione
? trovandosi nel triangolo rettangolo AOC sar? dato da 90? - angoli formato dagli angoli ? ?
? = ? = 90? -(? ?)
? = 90? - (2 ? ?)
? = 90? - ?
Sono altres? indicate le seguenti rette tratteggiate:
r: retta tangente al punto della curva dove impatta il raggio luminoso;
d: perpendicolare a r;
f: parallela alla parete;
e i seguenti segmenti:
AN = CO perpendicolari alla parete;
AO: raggio riflesso;
NO: distanza tra la proiezione del punto dove il raggio incide sulla parete inclinata e si riflette e il punto dove il raggio riflesso arriva alla parete opposta;
NO = AN*tangente ? = AN*tangente ?
FIGURA 4 ? simile alla precedente figura 3, anche in questo caso la freccia nera e spesa indica la direzione di propagazione della luce a mezzo delle riflessioni. In essa sono indicati i seguenti angoli:
?: angolo di incidenza;
?+ ?: angolo tra le due perpendicolari a parete e tangente della curva = ? angolo di inclinazione tra parallela a parete e tangente della curva;
? = ?: angolo di incidenza def. = angolo di riflessione definitivo;
? = primo angolo di riflessione
? = ? che ? dato da ? angolo di emissione
? trovandosi nel triangolo rettangolo AOC sar? dato da 90? - angolo formato dagli angoli ?+ ?+ ?;
?= ?=90?-(?+ ?)
?=-90?+(2 ?+ ?)
FIGURA 5 mostra una rappresentazione schematica del percorso dei raggi riflessi nel corridoio di inattivazione 400.
FIGURA 6 mostra lo schema relativo alla propagazione della luce UV nel corridoio di inattivazione 400.
FIGURA 7 mostra una vista prospettica del dispositivo di inattivazione 1 secondo la presente invenzione, nel caso in cui comprenda sei unit? di inattivazione 10 configurate spazialmente a guisa di esagono all?interno di un cilindro 600(figura 7 (a). La figura 7(b) mostra alcuni particolari delle componenti del detto cilindro 600. La figura 7(c) mostra lo schema del circuito LED.
FIGURA 8 mostra una vista prospettica delle compenti associabili al dispositivo di figura 7 quando quest?ultimo ? da associarsi ad un dispositivo di protezione 1000 come una maschera o semi maschera. Nella figura sono osservabili il dispositivo 1(fig. 8(a)); il caricabatteria (figura 8(b)); ed un marsupio (figura 8(c)). FIGURA 9 mostra una rappresentazione di alcune forme di realizzazione di un dispositivo di protezione 1000 come una mascherina integrato del dispositivo di inattivazione 1 di agenti patogeni secondo la presente invenzione.
Pi? in dettaglio le figura 9(a) e 9(b) mostrano la soluzione con dispositivo in modalit? filtro e batteria tenuta nel marsupio. Le figure 9c) e 9(d) mostrano la soluzione con dispositivo e batteria contenuti in zaino rigido.
Descrizione dettagliata dell?invenzione
Secondo la presente descrizione dettagliata dell?invenzione verr? qui di seguito descritto un dispositivo di protezione da agenti patogeni, segnatamente da virus contenuti in aerosol come, a titolo esemplificativo e non limitativo, i virus influenzali, i coronavirus e specificatamente il Sars CoV-2.
Pi? in dettaglio il detto dispositivo di protezione comprende una mascherina integrata di un peculiare chip LED il cui arrangiamento strutturale ? stato appositamente pensato e progettato per promuovere la disattivazione dell?agente patogeno eventualmente inspirando, intendendo per disattivazione l?inibizione della sua capacit? di essere introdotto nell?ospite nella forma atta a poter scatenare l?insorgere della patologia.
Ancor pi? dettagliatamente oggetto della presente descrizione ? in primis un peculiare dispositivo con chip LED, qui di seguito indicato come dispositivo di inattivazione di agenti patogeni, nonch? un sistema di protezione, come una mascherina che, peculiarmente, comprende il detto dispositivo di inattivazione. Quest?ultimo si caratterizza in primis per il fatto di comprendere delle peculiari unit? di inattivazione (acr. UDI) che, opportunamente configurate spazialmente garantiscono il raggiungimento di un?elevata efficienza quantica (rapporto tra superficie trasversale di inattivazione e di absorbimento, ?/s, espresse in fotoni per cm<2>) per i patogeni contenuti nell?aria. Il tutto garantendo un relativamente basso consumo energetico e indipendente dalla rete elettrica. Su ? si ? intervenuto scegliendo opportunamente la fonte di radiazione e la sua lunghezza d?onda, su s si ? intervenuto concentrando contestualmente l?aria da purificare e la radiazione inattivante in un volume ristretto in cui il rapporto tra superficie illuminata e superficie di sezione del virus ? di 10<10 >contro il 10<15 >rilevato nelle prove riportate in letteratura <8-24-25-26>.
Come pi? volte accennato, un volume ridotto aumenta la probabilit? che ogni sua porzione teorica delle dimensioni del patogeno sia occupata dal medesimo, mentre una maggiore densit? d?energia incrementa la probabilit? che durante la porzione temporale in cui detta frazione di superficie ? occupata dal patogeno un fotone la attraversi. Di conseguenza il valore di s andr? a diminuire in modo inversamente proporzionale al prodotto tra queste due probabilit?.
