IT201800010675A1 - Metodi e dispositivi per utilizzare la propagazione delle cariche elettriche tramite urti tra le molecole d’acqua in una cella elettrolitica contenente acqua e composti ionici - Google Patents

Metodi e dispositivi per utilizzare la propagazione delle cariche elettriche tramite urti tra le molecole d’acqua in una cella elettrolitica contenente acqua e composti ionici Download PDF

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Description

METODI E DISPOSITIVI PER UTILIZZARE LA PROPAGAZIONE DELLE CARICHE ELETTRICHE TRAMITE URTI TRA LE MOLECOLE D’ACQUA IN UNA CELLA ELETTROLITICA CONTENENTE ACQUA E COMPOSTI IONICI
La presente invenzione riguarda metodi e dispositivi per sfruttare l’energia cinetica degli urti tra molecole d’acqua e gli elettrodi di una cella elettrolitica, per incrementare il rendimento dei processi di elettrolisi e per propagare le cariche elettriche nel liquido, quando il liquido nel quale sono inseriti gli elettrodi è formato da acqua e composti ionici.
Notoriamente le reazioni che avvengono in una cella elettrolitica richiedono più Ampere di quelli che sono previsti dalla teoria: questa corrente in più è definita genericamente come corrente di dispersione e la sua origine, secondo le conoscenze attuali, è attribuita ad una concausa di fattori che hanno a che fare con il tipo di elementi presenti in soluzione, il tipo di elettrodi ed eventuali reazione chimiche intermedie, ma dal momento che questi fenomeni non sono facilmente distinguibili tra loro e che comunque la loro incidenza sul processo elettrolitico in se è marginale sono stati poco approfonditi anche dalla teoria.
Il metodo ed i dispositivi oggetto della presente invenzione derivano dalla scoperta che la componente fondamentale delle cosiddette correnti di dispersione nelle celle elettrolitiche contenenti un liquido a base acquosa è in realtà un comportamento naturale e spontaneo dell’acqua, che risulta essere l’indispensabile innesco della reazione elettrolitica e che ne permette il continuo funzionamento.
Questo fenomeno è una caratteristica fisica sempre presente che per sua natura non è possibile eliminare, per cui tutte le celle elettrolitiche con liquidi a base acquosa, comunque realizzate, ne subiscono l’effetto.
La teoria che spiega il funzionamento del fenomeno fisico è in grado di giustificare in dettaglio anche le comuni ed a volte contraddittorie esperienze di celle elettrolitiche a circuito aperto e chiuso.
L’evidenza e la descrizione di questo fenomeno fisico consentono di realizzare dispositivi che rendono possibile l’utilizzo e lo sfruttamento di questa specifica caratteristica dell’acqua, indipendentemente dal normale e noto processo elettrolitico che ne potrebbe essere generato.
In particolare, si intende utilizzare questa proprietà per tre dispositivi: una cella elettrolitica in cui l’efficienza del processo sia maggiore su un polo rispetto all’altro; una cella elettrolitica in cui la reazione elettrolitica si manifesta solo su un elettrodo; una cella elettrolitica che generi una continua e intensa propagazione di cariche elettriche in tutto il liquido senza che il liquido abbia a subire trasformazioni chimiche significative, in modo da poter provocare l’abbattimento di popolazioni batteriche presenti nel liquido.
Per comprendere il grado di innovazione della presente invenzione si descrive un semplice esperimento in grado di evidenziare il fenomeno. L’esperimento, stante la semplicità del dispositivo e dei materiali utilizzabili, è sempre ripetibile ed i risultati esposti sempre misurabili.
1 - Evidenza del fenomeno
In un contenitore di materiale non conduttivo riempito di acqua e composti ionici, si inseriscano due elettrodi uguali E1, E2 fatti dello stesso materiale conduttivo e ciascuno con la medesima superficie bagnata, tali che non si creino reazioni chimiche spontanee tra gli elettrodi ed i composti presenti nel liquido. Ad esempio, per l’esperimento si versano nel contenitore 100 ml di una soluzione di sodio cloruro allo 0,9% e si inseriscono a 10 centimetri di distanza tra loro due elettrodi in grafite con una superficie bagnata di 3 cm<2 >ciascuno.
Se si misura con un voltmetro la tensione tra gli elettrodi E1, E2 si riscontra sempre una tensione diversa da zero, dell’ordine di decine di millivolt, che nel tempo tende ad assestarsi su un valore V (Fig.1). Se si collegano tra loro gli elettrodi E1, E2 tramite un circuito elettrico con una resistenza, esterno al liquido, si riscontra sempre un passaggio di cariche elettriche tra i due elettrodi testimoniato dalla misura della tensione VR ai capi della resistenza (Fig.2). La quantità di cariche che si trasferiscono da un elettrodo all’altro decresce continuamente durante il tempo in cui il circuito è chiuso, e durante alcuni esperimenti in cui il è rimasto circuito chiuso anche per giorni si è sempre riscontrato un valore di corrente I di almeno qualche microampere.
Aprendo il circuito per alcuni secondi e poi richiudendolo si riscontra il ripetersi del fenomeno e questo avviene ciclicamente ogni qualvolta si ripete la sequenza. A seconda delle dimensioni degli elettrodi, l’intensità della corrente iniziale varia da milliampere a microampere. Più è lungo l’intervallo di tempo tra una chiusura e l’altra del circuito e più la corrente iniziale ritorna vicina al valore che aveva nel ciclo precedente, anche se il verso della corrente può variare da una chiusura all’altra. Se gli elettrodi sono del medesimo materiale ma di dimensioni e/o forma differente, aumenta il valore della corrente iniziale che scorre tra gli elettrodi quando si chiude il circuito.