La fonte di radiazione associata al dispositivo di inattivazione in oggetto ? un emettitore LED associato con linee guida che, peculiarmente e nel caso della presente invenzione hanno la finalit? non di preservare l?energia mentre la si sposta nello spazio, bens? di provocare multipli fenomeni di riflessione in uno spazio limitato attraverso i quali ottenere la concentrazione delle radiazioni emesse dal LED, aumentando le probabilit? di incontro tra il singolo fotone e il suo bersaglio. Ci? viene ottenuto mediante l?utilizzo di un numero variabile di strutture denominate unit? di inattivazione (in seguito UDI).
Secondo la presente invenzione le UDI possono essere utilizzate in gruppi in cui sono disposte in parallelo in modo simmetrico nei confronti della forza aspirante per non creare percorsi preferenziali dell?aria, e in numero dipendente dal volume d?aria e tempo di ritenzione previsti dal sistema. Tali gruppi, a loro volta, possono essere disposti in serie per aumentare il dosaggio di radiazione UV. Ogni UDI comprende almeno due tubi, tipicamente ma non limitatamente di alluminio, un primo tubo 100 esterno con diametro maggiore (qui di seguito indicato anche come TE) e spessore tipicamente, ma non limitatamente compreso tra 0,1 mm e 0,8 mm preferibilmente di 0,3 mm ed un secondo tubo 200 interno, o guida luce, concentrico al primo e di lunghezza e diametro minore (qui di seguito indicato anche come TI), dello spessore compreso tra 0,1 mm e 1 mm e preferibilmente di 0,5 mm che si trova all?interno del primo a cui ? assicurato da almeno una, preferibilmente da quattro barre sottili (0,5*0,5 mm) saldate all?inizio e alla fine del detto secondo tubo 200, TI, stesso (Figura 1 scala 2:1). La superficie delle pareti interne del detto primo tubo 100 (TE) e interne ed esterne del detto secondo tubo 200 (TI) sono trattate a specchio per avere la massima riflettanza e contro l?ossidazione con alluminio floruro<30 >o qualsiasi altro materiale che utilizzano le ditte produttrici, per evitare venga diminuita la capacit? riflettente e proteggere il metallo.
La condizione basilare delle pareti interne ai due tubi ? che presentino un valore di riflettanza pari al rapporto tra flusso incidente e flusso riflesso (? =?r/?0) uguale o superiore a 0,9 e che la protezione applicata sia durevole.
In commercio si trovano tipologie di alluminio trattato a specchio che assicurano una riflettanza fino a 0,95 per la lunghezza d?onda attorno a 260-265.
Il detto primo tubo 100 TE ?, in una delle forme di realizzazione preferite della presente invenzione, a titolo esemplificativo e non limitativo lungo 4,7 cm e presenta un diametro esterno di 2,11 cm e quello di interno di 2,05 cm. Possono essere scelte anche altre misure. Il secondo tubo 200, TI, ? ancorato al TE da preferibilmente da quattro giunzioni sottili, ovvero una prima giunzione 10a, una seconda giunzione 10b, una terza giunzione 10c e una quarta giunzione 10d, poste all?inizio e alla fine. Il detto secondo tubo 200 ?, a titolo esemplificativo e non limitativo e in una delle forme di realizzazione preferite dell?invenzione, lungo 3,7 cm e ha un diametro interno di 0,95 cm. Il detto secondo tubo 200 (TI) o guida luce ? composto da pi? anelli 200? tenuti in posizione e uniti tra loro da due sottili barre, ovvero una prima barra 210 e una seconda barra 220, saldate alle pareti esterne e perpendicolari al piano di detti anelli 200. L?anello apicale 200?a ? quello con minore lunghezza e presenta un bordo a U con guarnizione dove si inserisce il bordo del l?anello metallico 510 che contiene la piattaforma dove ? alloggiato il LED (Figura 2). Le distanze tra gli anelli 200?, tipicamente ma non limitatamente comprese tra 1 e 2,5 mm, costituiscono i varchi da cui la luce esce dal secondo tubo 200 TI verso lo spazio compreso tra pareti esterne di secondo tubo 200 TI e pareti interne del primo tubo 100 TE, denominato corridoio di inattivazione 400 (CDI) e possono essere sigillate tramite anelli di 100-200 ?m di spessore di un materiale ad elevata trasmittanza per le radiazioni UV a 260-270 nm quale il perfluoro polimero amorfo denominato commercialmente CYTOP? o altro fluoro polimero con analoghe caratteristiche. Gli anelli di polimero sono leggermente pi? lunghi dei rispettivi varchi completi 300 e incompleti 300? che vanno a sigillare, dato che i bordi vengono, al momento della fabbricazione, inseriti nelle scanalature ad hoc presenti nello spessore delle pareti degli anelli metallici 200? che costituiscono il secondo tubo 200 TI. In tal modo, si assicura una sigillatura durevole nel tempo.
All?inizio del secondo tubo 200 TI, ovvero in corrispondenza del detto anello metallico apicale 200?a ? ubicato il chip LED 500, posizionato perfettamente al centro di una base circolare comprendente la scheda del circuito e il materiale di connessione al dissipatore 520 di calore, tipicamente ma non limitatamente, per totali 2 mm di spessore. Il tutto ? contenuto in un anello, tipicamente ma non limitatamente di alluminio 510 alto ad esempio 4 mm e che prosegue ai lati con due guide di larghezza pari, ad esempio, a 2 mm e anche di 2 mm di profondit?, che passando per le due tacche 110 presenti nel bordo del TE proseguono fino al disco centrale che ancora l?intero circuito LED alla struttura di contenimento delle UDI 10 utilizzate. Tali strutture hanno la funzione di raccogliere i fili di connessione del LED alla batteria e agli altri LED e di supportare la struttura dell?intero circuito. L?anello metallico 510, come sopra indicato prosegue oltre al materiale della base del chip per inserirsi, come bordo libero, nella scanalatura del primo anello 200?a del secondo tubo 200 TI e sigillare il medesimo.
Il detto secondo tubo 200 TI ? concepito per sfruttare le leggi della riflessione che prevedono che un raggio che si riflette su una superficie riflettente a specchio, formi, con la normale di detta superficie, un angolo giacente sullo stesso piano e corrispondente all?angolo di incidenza; per tale motivo gli ispessimenti 230 presenti sulla parete interna degli anelli che lo costituiscono servono ad intercettare i raggi luminosi emessi dal LED prima che arrivino alla parete stessa.
La parete del secondo tubo 200 TI, infatti, ? perpendicolare al piano dove il LED ? posizionato e, pertanto, l?angolo di incidenza, se raggiungessero tale parete, sarebbe dato dall?angolo retto meno 1/2 dell?angolo di emissione. In tal caso ogni raggio verrebbe riflesso con angolo di incidenza differente e relativa distanza tra i due picchi di riflessione, data dalla tangente dell?angolo di riflessione per la distanza tra le due pareti, sarebbe tanto maggiore quanto pi? piccolo l?angolo di emissione.
La presenza degli ispessimenti 230 serve, appunto, a modificare la superficie di riflessione, imprimendo un?inclinazione, in confronto alla parete del tubo.
In tal modo gli angoli di incidenza e di riflessione risultanti saranno diversi da quelli in caso di riflessione sulla parete, e dipenderanno dall?angolo di inclinazione tra la superficie riflettente originaria e quella modificata (Figura 3):
Angolo di riflessione = 90?- (1/2 angolo emissione angolo inclinazione).
I nuovi angoli di incidenza e riflessione relativi alla normale alla superficie inclinata decidono l?inclinazione e la direzionalit? del raggio riflesso e l?angolo di incidenza con cui raggiunger? la parete del TI diametralmente opposta al punto di riflessione. Il prodotto tra la distanza tra il punto di riflessione e la parete opposta, vale a dire il diametro interno del TI all?altezza del punto di riflessione, e la tangente dell?angolo di incidenza definitivo, che ? dato dall?equazione:
(aid)= 90?- (2*angolo di inclinazione 1/2 angolo emissione), fornisce la distanza tra la proiezione del punto di riflessione sulla parete opposta e il punto dove il raggio riflesso la raggiunge (in Figura 3 segmento NO). I raggi emessi con angolo di apertura inferiore a 20?, che raggiungono per ultimi le pareti interne, vengono riflessi con anelli presentanti l?ispessimento solo in met? della propria circonferenza e con inclinazioni decise dalla formula:
(aid)= -90?+ (2* angolo di inclinazione+1/2 angolo emissione), con lo scopo di modificare anche la direzionalit? dei raggi riflessi, facendo s? che percorrano il CDI nel verso dalla parte terminale a quella iniziale (Tavola 4).
Operando in questo modo su gruppi di raggi con angolo di emissione compreso in uno stretto intervallo, si ottiene una concentrazione di raggi riflessi con angoli di riflessione che diminuiscono gradualmente a partire dai raggi intercettati per primi, e quindi in punti pi? lontani dal varco tra gli anelli, con conseguente concentrazione dei punti di arrivo dei raggi riflessi sulla parete del TI opposta, nella porzione libera costituita dal varco e conseguente passaggio degli stessi nel corridoio di inattivazione 400 (CDI). (Figure 5 - 6)
A titolo esemplificativo e non limitativo, il secondo tubo 200, TI, termina 7 mm prima del primo tubo 100 TE con un disco riflettente, detto secondo disco 250 avente superficie interna ed esterna riflettenti (qui indicato anche come DT). Il secondo disco 250, DT, si pu? trovare ad esempio a 4 mm da un altro primo disco riflettente 240 (qui indicato anche come DF) che pu? presentare il diametro di 5 mm maggiore di quello interno del detto secondo tubo 200 interno TI ed ? ancorato alla parete del primo tubo 100 da due sottili barre di giunzioni.
Il primo disco riflettente 240 e secondo disco riflettente 250, DT pi? DF costituiscono il sistema di inversione (in seguito SDI). DF ha la parete rivolta verso il TI riflettente e quella opposta opaca e ha il duplice compito di schermare i raggi luminosi per impedire che escano dal dispositivo e di rifletterli in modo che possano ripercorrere il CDI nella direzione opposta. Il detto primo disco 240 DF, infatti, intercetta i raggi nella porzione terminale del CDI 400, che, dopo essersi riflessi sulla parete del TE, non trovando pi? la parete esterna del TI proseguono nello spazio tra DT e DF finch? non giungono sulla porzione riflettente di DF. A questo punto, in circa il 90% dei casi, avviene una riflessione con angolo pari a 90?- l?angolo di riflessione avuto durante la propagazione nel CDI ed il raggio riflesso arriva alla parete del TE diametralmente opposta a quella di partenza, direttamente o dopo essersi riflesso su il secondo disco 250 DT.
Il fatto che DF e DT siano perpendicolari alle superfici riflettenti fa s? che l?angolo di incidenza, con il quale il raggio riflesso giunge alla parete opposta del TE, sia uguale a quello con cui il raggio ha lasciato la parete, ma negativo, ad indicare che la direzionalit? delle riflessioni ? inversa a quella precedente. In sostanza, il raggio di luce prosegue la serie di riflessioni nella parte diametralmente opposta del CDI e nella direzione inversa (Figura 6).