Si supponga ora di inserire nel contenitore un inserto S di materiale isolante in modo da separare il liquido in due zone isolate tra loro con un elettrodo in ciascuna zona (Fig.3). In questo caso, tra gli elettrodi E1, E2 non esiste più alcuna tensione misurabile e non avviene nessun spostamento di cariche a circuito chiuso (VR=0, I=0). Se l’inserto S comprende un “tappo” T apribile a comando in modo da ottenere un passaggio P (Fig.4) che permette di ripristinare un percorso nel liquido tra i due elettrodi E1 ed E2, si nota che il fenomeno della tensione e della corrente ricompare sempre ogni qualvolta si apre il tappo T.
Questo esperimento dimostra in modo inequivocabile che affinché vi sia spostamento di cariche nel circuito esterno al liquido vi deve necessariamente essere anche un analogo spostamento di cariche nel liquido tra un elettrodo e l’altro, e che quando si interrompe questo “circuito nel liquido” il fenomeno non può manifestarsi. D’altronde, anche tutti i sistemi che producono elettrolisi in un liquido a base acquosa nel momento in cui un elettrodo non ha un percorso nel liquido verso l’altro elettrodo smettono di funzionare immediatamente.
In considerazione del fatto che nel circuito chiuso circola una corrente pure in assenza di energia fornita dall’esterno, ma che per costruzione dell’esperimento non si possono generare spontaneamente reazioni chimiche note tra gli elettrodi ed i composti del liquido, riesce difficile pensare che le cariche elettriche sugli elettrodi siano fornite ed alimentate dagli ioni e dal loro movimento verso gli elettrodi. Infatti il valore della tensione spontanea tra gli elettrodi risulta largamente inferiore al valore di soglia Vsoglia definito come il valore minimo di differenza di potenziale (d.d.p.) necessario per avere l’elettrolisi (potenziale di decomposizione degli elettroliti).
Quindi la tensione spontanea non può generare nei dintorni degli elettrodi un campo elettrico idoneo a spostare una massa ionica nel liquido, ed a maggior ragione non può generare un campo elettrico significativo tra gli elettrodi a causa della loro distanza. A ulteriore conferma dell’impossibilità per gli ioni di fornire gli elettroni necessari alla corrente circolante nel circuito, si consideri che gli elettrodi sono del medesimo materiale, di uguali dimensioni ed immersi nel medesimo liquido per cui, anche volendo ipotizzare lo sviluppo di ignote reazioni chimiche spontanee tra ioni ed elettrodi, per avere una circolazione di corrente nel circuito esterno è necessario che su un elettrodo avvenga una reazione chimica di ossidazione e contemporaneamente sull’altro elettrodo una reazione chimica di riduzione. Trattandosi di elettrodi assolutamente identici, è assai improbabile che lo stesso liquido con cui sono entrambi a contatto riesca a produrre contemporaneamente reazioni chimiche tra loro opposte.
2 - Spiegazione del fenomeno
Si propone la seguente spiegazione del fenomeno che descrive il comportamento delle molecole d’acqua, valida per i processi elettrolitici e le celle galvaniche con soluzioni a base acquosa.
Inizialmente gli elettrodi sono immersi nel liquido e non sono collegati tra loro da un circuito elettrico esterno. La molecola d’acqua è polarizzata e la zona con polarità negativa, centrata sull’atomo di ossigeno, è almeno due volte più ampia della zona di polarità positiva. Quando, per l’agitazione termica, una molecola d’acqua viene a contatto con l’elettrodo può quindi urtare contro la superficie dell’elettrodo con la propria parte di polarità negativa (più frequentemente) o con la propria parte di polarità positiva.
Se la molecola urta la superficie dell’elettrodo con la parte di polarità negativa, può cedergli uno o più elettroni in quanto gli elettroni più facilmente estraibili da una molecola d’acqua si trovano negli orbitali più esterni, cioè a più alta energia (HOMO orbitals), che nel caso dell'acqua sono localizzati essenzialmente sull’atomo di ossigeno e costituiscono i due doppietti di non legame dello stesso. Se invece la molecola urta la superficie dell’elettrodo con la parte di polarità positiva, la cessione o l’acquisizione di elettroni è improbabile per il motivo appena esposto.
Anche gli ioni presenti in soluzione potrebbero urtare la superficie dell’elettrodo ed eventualmente cedere o acquisire elettroni ma il loro effetto è trascurabile, sia perché gli ioni sono presenti in numero grandemente inferiore alle molecole d’acqua, sia perché gli ioni sono circondati da molecole d’acqua orientate e quindi per riuscire ad ottenere un urto con l’elettrodo serve un campo elettrico la cui forza di attrazione consenta allo ione di superare la resistenza della barriera di molecole d’acqua che si frappone tra lui e l’elettrodo.
Le molecole d’acqua che hanno urtato la superficie dell’elettrodo con la parte di polarità negativa hanno ceduto uno o più elettroni dei propri elettroni all’elettrodo e di conseguenza sono diventate “positive”, presumibilmente modificando anche la loro struttura (per semplicità di esposizione da qui in avanti si suppone che una molecola ceda un solo elettrone). Queste molecole “positive”, che non sono definite ioni per distinguerle dagli ioni tradizionalmente detti ed effettivamente presenti nel liquido (quali derivati di sali, acidi, basi, atomi ionizzati), nel seguito saranno indicate per brevità con il simbolo
Tali molecole, dopo l’urto contro l’elettrodo, possono avere una traiettoria che le allontana dalla superficie dell’elettrodo e che le porta ad urtare altre molecole d’acqua adiacenti. L’urto tra una molecola ed una normale molecola d’acqua può consentire alla prima di prendere un elettrone dalla seconda in modo che la prima <torni normale e la seconda diventi> <Si può quindi ritenere che la molecola >
si può propagare nel liquido in tutte le direzioni secondo un moto casuale.
La propagazione per urti nelle immediate vicinanze dell’elettrodo è però influenzata dalla carica elettrica negativa presente sull’elettrodo proprio per via dello scambio elettronico appena avvenuto. Quindi c’è un’alta probabilità che una sequenza di urti porti una molecola contro l’elettrodo per riprendersi l’elettrone, e c’è una bassa probabilità che una molecola riesca ad allontanarsi dal campo di attrazione dell’elettrodo. La probabilità di uscire dalla zona di influenza dell’elettrodo aumenta notevolmente qualora nelle immediate vicinanze dell’elettrodo vi sia un elemento perturbatore del campo elettrico, ossia uno ione che può consentire ad un numero maggiore di molecole di sfuggire all’attrazione dell’elettrodo alterando il campo elettrico. Tra l’altro, questo è il motivo per cui, come sperimentalmente noto, non si può ottenere l’elettrolisi di acqua pura: le molecole
non riescono a sfuggire all’elettrodo e non potendo raggiungere l’altro
elettrodo non chiudono il “circuito nel liquido”.
Nel caso in cui composti ionici siano presenti nel liquido, si può quindi dire che per via degli urti successivi tra molecole d’acqua la carica elettrica positiva trasportata dalla molecola può essere ovunque nel liquido. Quindi può capitare che, dopo un tempo determinato dal numero di urti tra molecole, una molecola possa urtare nuovamente la superficie dell’elettrodo riprendendo in tal caso l’elettrone perso e ritornando così normale.
Il continuo scambio di elettroni tra molecole d’acqua ed elettrodo può generare in un istante t un accumulo di N elettroni sull’elettrodo con carica q=Ne, che si distribuiscono sulla superficie dell’elettrodo, mentre nel contempo si sono formate nel liquido N molecole Il sovrapporsi di questi processi porta nel tempo ogni elettrodo a raggiungere ed oscillare intorno ad una propria condizione di equilibrio, non necessariamente uguale a quella dell’altro elettrodo, che dipende dal tempo, dalla concentrazione dei composti ionici presenti nelle immediate vicinanze dell’elettrodo e da materiale, dimensioni e posizionamento dell’elettrodo.
Considerando che su due elettrodi identici per dimensioni e materiale agiscono i medesimi fenomeni, si può ritenere che anche il numero di urti sia mediamente uguale per entrambi gli elettrodi per cui la carica elettrica negativa sui due elettrodi sarà mediamente la stessa ma, dato il grande numero di urti, non potrà essere certo uguale istante per istante. Pertanto quando si collegano tra loro gli elettrodi all’istante t, mediante un circuito elettrico esterno al liquido, si avrà che un elettrodo conterrà più cariche dell’altro il che risulterà in un flusso di elettroni da l’uno all’altro con l’intento di pareggiare il potenziale elettrico dei due elettrodi.
Questo trasferimento di elettroni è quindi generato dalla asimmetria nel sistema per cui, ad esempio, l’elettrodo E1 che ha più elettroni dell’elettrodo E2 è negativo rispetto ad E2 e tende di conseguenza a cedergli gli elettroni in eccesso. Tuttavia, nell’istante t in cui E1 cede gli elettroni esso diventa “positivo” rispetto al suo punto di equilibrio, ossia rispetto al liquido che lo circonda, ed E2 che riceve gli elettroni diventa “negativo” rispetto al suo punto di equilibrio. Lo scostamento dal punto di equilibrio è il motore del fenomeno spontaneo, perché induce una preferenza sul tipo di urti che si possono verificare tra l’elettrodo e le molecole d’acqua che lo circondano.
Al tempo t il liquido adiacente all’elettrodo E1 vede l’elettrodo come “positivo”, quindi vi è un aumento della probabilità che una molecola d’acqua urti l’elettrodo con la zona di polarità negativa, cedendo così un elettrone all’elettrodo E1 e generando nel contempo una molecola
Al tempo t il liquido adiacente all’elettrodo E2 lo vede come “negativo”, e quindi vi è una riduzione della probabilità che una molecola d’acqua urti l’elettrodo con la zona di polarità negativa, perché l’intensità del campo elettrico nelle vicinanze della superficie è in grado di modificare la traiettoria della molecola prima dell’urto ruotando verso la superficie dell’elettrodo la parte della molecola con polarità positiva. Inoltre, vi è un aumento della probabilità che una molecola possa essere attirata verso l’elettrodo E2, a cui strapperà l’elettrone necessario per tornare neutra.
In pratica, al tempo t l’elettrodo E1 si comporta come un “generatore” di elettroni e di molecole mentre l’elettrodo E2 si comporta come un “consumatore” di elettroni e di molecole Tuttavia, il flusso di elettroni tra gli elettrodi E1 ed E2 avviene mediante conduttore elettrico mentre la carica positiva si sposta nel liquido tramite gli urti tra le molecole, pertanto la velocità di spostamento della carica negativa è di molti ordini di grandezza superiore a quella della carica positiva. Si può quindi ritenere lo spostamento degli elettroni nel circuito elettrico come immediato rispetto allo spostamento delle cariche nel liquido.
Di conseguenza, appena vengono collegati tra loro i due elettrodi tramite il circuito esterno, cioè al tempo t, gli elettroni si spostano immediatamente da E1 a E2, ed al tempo t+1 gli urti sull’elettrodo E1 generano nuovi elettroni che si trasferiscono subito all’elettrodo E2, che nel frattempo ha consumato gli elettroni arrivati da E1 al tempo t trasferendoli alle molecole già presenti nel liquido. Questo evento ripristina la differenza di carica tra i due elettrodi riportando E1 nuovamente negativo rispetto ad E2 e consentendo un flusso continuo di elettroni da E1 a E2 che dura fino a che non si esauriscono le molecole già presenti nel liquido. Questo meccanismo spiega lo spostamento di cariche da E1 a E2 attraverso il circuito esterno.
Da questo momento in poi accade che quando l’elettrodo generatore E1 acquisisce un elettrone creando la molecola il circuito esterno sposta l’elettrone sull’elettrodo consumatore E2 prima che la molecola sia arrivata su E2 per neutralizzarlo. L’elettrodo E1 nel frattempo è in grado di acquisire un nuovo elettrone e crea una nuova molecola ma questo nuovo elettrone non può essere inviato ad E2 perché E2 risulta di carica uguale a E1 non avendo ancora neutralizzato l’elettrone precedente per mancanza di molecole Quindi l’elettrodo generatore E1, dovendo trattenere su di sé il nuovo elettrone, diminuisce la sua “positività” rispetto al liquido adiacente, con ciò diminuendo la sua capacità di generare nuove molecole Questo meccanismo spiega l’affievolirsi del passaggio di corrente durante il periodo a circuito chiuso.