Dopo DF, il TE prosegue, ad esempio per 4 mm, e termina con due introflessioni di 2,5 mm di lunghezza che hanno la funzione di schermare eventuali raggi di luce non schermati da DF.
Dalla parte apicale, il TE inizia con un bordo interrotto dalle due tacche 110, che a titolo esemplificativo sono di 2,1 mm di larghezza dove passano le guide che escono dai lati del cilindro attorno alla base del LED (Figure 1-2).
Il dissipatore di calore 520, connesso al LED dagli strati presenti nella piattaforma sottostante, comprende una porzione centrale piena di alluminio anodizzato, ad esempio del diametro di 0,7 cm, uguale a quello della piattaforma ed alto 8 mm, collegato per quasi l?intera altezza ad una griglia di alluminio 530 formata da pareti alte 6 mm e di spessore 0,3 delimitanti fori quadrati di 1mm*1mm. La griglia 530 si estende fino a raggiungere il diametro esterno del TE e, in caso le UDI 10 si trovino disposte in parallelo, anche negli spazi tra le unit? stesse. In tal modo la griglia interessa anche la porzione di spazio dedicata al passaggio dell?aria dall?esterno verso il CDI 400, suddividendolo in tanti mini-tunnel lunghi ad esempio 6 mm.
Data la consistenza del flusso d?aria in detto spazio, il passaggio a stretto contatto con le pareti metalliche calde del dissipatore-griglia favorisce il trasferimento del calore dalla griglia all?aria, a vantaggio del sistema, e, nel contempo, un?accelerazione nell?evaporazione dell?acqua dall?eventuale aerosol presente con risultante diminuzione del diametro delle microsfere contenenti il patogeno e maggiore vulnerabilit? alle radiazione del CDI.
Anche il calore prodotto dal LED viene, in tal modo, sfruttato come pretrattamento di indebolimento del target biologico. Il chip LED 500, con relativo circuito, e strutture di ancoraggio e dissipazione ? stato concepito come un unico componente del sistema facilmente separabile dal resto della struttura per permettere lo svolgimento indipendente delle attivit? di pulizia e manutenzione ordinaria e straordinaria della parte esposta all?aria.
Il LED utilizzato presenta emissione compresa tra 250 e 280 di cui l?85% circa nell?intervallo 260-270 con picco a 265 nm, angolo di apertura di 140? e potenza in uscita max pari a 50 mW ma, per assicurare una buona resistenza alle temperature ed una lunga durata, ? preferibile che lavori all?80% del massimo.
Tipicamente, ma non limitatamente, il volume libero sottoposto ad irraggiamento ? pari a 8,84 cm<3 >e la superficie di sezione trasversale ? di 2,39 cm<2>. Le modalit? con cui la luce viene veicolata, sopra evidenziate, permettono di ottenere dieci eventi di riflessione in un intervallo compreso tra un max di 5,6 cm e un minimo di 8 mm. L?efficienza del sistema dipende dall?indice di riflettanza della superficie di alluminio che pu? trovarsi nel range tra 90 e 95%. Prendendo prudenzialmente il valore pi? basso in riferimento, avremo che 10 eventi portano alla perdita di circa il 65%, 20 dell?88%, 40 del 98,5%.
L?irraggiamento lungo il percorso non ? uniforme, in quanto ci sono punti di concentrazione corrispondenti alle fenditure della guida da cui le porzioni di luce, passate alla sezione esterna, proseguono il loro percorso con angoli di incidenza differenti, che corrispondono a differenti distanze tra i picchi di riflessione. Il fatto che per l?inattivazione degli agenti biologici il dato determinante sia la dose di radiazione a determinata lunghezza d?onda a cui vengono sottoposti nel tempo di ritenzione dello strumento, possiamo tenere in considerazione, comunque, un valore di irradianza medio e costante per tutta la lunghezza del CDI.
Tale valore ? ricavabile dalla sommatoria delle irradianze medie, dovute alla propagazione a mezzo di riflessione, ed in direzione diretta ed invertita, lungo il CDI 400 di ogni porzione del flusso radiante emesso dal LED, cos? come intercettata e deviata nel CDI dalla guida luce, tenendo conto che Il percorso di ogni raggio riflesso sar? caratterizzato da intensit? decrescenti ad ogni picco come sopra indicato. Ne risulta che l?irradianza media per l?intera lunghezza della UDI in oggetto ? pari 138 W m<-2>.
Questo dato permette di calcolare le dosi a cui i patogeni verrebbero sottoposti a seconda del tempo di ritenzione dell?aria nel CDI. (Tabella 2).
Dal confronto delle dosi di radiazione luminosa in tabelle 2 e 1, si pu? notare che un tempo di ritenzione pari a 0,1 secondo assicura gi? la somministrazione di una dose sufficiente ad inattivare al 99% i virus a singolo filamento di DNA e RNA contenuti in 88 ml di aria, e a 0,15 secondi di ritenzione la dose ? sufficiente ad inattivare al 99% tutti i virus testati nei lavori presi in considerazione in un volume di 59 ml d?aria, ed ? pari a pi? del doppio delle dosi necessarie all?inattivazione del 99% dei virus a singolo filamento di DNA o RNA in pari volume.
In realt? l?effetto di queste dosi potrebbe essere pi? marcato di quanto riportato nei lavori esaminati, dato che la lunghezza d?onda tra 259-265 nm si ? dimostrata pi? efficiente del 15% circa di quella a 254 nm utilizzata negli studi sopra indicati, nelle prove di inattivazione di molti virus.