Nel momento in cui si interrompe il collegamento elettrico tra gli elettrodi, il sistema tende a riportarsi spontaneamente nelle condizioni iniziali di equilibrio perché nel liquido i composti ionici tendono a diffondersi omogeneamente spinti dal gradiente di concentrazione. Questo meccanismo spiega perché il successivo collegamento elettrico tra gli elettrodi porterà ad un medesimo funzionamento.
Per quanto esposto l’entità del flusso iniziale ed il verso di scorrimento delle cariche nel circuito dipendono dalla situazione presente su ciascun elettrodo nell’istante della chiusura del circuito. Pertanto, ad ogni ciclo di chiusura si avrà il medesimo funzionamento ma i valori di partenza potranno essere di volta in volta differenti così come potrà essere differente il verso di scorrimento delle cariche elettriche. Modificando la forma e le dimensioni di uno degli elettrodi è possibile aumentare la probabilità che il verso della corrente rimanga stabile tra un ciclo e l’altro.
La teoria qui spiegata si propone di integrare le attuali conoscenze che prevedono che lo spostamento di cariche elettriche all’interno di una soluzione acquosa, sia di cella elettrolitica che di cella galvanica o pila, sia dovuto solo al movimento degli ioni verso l’anodo e il catodo dovuto all’attrazione del campo elettrico nelle immediate vicinanze dell’elettrodo (migrazione), per l’effetto del gradiente di concentrazione man mano che ci si allontana dall’elettrodo (diffusione) e per il movimento convettivo e la contemporanea costante presenza di correnti di dispersione.
La spiegazione del funzionamento dei dispositivi oggetto della presente invenzione si basa sulla dimostrazione che la conducibilità elettrica del liquido ha sempre una componente dovuta alla presenza di cariche trasportate da molecole d’acqua che si generano per urto e che si spostano nel liquido tramite urti/interazioni con altre molecole d’acqua.
3 - La teoria applicata alla cella elettrolitica
La teoria su esposta fornisce una spiegazione dell’innesco di un processo elettrolitico.
Si consideri la configurazione dell’esperimento precedente, con l’elettrodo E1 collegato al polo positivo di una batteria elettrica e l’elettrodo E2 al polo negativo. Nel momento in cui si applica agli elettrodi una d.d.p. sufficiente per avviare l’elettrolisi, la batteria rende l’elettrodo E1 positivo rispetto al liquido ad esso adiacente e l’elettrodo E2 negativo rispetto al liquido ad esso adiacente.
Per quanto fin qui esposto, l’elettrodo E1 diventa il generatore di molecole
e gli elettroni ceduti all’elettrodo E1 vengono immediatamente trasportati al
<polo positivo della batteria, mentre l’elettrodo E2 diventa il consumatore di molecole >
che neutralizzano gli elettroni presenti nel polo negativo della batteria. Fino a
che la batteria è in grado di rimuovere immediatamente dall’elettrodo E1 gli elettroni dovuti alla generazione di E1 continuerà a formare molecole senza subire l’affievolirsi del processo e consentendo di avviare un crescente flusso di cariche nel circuito collegato alla batteria.
Nel momento dell’avvio, le molecole trasportano la totalità delle cariche elettriche con l’intensità massima stabilita dalla configurazione del sistema (batteria, dimensione elettrodi e distanza tra loro, concentrazione degli ioni), e con il crescere dell’intensità della corrente cresce anche il numero di cariche elettriche che in un dato istante t si trova sulla superficie dell’elettrodo. Queste cariche generano nei dintorni dell’elettrodo un campo elettrico, a sua volta via via crescente, che si estende nel liquido nelle immediate vicinanze dell’elettrodo ed influenza il comportamento degli ioni presenti: gli ioni di stesso segno sono spinti ad allontanarsi mentre, non appena si supera un determinato valore del campo elettrico, gli ioni di segno opposto presenti nel liquido adiacente subiscono una forza di attrazione tale che gli consente di superare la barriera di molecole d’acqua orientate che li circonda e di urtare l’elettrodo, dando così avvio al processo di elettrolisi vera e propria.
Le molecole costituiscono quindi il “motore d’avviamento” di tutti i processi elettrolitici che hanno luogo nelle soluzioni ioniche a base acquosa, perché se non vi fosse il meccanismo di trasporto molecolare dell’acqua gli ioni presenti nei dintorni degli elettrodi non sarebbero in grado, da soli, di portare sull’elettrodo la quantità di carica necessaria a creare il campo elettrico stesso. Infatti, a circuito aperto, sui morsetti di una batteria sono presenti solo “poche” cariche elettriche, innumerevoli ordini di grandezza meno rispetto a quando inizia a scorrere una corrente, indipendentemente dal valore della d.d.p. applicata. Se al morsetto della batteria si collega un elettrodo immerso nel liquido, anche l’elettrodo avrà poche cariche elettriche che generano nel liquido un campo elettrico assolutamente insufficiente ad attirare il numero di ioni necessario per avviare il processo di elettrolisi.
<L’intensità di corrente che circola nel circuito esterno è quindi data da:>
dove è il contributo della normale reazione elettrochimica e è il contributo di cariche fornito dal trasporto molecolare dell’acqua. All’avvio, il valore di è massimo ed è formato solo da mentre con il proseguire del processo il valore scende, perché scende drasticamente il valore di ed inizia a crescere quello di A regime il sistema trova un suo punto di equilibrio con il valore di massimo ed un valore minimo.