In ultima analisi, la concentrazione di luce ed aria in uno spazio limitato ha permesso di ottenere un valore d?irradianza media per tutta la lunghezza del CDI che avrebbe reso necessario l?utilizzo di tre chip di uguale potenza, in un dispositivo con struttura tradizionale.
L?elevata efficienza quantica dell?unit? base del sistema, che potrebbe risultare ancora maggiore data la lunghezza d?onda pi? efficiente in uso, con ripercussioni positive anche su ?, ? la premessa per concepire strumenti di trattamento dell?aria pi? performanti e pu? essere indispensabile nel caso si debba ridurre il fabbisogno di energia per strumenti ad alimentazione autonoma.
Tabella 2: dosi di radiazione UV in dipendenza dal tempo di ritenzione nel CDI espresse come fluenza e numero di fotoni per superficie trasversale media di un virus tipo Sars-CoV.
La struttura del dispositivo 1 qui descritta, presenta misure e caratteristiche strutturali generate dal compromesso tra efficienza nella concentrazione del flusso radiante e perviet? al passaggio dell?aria finalizzate al massimo sfruttamento dello spazio e pu? essere modificata, a seconda della tipologia di emissione del LED utilizzato e delle specifiche necessit? del sistema, fermo restando lo schema base di una guida luce interna inserita in un cilindro dal diametro interno di poco superiore al diametro esterno della guida di luce stessa.
Pi? specificatamente, la guida luce ha sempre lo scopo prioritario di suddividere lo spazio all?interno del TE delimitando il CDI in modo da aumentare il numero degli eventi di riflessione e la concentrazione della luce e diminuire il rapporto tra superficie trasversale del virus e superficie irradiata. La guida luce pu?, inoltre, presentare l?ulteriore funzione di intercettare e deviare la traiettoria di una percentuale variabile dei raggi di luce emessi per aumentare la concentrazione della radiazione in una porzione del CDI, pu?, inoltre, modificare l?angolo di riflessione definitivo dei raggi intercettati per aumentare la frequenza delle riflessioni nel CDI. La guida luce, infine, pu? presentare la funzione di dividere ed isolare la fonte di luce dall?aria trattata mediante i sopradescritti mezzi (anello con guarnizione ed anelli sigillanti in fluoro polimero e la sua porzione terminale pu? far parte del SDI. Per tali motivi la guida luce prevede sempre un tubo con superficie esterna riflettente che pu? essere pieno con parte apicale di forma conica per deviare verso il CDI i raggi emessi centralmente, ovvero cavo con superficie interna riflettente e pervio, o chiuso nella sua porzione terminale con disco riflettente da ambo i lati, intero o suddiviso in pi? anelli distanziati e sigillati con fluoro polimero o non sigillati, dotati di pareti inclinate per intercettare i raggi luminosi e modificarne la traiettoria e l?angolo di incidenza nel CDI.
? di interesse sottolineare che chip LED, per la minima superficie occupata, si prestano pi? di altre fonti luminose alla creazione di dispositivi con dimensioni ridotte e ad alimentazione autonoma. Questo tipo di utilizzo trova i suoi limiti nella quantit? di potenza richiesta dall?uso a cui un tale dispositivo sia destinato, in quanto l?alimentazione autonoma richiede la presenza di una batteria ricaricabile, il cui peso e dimensioni determinano la portabilit? del dispositivo e le sue potenzialit? di utilizzo.
Per questo motivo uno degli utilizzi d?elezione delle unit? di inattivazione 10, UDI, sopra descritte ? come componente principale di dispositivi di protezione individuale (DPI) quali le semi maschere e maschere che hanno la finalit? di proteggere dai patogeni respiratori. La specificazione del patogeno target ? molto importante, in questo caso, e segue una logica differente di quella tradizionale; mentre, infatti, i dispositivi che si basano sulla filtrazione, funzionano meglio con i batteri e con quanto, per dimensioni, ? pi? facile da trattenere nella materia filtrante, nel caso in oggetto l?elemento discriminante ? la vulnerabilit? alla luce UV e per questo motivo i virus sono il target pi? facile in quanto inattivabili con energia inferiore di 1-2 ordini di grandezza in confronto a funghi e batteri.
Tra questi, i coronavirus verso i quali, data la pandemia in atto, in questo momento storico c?? maggiore attenzione, presentano le caratteristiche ottimali per l?inattivazione con UV dato che sono a singolo filamento e dotati di un genoma molto pi? grande delle altre famiglie virali.
Fermo restando che solo la sperimentazione in laboratorio sul prototipo definisce con precisione le capacit? inattivanti, ? possibile desumere, dai dati di letteratura, che dosi comprese nel range 3-5 Jm<-2 >di radiazioni UV a 254 sono sufficienti per inattivare il 90% dei virus a singolo filamento anche con RNA di taglia inferiore di 10 volte quella dei coronavirus (tab.1). Dosi attorno ai 8-10 Jm<-2 >provocano inattivazione del 99% dei virus a singolo filamento e dosi tra i 15 e 20 Jm<-2 >inattivano al 99% tutti i virus testati. Inoltre, gi? Rauth aveva specificato che, nelle prove di inattivazione 4-5 log, le dosi di radiazioni risultavano pi? elevate causa il probabile assorbimento sulle pareti non irradiate, di una piccola percentuale di virioni che, pertanto, rimanevano vitali, ma, nel nostro caso, la struttura dell?UDI non presenta pareti libere da radiazioni e, comunque, finch? il virione rimane sulle pareti non viene inalato. C??, infine, da tenere in conto che, come gi? su esposto, i dati di letteratura riguardano l?inattivazione a 254 nm che nel caso di molti virus tra cui quelli a RNA singolo ? una lunghezza d?onda tra il 10 e il 20% meno efficiente di quella tra 260-265.