Una volta avviato il processo elettrolitico, per mantenerlo è necessario che ci siano sempre ioni utili nel raggio di azione significativo del campo elettrico, pertanto gli ioni consumati dalla reazione elettrolitica devono essere rimpiazzati da altri che ne devono prendere il posto. Per avvicinarsi all’elettrodo, gli ioni si muovono nel liquido per diffusione spinti dal gradiente di concentrazione, cioè si ha il movimento di una massa fisica che si deve aprire un percorso in mezzo ad altre masse, pertanto la velocità dello ione nel liquido è limitata dalle caratteristiche proprie dello ione e del liquido. La velocità con cui gli ioni di rimpiazzo vanno a posizionarsi in un punto da cui possono toccare l’elettrodo determina massima della cella.
Sull’elettrodo positivo, il campo elettrico allontana gli ioni negativi e così facendo riduce il numero di molecole che possono essere rilasciate nel liquido, quindi si riduce. Il valore di non può essere portato a zero perché qualora ciò avvenisse, ad esempio isolando gli elettrodi tra loro tramite il separatore S nella cella, il processo elettrolitico si fermerebbe istantaneamente.
Infatti, si ipotizzi per assurdo che il mantenersi della reazione elettrochimica a regime sia dovuto solo al contributo degli elettroni forniti dagli ioni: in Fig.5 è rappresentato con K uno degli innumerevoli punti di contatto con il liquido che la superficie dell’elettrodo ha e su cui ad ogni unità di tempo avviene un contatto con le molecole del liquido, e nel diagramma laterale viene riportata schematicamente la forza elettrostatica che le cariche presenti sull’elettrodo esercitano nel liquido.
Al tempo t=0 una sequenza di ioni A, B, C, D, E sono inizialmente posizionati in una linea perpendicolare alla superficie K ed equidistanti tra loro, essendo separati da molecole d’acqua polarizzate M.
Dopo la prima unità di tempo (t=1), lo ione A, che è soggetto alla forza del campo elettrostatico, va a toccare l’elettrodo in K spostandosi con velocità vA= vdiffusione + aP∙∆t, dove aP è l’accelerazione impressa dal campo elettrico alla distanza P dal punto K. Lo ione di rimpiazzo B si sposta verso P invece con velocità vB= vdiffusione + aQ∙∆t, dove aQ è l’accelerazione impressa dal campo elettrico alla distanza Q>P dal punto K, pertanto aQ < aP e di conseguenza vB < vA. Questo comporta che, nella prima unità di tempo, lo ione A arriva in K e cede all’elettrodo un elettrone e, ma lo ione B non riesce ad arrivare alla distanza P ma solo alla distanza P’>P.
Al tempo t=2 il punto K dell’elettrodo non può quindi essere toccato dallo ione B, che non ha una velocità sufficiente per raggiungerlo nella seconda unità di tempo, ed è quindi urtato da una molecola d’acqua M1 che per ipotesi non scambia elettroni con l’elettrodo. Se questo accade contemporaneamente ad entrambi gli elettrodi, nel circuito passa meno corrente e quindi si riduce la quantità di carica sugli elettrodi e di conseguenza l’intensità del campo elettrico.
Al tempo t=3 lo ione B raggiunge il punto K e cede all’elettrodo un elettrone e, ma lo ione C, soggetto ad un campo elettrico minore del precedente, è ancora ben lontano dal punto K lasciando quindi per tre unità di tempo (t=4, t=5, t=6) l’urto con K a molecole d’acqua M2, M3, M4 che non scambiano elettroni. Ne risulta una riduzione della corrente circolante nel circuito e quindi della quantità di carica istantaneamente presente sull’elettrodo e di conseguenza del campo elettrico, come indicato dal relativo diagramma laterale. Questo meccanismo porta in breve ad una continua diminuzione delle cariche presenti sull’elettrodo, che quindi non riesce più ad attirare gli ioni necessari ad alimentare il processo di elettrolisi.
Si consideri invece il caso in cui le molecole d’acqua M possono scambiare un elettrone e durante l’urto con l’elettrodo come raffigurato in Fig.6, dove si può notare che il campo elettrico a regime non varia e quindi l’attrazione sugli ioni rimane costante consentendo il mantenimento delle trasformazioni elettrolitiche.
Infatti, come per il caso precedente, al tempo t=0 si presenta davanti al punto K la stessa sequenza di ioni A, B, C, D, E ed al tempo t=1 lo ione A arriva in K e lo ione B in P’. Al tempo t=2 lo ione B non ha raggiunto K, che quindi viene urtato da una molecola d’acqua M1 che però scambia un elettrone e con l’elettrodo consentendo quindi di mantenere nel circuito la stessa corrente circolante e quindi la quantità di carica istantaneamente presente sull’elettrodo, e di conseguenza anche il campo elettrico rimane inalterato.
Da questo momento in poi, tutti gli ioni successivi B, C, D, E, F saranno sempre soggetti alla medesima forza attrattiva ed avranno pertanto un avvicinamento a K del tutto simile tra loro, come evidenziato schematicamente in figura. Infatti, anche se uno ione richiede due unità di tempo per arrivare in contatto con K (t=3, t=5, t=7), dopo la prima di dette due unità di tempo è la molecola d’acqua M1, M2, M3 che scambia un elettrone e con l’elettrodo (t=2, t=4, t=6).
Questo esempio consente di spiegare anche il noto aumento delle correnti di dispersione in proporzione alla d.d.p. applicata agli elettrodi, e perché il rendimento e l’efficienza di un processo di elettrolisi sono migliori per d.d.p. appena superiori al valore di soglia Infatti, considerando che l’elettrodo è immerso nel liquido e che in ogni punto di contatto avviene in ogni un istante un urto o con una molecola d’acqua o con uno ione, e che nelle soluzioni acquose l’acqua è sempre presente in misura maggiore rispetto agli ioni in soluzione, ne consegue che in ogni processo elettrolitico in soluzioni acquose non si può evitare l’urto tra gli elettrodi e le molecole d’acqua.