La dinamica media del ciclo respiratorio nell?uomo adulto ? di 12-20 atti per minuto con durata inspiratoria ed espiratoria pari a 1-2 e 2-3 secondi, rispettivamente, e volume d?aria inspirata in una respirazione tranquilla (eupnoica) compreso nel range tra 200 e 500 ml per atto<31 >per un totale di 6 L per minuto. L?inalazione dell?aria, pertanto, procede a 100-250 ml s<-1 >e se il flusso passa attraverso le UDI, la ritenzione in ciascuna delle unit? dipender? dal numero totale delle stesse.
Premettendo che le prove fatte hanno evidenziato assenza di resistenza respiratoria gi? con due UDI per trattare l?intero volume inspirato, nella tabella seguente (tabella 3) sono riportate le dosi di radiazioni UV a seconda del numero di UDI disposte in parallelo. Come si pu? rilevare dal confronto con la tabella 1, due UDI sono sufficienti a garantire la dose inattivante il 99% dei virus a singolo filamento, sei UDI somministrano la dose che inattiva al 90% tutti i tipi di virus testati ed ? pari a pi? del doppio della dose inattivante il 99% di virus a singolo RNA positivo. ? quindi presumibile che una dose di 30 Jm<-2 >di radiazione utilizzata in un sistema privo di zone d?ombra, possa assicurare un?inattivazione tra il 99,9%-99,99% dei coronavirus e almeno del 99,9% delle altre famiglie virali.
La quantit? compresa tra 1 e 6 unit? di inattivazione 10, UDI, ? compatibile con un unico dispositivo di inattivazione di agenti patogeni 1 da applicare a maschere e/o semimaschere 1000 attrezzate per un mono filtro e dotate di, tipicamente ma non limitatamente, due valvole: una comunicante con l?esterno per fare uscire l?aria e l?altra, nella porzione che accoglie il dispositivo, per fare entrare l?aria proveniente dal dispositivo stesso. Il dispositivo pu? funzionare anche nella direzione opposta del flusso d?aria e pertanto essere applicato a maschera o semimaschera con valvola per l?entrata dell?aria comunicante con l?esterno e valvola per l?uscita dell?aria nella porzione cha accoglie il dispositivo. In tal caso l?inattivazione avverr? su virioni contenuti nell?aria esalata. Le sei UDI 10 vengono disposte in simmetria esagonale, per evitare flussi preferenziali, all?interno di un cilindro metallico 600 dotato di bordi filettati e di uno spazio interno, suddiviso da due dischi metallici, ovvero un primo disco metallico 600? e un secondo disco metallico 600?? (Figura 7(a)), in posizione apicale e terminale rispettivamente, atti ad accogliere le sei unit? che, una volta inserite negli appositi spazi, vengono saldate ai dischi.
Tabella 3: tempo di ritenzione e dosi di radiazione dipendenti dal numero di UDI utilizzate su 250 ml di aria inspirata in un secondo.
Questo permette di creare uno spazio totalmente isolato dalle porzioni apicale e terminale del dispositivo, di lunghezza poco inferiore a quella delle UDI, e dotato di sportellino di ispezione 610, destinato a contenere i fili dell?impianto a LED. Nella parte apicale le estremit? delle UDI rimangono esposte, dato che il disco 600? ? posizionato circa 0,5 cm pi? in basso, per essere collegate all?impianto LED. L?impianto di chip LED 500 ? composto da sei unit? circolari, come gi? descritte per la singola UDI, collegate da guide che vengono sistemate nelle tacche presenti sui bordi dei primi tubi esterni 100 TE e proseguono al di fuori, dove sono rinforzate per formare una struttura unica esagonale che converge verso il centro in un cilindro cavo 600 atto ad accogliere e convogliare nello spazio i fili elettrici dell?impianto. Il cilindro 600 viene inserito nella piastra centrale 620 di cui ? dotato il primo disco 600?, che presenta un foro centrale per il passaggio dei fili e tre cavit? filettate per le viti di ancoraggio dell?impianto. Tale ancoraggio, assieme alla presenza del bordo ad U delle guide luce e alle tacche dei bordi dei tubi esterni 100 TE, assicura che la posizione dell?impianto rimanga perfettamente stabile e i LED siano centrati in confronto alle guide luce. L?impianto, nel contempo, pu? essere facilmente separato dal resto del dispositivo, garantendo la possibilit? di effettuare liberamente la manutenzione ordinaria e straordinaria delle parti esposte all?aria. L?impianto, inoltre, ? dotato di spia luminosa e allarme che segnala, all?accensione e per tutto il tempo di utilizzo, se i LED sono tutti in funzione. La parte apicale ? chiusa, mediante un coperchio avvitabile 700 dotato di filtro sostituibile o lavabile in metallo a maglia con fori di superficie libera compresa tra 100?m<2>, e 1 mm<2>, che ha la funzione di filtro di protezione per i componenti del sistema stesso. Nella parte terminale, un coperchio avvitabile e dotato di aggancio del tipo universale 800 utilizzato per i filtri a carboni attivi, permette di applicare il dispositivo alle maschere e semi maschere, analogamente ai filtri esistenti in commercio. In una delle sue forme di realizzazione preferite, il dispositivo di protezione 1000 ? tale che il dispositivo di inattivazione 1 in esso compreso abbia 7 cm di altezza per 7 cm di diametro per un peso di circa 50 grammi (40% del peso di un filtro a carboni attivi tradizionale). Il filo elettrico in uscita dalla parte prossimale al corpo della maschera da un foro 630 ? fornito di due morsetti che permettono di agganciarlo alla stringa che assicura la maschera al volto o, direttamente, all?allacciatura della maschera posta sulla nuca. In tal modo, il filo ? spostato sulla schiena e raggiunge la batteria, senza arrecare alcun impedimento all?utente. Inoltre, il filo pu? essere tenuto strettamente aderente al materiale della semi maschera mediante l?applicazione di passanti sulla sua superficie (Figura 9 (a)).