Al raggiungimento del valore di soglia si instaura la corrente che “consuma” gli ioni che urtano l’elettrodo, e che vengono rimpiazzati grazie alla concentrazione degli ioni nel liquido che diffondono verso l’elettrodo. Quando la d.d.p. viene incrementata, sempre più ioni sono attirati verso l’elettrodo ma gli ioni più vicini all’elettrodo sono attirati sempre più velocemente rispetto a quelli più lontani perché la forza di attrazione del campo elettrico segue il reciproco del quadrato della distanza. Di conseguenza, la velocità nel rimpiazzare gli ioni vicino all’elettrodo dipende non solo dalla concentrazione degli ioni e dallo spostamento fisico della massa ionica nel liquido, ma anche dal fatto che la forza attrattiva del campo elettrico agisce maggiormente nelle vicinanze dell’elettrodo e in misura marginale ai limiti del campo elettrico.
Dal momento che se non sono presenti ioni l’urto avviene con molecole d’acqua, e che la generazione di molecole aumenta con l’aumentare del campo elettrico, si avrà che l’entità del trasporto molecolare cresce con il crescere della corrente che circola nel circuito. Tuttavia, tale crescita non è lineare in quanto è presente la componente quadratica della forza di attrazione del campo elettrico.
Nella cella elettrolitica presa ad esempio, ma più in generale per tutte le celle elettrolitiche di soluzioni a base acquosa, si può osservare che scollegando gli elettrodi dai morsetti della batteria e inserendo immediatamente un voltmetro si misura tra gli elettrodi una d.d.p. di poco inferiore a quella fornita fino ad un attimo prima dalla batteria, e che questa d.d.p. spontaneamente e lentamente decresce verso un valore minimo dell’ordine di decine di millivolt. Se poi, dopo aver scollegato gli elettrodi dalla batteria, si cortocircuitano gli elettrodi tra loro si misura una corrente di verso opposto e di intensità iniziale di poco inferiore a quella circolante con la batteria collegata, e tale corrente molto rapidamente decresce fino a quasi zero e allo stesso tempo la tensione tra gli elettrodi si porta al valore minimo.
Quest’ultimo fenomeno si spiega con il fatto che appena gli elettrodi della cella elettrolitica sono collegati alla batteria si iniziano a formare molecole
sull’elettrodo positivo. Queste molecole producono il trasporto delle cariche positive nel liquido non mediante lo spostamento della massa molecolare ma tramite la cessione per urto della carica ad una molecola adiacente. Il percorso della carica positiva generata dall’elettrodo positivo verso l’elettrodo negativo è quindi casuale e non segue la linea più breve tra i due elettrodi, di conseguenza prima che la prima carica positiva prodotta vada ad urtare contro l’elettrodo negativo ne sono già state prodotte molte altre che si trovano distribuite casualmente nel liquido.
Il liquido costituisce quindi un “serbatoio” di cariche positive che si riempie man mano che l’elettrolisi prosegue. È da sottolineare che questo “serbatoio” è in grado di essere costantemente incrementato durante il funzionamento della cella perché l’elettrodo positivo genera più molecole di quante ne possa assorbire l’elettrodo negativo, per una motivazione statistica.
Infatti, la normale molecola d’acqua ha una zona leggermente positiva in corrispondenza degli atomi idrogeno e una zona negativa in corrispondenza dell’atomo di ossigeno, pertanto di fronte all’elettrodo positivo tende spontaneamente a disporsi mostrando all’elettrodo la sua zona negativa, ossia quella relativa all’ossigeno. Questa è proprio la zona più favorevole per scambiare l’elettrone con l’elettrodo e generare la molecol mentre di fronte all’elettrodo negativo si presenta una molecola d’acqua he è tutta positiva e quindi non si dispone secondo un verso preferito. La probabilità che una normale molecola d’acqua urtando contro l’elettrodo positivo ceda un elettrone all’elettrodo è quindi maggiore rispetto alla probabilità che una molecola urtando l’elettrodo negativo prenda un elettrone, pertanto l’elettrodo generatore produce più cariche di quelle che l’elettrodo utilizzatore è in grado di consumare.
Nel momento in cui gli elettrodi vengono scollegati dalla batteria e cortocircuitati tra loro, si ha un passaggio di corrente nel circuito tra gli elettrodi perché nel momento del distacco dalla batteria l’elettrodo che era collegato al morsetto positivo viene visto come “negativo” dal liquido circostante, e viceversa per l’altro elettrodo. Quindi, per i motivi già illustrati in precedenza, si ha una circolazione di corrente di verso opposto rispetto a quando gli elettrodi erano collegati alla batteria, e l’intensità della corrente ha un picco iniziale perché gli eventi che accadono agli elettrodi possono sfruttare subito tutte le cariche positive già presenti nel “serbatoio”.
Questo comportamento, presente in tutte le celle elettrolitiche con soluzioni a base acquosa, è una ulteriore dimostrazione della fondatezza della teoria del trasporto di cariche tramite molecole che è in grado di spiegare un fenomeno altrimenti difficilmente spiegabile. Infatti, è assai improbabile che questo consistente e misurabile flusso di corrente possa essere generato dagli elettroni scambiati dagli ioni, poiché le reazioni chimiche sugli elettrodi non solo si dovrebbero invertire ma anche, in assenza di un generatore, si dovrebbero trasformare da reazioni indotte a reazioni spontanee facendo diventare la cella elettrolitica una pila, anche se per pochi secondi.
Come conseguenza del fatto che esiste un “serbatoio” in cui le cariche positive si sono accumulate, è evidente che qualora si togliessero gli elettrodi dal liquido le cariche positive, non avendo superfici conduttive con cui scambiare elettroni verso l’esterno, dovrebbero permanere indefinitamente nel liquido stesso.
Nella cella elettrolitica utilizzata come esempio sono state effettuate numerose prove in cui la cella era portata nelle medesime condizioni iniziali per poi togliere gli elettrodi dal liquido e reinserirli cortocircuitandoli tra loro dopo un determinato periodo di tempo, in modo da misurare la corrente che scorreva tra loro. Le misurazioni hanno mostrato che più il liquido rimaneva a riposo e meno alto era il picco iniziale di corrente nel circuito.