A titolo esemplificativo e non limitativo, il dispositivo di protezione ? dotato di batteria ricaricabile del tipo Li-ion 18650 che assicura otto ore di indipendenza dal peso di circa 370 grammi e dimensioni 18*6cm (Tavola 8). La batteria pu? essere tenuta in una custodia agganciata alla cintura o in apposito marsupio posteriore o ancora in un mini zaino sulle spalle, a scelta dell?utente.
Alternative al modello presentato prevedono dispositivi con minor numero di UDI, in caso di dose di UV necessaria minore dell?ipotizzato o pi? dispositivi posti in serie posizionati sulla schiena in uno zaino rigido assieme alle batterie e collegati alla maschera o semi maschera da tubo flessibile (Figura 9(d)).

Claims (13)

Rivendicazioni
1. Dispositivo di inattivazione (1) di agenti patogeni contenuti nell?aerosol, detto dispositivo di inattivazione essendo caratterizzato dal fatto di comprendere almeno una unit? di inattivazione (10) comprendente almeno due tubi, questi ultimi essendo almeno un primo tubo (100) esterno ed almeno un secondo tubo (200) interno, concentrico al primo e di lunghezza e diametro inferiore al detto primo tubo (100), detto secondo tubo (200) essendo assicurato al primo tubo (100) da almeno una barra sottile, detto primo tubo (100) e detto secondo tubo (200) presentando rispettivamente la parete interna e le pareti esterna ed interna in materiale a specchio e anti ossidazione, detto secondo tubo (200) comprendendo una pluralit? di anelli (200?) tenuti in posizione da una prima barra (210) e da una seconda barra (220) perpendicolari al piano dei detti anelli, detto secondo tubo (200) presentando altres? un anello apicale (200?a) con bordo ad U e guarnizione che ? atto all?inserimento del bordo di un anello metallico (510) che contiene la piattaforma dove ? alloggiato un chip LED (500) compreso in detto dispositivo di inattivazione (1), detti anelli (200?) essendo distanzianti da varchi completi (300) e incompleti (300?) da cui la luce emessa dal LED esce dal detto secondo tubo (200) verso lo spazio compreso tra le pareti esterne del detto secondo tubo (200) e interne del detto primo tubo (100), detto spazio essendo un corridoio di inattivazione (400), detto chip LED (500) essendo posizionato al centro di una base circolare comprendente la scheda del circuito e il materiale di connessione ad un dissipatore di calore (520), detto dissipatore, detta scheda del circuito e detto materiale di connessione essendo associati al detto anello metallico (510), detto secondo tubo (200) interno presentando sulla sua parete interna degli ispessimenti (230) atti ad intercettare i raggi luminosi emessi dal LED prima che giungano sulla detta parete interna del secondo tubo (200), quest?ultima essendo perpendicolare al piano dove il LED ? posizionato, detto secondo tubo (200) terminando prima del detto primo tubo (100) con un secondo disco riflettente (250) con entrambe le superfici riflettenti, detto secondo disco riflettente (250) essendo distanziato da un primo disco riflettente (240) e ancorato alla parete del detto primo tubo (100) da barre di giunzione, detto primo disco riflettente (240) presentando una parete riflettente rivolta verso il secondo tubo (200) e una parete opposta opaca atta a schermare i raggi luminosi impedendo che escano dal dispositivo (1) e a rifletterli affinch? possano ripercorrere il detto corridoio di inattivazione (400), detto chip LED (500) presentando emissione compresa tra 250 nm e 280 nm e potenza in uscita di 50 mW.
2. Dispositivo di inattivazione (1) di agenti patogeni secondo la precedente rivendicazione in cui le pareti interne ed esterne definenti il corridoio di inattivazione (400) sono sigillate tramite anelli in fluoro polimero a trasmittanza per radiazioni UV comprese tra 260-270 nm.
3. Dispositivo di inattivazione (1) di agenti patogeni secondo una qualsiasi delle precedenti rivendicazioni in cui il primo tubo (100) esterno e il secondo tubo (200) interno sono in alluminio, detto primo tubo (100) avendo spessore compreso tra 0,1 mm e 0,8 mm, detto secondo tubo (200) interno, di diametro inferiore rispetto a detto tubo (100) esterno, avendo spessore compreso tra 0,1 mm e 1,0 mm, ed essendo assicurato al detto primo tubo (100) da quattro barre di giunzione (10a, 10b, 10c, 10d), saldate all?estremit? del detto secondo tubo (200).
4. Dispositivo di inattivazione (1) di agenti patogeni secondo una qualsiasi delle precedenti rivendicazioni in cui il primo tubo (100) esterno presenta spessore di 0,3 mm e il secondo tubo (200) interno presente spessore di 0,5 mm.