Questo risultato significa che il numero di cariche positive presenti nel liquido decresce nel tempo, perché in effetti le molecole hanno la possibilità di scambiare elettroni con le molecole di ossigeno presenti nell’aria a contatto con la superficie del liquido. Quando la stessa prova è stata effettuata chiudendo subito il contenitore con un coperchio isolante si è riscontrato che il picco iniziale era sempre più alto dell’analogo esperimento senza coperchio, e più è efficace l’isolamento tra liquido ed aria, ed a maggior ragione se si crea il vuoto sopra il liquido, e maggiore è la quantità di cariche che si riesce a conservare nel tempo nel liquido.
4 - Ottimizzazione dell’efficienza delle trasformazioni chimiche su un polo di una cella elettrolitica
Si consideri la cella elettrolitica di Fig.7 composta da un contenitore isolante riempito di una soluzione ionica acquosa in cui sono immersi da una parte un elettrodo E1 collegato ad un primo polo e dall’altra parte due elettrodi distinti E2 e E3, equidistanti da E1, collegati ad un secondo polo, tutti gli elettrodi essendo sostanzialmente identici per forma, materiale e dimensioni. Per sola semplicità di spiegazione si illustrano gli effetti della teoria considerando l’elettrodo E1 collegato al polo positivo di una batteria ma, con analoghi ragionamenti e considerazioni, si giunge agli stessi risultati anche se l’elettrodo E1 è collegato al polo negativo.
Si colleghi l’elettrodo E1 al polo positivo di una batteria e gli altri due elettrodi E2, E3 al polo negativo e si applichi una d.d.p. V pari al doppio della d.d.p. necessaria ad avviare e mantenere il processo elettrolitico se gli elettrodi utilizzati fossero solo E1 e E2 (definita “d.d.p. di base”).
Per ovvie ragioni di simmetria del sistema, la corrente che fluisce nel circuito attraversa integralmente E1 mentre si divide in egual misura tra E2 ed E3. Ovviamente la corrente è la medesima che si avrebbe se nella cella fossero presente solo gli elettrodi E1 ed E2, infatti il rendimento dell’elettrodo E1 non può, a parità di d.d.p. V, essere maggiore di quanto sarebbe avendo di fronte un solo elettrodo.
Ciò che costituisce un oggetto della presente invenzione è invece la capacità degli elettrodi E2 e E3, in questa configurazione, di fornire un rendimento maggiore in quanto, a parità di , la componente aumenta e la componente
diminuisce rispetto al caso di un unico elettrodo negativo U di dimensioni doppie rispetto ad E1. La spiegazione di questo comportamento è data dal fatto che la corrente circolante nel circuito si divide in ugual misura tra gli elettrodi E2 ed E3, quindi se la quantità di carica presente in un dato istante sull’elettrodo E1 è q su ciascun elettrodo E2 ed E3 si avrà una quantità di carica pari a q/2.
Se al posto di E2 ed E3 fosse presente un unico elettrodo negativo U, su di esso si avrebbe la quantità di carica q e dal momento che non necessariamente la distribuzione di cariche sull’elettrodo è omogenea, ma anzi è assai facilmente asimmetrica visto che per esperienza comune il consumo degli elettrodi non è certo omogeneo, una tale distribuzione superficiale asimmetrica di cariche porterebbe il campo elettrico intorno ad una zona superficiale dell’elettrodo U ad essere simile a quello dell’elettrodo E1. Mentre se gli elettrodi negativi sono due, qualunque sia l’asimmetria nella distribuzione superficiale di cariche questa genererà su E2 ed E3 al massimo un campo elettrico di intensità pari alla metà di quello presente sull’unico elettrodo positivo E1.
Il campo elettrico generato su E1 è maggiore del campo generato su E2 e su E3, e per quanto già illustrato in precedenza un campo elettrico minore consuma meno velocemente gli ioni, che hanno più tempo per diffondere nella zona del campo elettrico, quindi E2 ed E3 necessitano di un minor trasporto molecolare per mantenere in essere il processo. In altre parole, con una terminologia classica, sugli elettrodi E2 ed E3 si riducono le correnti di dispersione.
Ovviamente, lo stesso ragionamento vale per qualsiasi numero X di elettrodi multipli collegati al secondo polo, essendo sufficiente che si applichi ai poli una d.d.p. V pari a X volte la d.d.p. di base, come sopra definita, affinché la carica elettrica su ciascuno degli X elettrodi multipli sia sufficiente ad avviare il processo elettrolitico.
- Cella elettrolitica in cui la trasformazione elettrolitica si realizza su un solo elettrodo
Si consideri nuovamente la cella elettrolitica di Fig.7, ma stavolta si applichi una d.d.p. V pari alla d.d.p. necessaria ad avviare e mantenere il processo elettrolitico se gli elettrodi utilizzati fossero solo E1 e E2 (d.d.p. di base).
In questo caso, per quanto sopra esposto, il campo elettrico generato da ciascun elettrodo negativo E2, E3 nei dintorni della propria superficie è la metà di quello necessario ad avviare la reazione elettrochimica. Di conseguenza, in base allo stato dell’arte, non si dovrebbe verificare alcuno scambio di elettroni tra ioni ed elettrodi e il funzionamento della cella elettrolitica non sarebbe possibile.
Sorprendentemente, in diverse prove facilmente riproducibili usando ad esempio soluzione salina ed elettrodi in grafite, l’inventore ha invece sempre riscontrato che sull’elettrodo E1 avvengono le previste trasformazioni chimiche e nel circuito scorre comunque una corrente esattamente identica a quella che si avrebbe se fossero immersi nella cella solo l’elettrodo E1 e E2, anche se sugli elettrodi E2 ed E3 non compaiono gli effetti di reazioni elettrochimiche.