5. Dispositivo di inattivazione (1) di agenti patogeni secondo una qualsiasi delle precedenti rivendicazioni in cui il primo tubo (100) esterno e il secondo tubo interno (200) presentano rispettivamente lunghezza di 4,7 cm 3,7 cm e diametro, detto primo tubo (100) presentando diametro di esterno di 2,11 cm e diametro interno di 2,05 cm, detto secondo tubo (200) interno presentando diametro interno di 0,95 cm.
6. Dispositivo di inattivazione (1) di agenti patogeni secondo una qualsiasi delle precedenti rivendicazioni in cui l?anello metallico (510) ? in alluminio ed ? alto 4 mm e prosegue nei lati con due guide di 2 mm di larghezza e profondit? che si inseriscono in due tacche (110) presenti nel bordo del primo tubo (100) esterno.
7. Dispositivo di inattivazione (1) di agenti patogeni secondo una qualsiasi delle precedenti rivendicazioni in cui il secondo disco (250) riflettente si trova a 4 mm dal primo disco (240) riflettente e presenta diametro di 5 mm maggiore del diametro interno del secondo tubo (200).
8. Dispositivo di inattivazione (1) di agenti patogeni secondo una qualsiasi delle precedenti rivendicazioni in cui il primo tubo (100) esterno prosegue oltre il primo disco (240) riflettente per 4 mm e termina con due introflessioni di 2,5 mm di lunghezza atte a schermare eventuali raggi di luce non schermati dal detto primo disco (240) riflettente, ed in cui il dissipatore di calore (520) comprende una porzione centrale piena di alluminio anodizzato di altezza di 8 mm e collegato ad una griglia di alluminio (530) formata da pareti alte 6 mm e spesse 0,3 mm delimitanti fori quadrati di 1mm*1mm.
9. Dispositivo di inattivazione (1) di agenti patogeni in cui il LED utilizzato ? tale che dell?emissione compresa tra 250 nm e 280 nm, l?85% sia nell?intervallo compreso tra 260 nm e 270 nm con picco a 265 nm e angolo di apertura pari a 140?.
10. Dispositivo di protezione (1000), quest?ultimo essendo una maschera o una semimaschera, caratterizzato dal fatto di comprendere un dispositivo di inattivazione (1) di agenti patogeni comprendente fino a sei unit? di inattivazione (10) in cui ciascuna unit? (10) ? come l?unit? (10) del dispositivo di inattivazione (1) definito in una qualsiasi delle rivendicazioni 1 - 9, dette sei unit? di inattivazione (10) essendo configurate in parallelo e disposte con simmetria esagonale all?interno di un cilindro metallico (600) con bordi filettati e dotato di uno spazio interno suddiviso da un primo disco metallico (600?) e da un secondo disco metallico (600??) rispettivamente in posizione apicale e terminale atti ad accogliere le dette sei unit? di inattivazione (10), detto cilindro (600) essendo dotato di uno sportellino di ispezione (610) contenente i fili dell?impianto LED, detto dispositivo di protezione (1000) essendo tale che il detto dispositivo di inattivazione (1) in esso compreso abbia chip LED (500) rappresentati da sei unit? circolari analoghe a quelli delle singole unit? di inattivazione (10) definite nelle precedenti rivendicazioni, dette sei unit? di inattivazione (10) essendo collegate da guide che vengono alloggiate in tacche presenti sui bordi esterni (100) di ciascuna unit? di inattivazione (10) e proseguono per formare una struttura unica esagonale convergente verso il centro di un cilindro cavo atto ad accogliere i fili elettrici dell?impianto LED, detto cilindro cavo essendo inserito in una piastra (620) presentante un foro centrale per il passaggio dei fili e tre cavit? filettate per le viti di ancoraggio dell?impianto, detto dispositivo di protezione (1000) comprendendo altres? una spia luminosa ed un allarme che segnale, all?accensione e per tutto il tempo di utilizzo se i LED sono in funzione, detto dispositivo prevendendo inoltre che il cilindro (600) sia chiusa, nella sua parte apicale, da un primo coperchio avvitabile (700) dotato di filtro sostituibile o lavabile, a maglia con fori di superficie libera compresa tra 100?m<2 >e 1 mm<2>, detto dispositivo di protezione (1000) prevedendo inoltre che il detto cilindro (600), possegga nella sua parte terminale, opposta a quella apicale, un secondo coperchio avvitabile (800) dotato di aggancio universale utilizzato per filtri a carboni attivi e che permette di applicare il detto dispositivo di inattivazione (1) alla detta maschera o semi maschera (1000).
11. Dispositivo di protezione (1000) secondo la precedente rivendicazione in cui il dispositivo di inattivazione (1) in esso compreso presenta altezza di 7 cm, diametro di 7 cm e peso di 50 grammi ed in cui un filo elettrico ? uscente dalla parte prossimale al corpo della mascherina da un foro (630) fornito di due morsetti per l?aggancio ad una stringa che assicura la maschera al volto dell?utente utilizzatore del dispositivo di protezione (1000), detto filo elettrico essendo collegato ad una batteria contenuta in una custodia come uno zaino o un marsupio.
12. Uso del dispositivo di inattivazione (1) come definito secondo una qualsiasi delle rivendicazioni 1-9 per l?inattivazione dei coronavirus, virus influenzali e Sars-Cov-2.
13. Uso del dispositivo di protezione (1000) come definito in una qualsiasi delle rivendicazioni 10 e 11 per l?inattivazione di coronavirus, virus influenzali e Sars-Cov-2.
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