Questo comportamento inatteso, ma sempre riscontrabile con semplici strumenti di misura, si spiega con quanto è stato esposto finora: sull’elettrodo E1 si avvia la <prevista reazione elettrochimica e contemporaneamente si generano le molecole >
che sono prodotte in numero maggiore rispetto alle cariche che possono essere
consumate su E2 ed E3. Questo determina che il solo elettrodo E1 è in grado di alimentare e mantenere il circuito in funzione anche senza l’apporto ionico su E2 ed E3. L’utilizzo di questo dispositivo è vantaggioso in tutti i casi in cui si desidera ottenere la reazione elettrolitica solo su un elettrodo, o quando si vuole preservare uno tra anodo o catodo dalla corrosione o dal consumo elettrolitico.
Con lo stesso criterio è possibile ottenere la reazione elettrolitica sul solo elettrodo E1 anche applicando d.d.p. maggiori purché si aggiungano al polo opposto a E1 ulteriori elettrodi uguali, sempre equidistanti da E1, su cui la corrente circolante possa suddividersi in modo che il campo elettrico generato da ciascun elettrodo multiplo nei dintorni della propria superficie sia sempre inferiore di quello necessario ad avviare su di essi la reazione elettrochimica. Detto X il numero degli elettrodi multipli, tutti sostanzialmente uguali tra loro ed equidistanti da E1, che sono collegati al polo opposto a E1, per ottenere la reazione elettrolitica solo su E1 è sufficiente che il generatore applichi ai poli una d.d.p. V non superiore a (X−1) volte la d.d.p. di base, essendo X≥2.
Tuttavia, nella applicazione pratica, con il crescere del valore di X la corrente circolante su ciascun elettrodo multiplo si avvicina sempre più al valore di soglia che innesca il processo elettrolitico, e piccole impurità presenti negli elettrodi o minime differenze di concentrazione della soluzione ionica potrebbero portare qualcuno di questi elettrodi a superare il valore di soglia innescando l’elettrolisi su di esso. Per prevenire l’avvio indesiderato del processo elettrolitico sugli X elettrodi multipli collegati al polo opposto ad E1, sarebbe opportuno mantenere un margine di sicurezza e quindi il generatore dovrebbe applicare ai poli una differenza di potenziale V pari a Z*X volte la d.d.p. di base, dove Z è compreso tra 1/X e 0,85.
In questo modo, la d.d.p. applicata sarà sempre pari ad almeno la d.d.p. di base sufficiente ad avere l’elettrolisi sull’elettrodo singolo E1 collegato al primo polo, ma non sarà superiore all’85% della d.d.p. necessaria ad avere l’elettrolisi sugli X elettrodi collegati al secondo polo, come illustrato nella precedente sezione 4.
6 - Sistema per l’abbattimento di popolazioni batteriche mediante la propagazione di cariche elettriche nel liquido con una cella elettrolitica in corrente alternata
Attualmente l’abbattimento della carica batterica presente in fluidi a base acquosa si ottiene per via termica, chimica o meccanica e ciascuna di queste metodologie ha caratteristiche e limitazioni che ne restringono l’utilizzo a determinati settori applicativi. L’abbattimento batterico per via chimica o termica è largamente utilizzato industrialmente ma induce nel liquido trattato modificazioni importanti e comunque tali da modificarne le qualità organolettiche. L’abbattimento meccanico, qualora possibile, è controindicato a livello industriale per la scarsa quantità di fluido che è in grado di trattare.
Ad oggi non esistono sistemi industriali per eliminare la componente batterica dai fluidi tramite sola energia elettrica, perché all’atto pratico l’energia elettrica viene usata o per alimentare lampade UV o per generare trasformazioni elettrolitiche sugli elementi conduttivi in modo che questi producano dei composti chimici che poi vadano a loro volta ad agire sui batteri.
Un metodo sperimentale per abbattere i microorganismi nei liquidi tramite sola energia elettrica è denominato PEF (Pulsed Electric Field) ed il suo principio di funzionamento si fonda sulla teoria della “elettroporazione definitiva”. Tale teoria suppone che mettendo una cellula tra due elettrodi e sottoponendola ad un campo elettrico sufficientemente intenso si può indurre nella sua membrana una “porosità” crescente proporzionale al campo elettrico applicato, finché ad un certo punto la porosità della membrana è tale che essa si rompe determinando la morte della cellula.
L’elettroporazione è una teoria proposta nel 1967 per dare una spiegazione ad uno dei metodi normalmente usati nei laboratori di ricerca microbiologica per inserire del materiale biologico all’interno di cellule: un materiale esterno alla cellula per potersi introdurre in essa deve per forza attraversarne la membrana, che quindi deve essere diventata abbastanza “porosa” per lasciar passare il materiale. Gli apparati PEF portano la teoria della elettroporazione alle conseguenze estreme, ipotizzando che aumentando il campo elettrico tra gli elettrodi con tensioni fino a decine di migliaia di Volt sia possibile rompere la membrana causando la morte della cellula.
Le prove in laboratorio hanno dato risultati positivi incoraggianti circa l’abbattimento batterico ma il metodo soffre, tra gli altri, di due gravi problemi tra loro interconnessi: a) la vita utile dei componenti elettronici necessari al funzionamento è minima rispetto alle necessità del trattamento; b) per ottenere l’elettroporazione si provoca elettrolisi nel liquido. Questi due problemi sono tra loro profondamente legati, per cui se si tenta di ridurre l’elettrolisi al minimo utilizzando apparati HIPEF (High Intensity Pulsed Electric Field) ne risulta un ulteriore aumento della degradazione dei componenti elettronici, e viceversa se si tenta di allungare la vita utile dei componenti elettronici riducendo il campo elettrico si ottiene un aumento dell’elettrolisi, mentre se si separa fisicamente il liquido dagli elettrodi non si ha elettrolisi ma non si ottiene alcun abbattimento batterico.
Si deve poi notare che esiste un limite importante all’utilizzo di queste metodologie, poiché per creare il campo elettrico tra gli elettrodi questi devono necessariamente essere posti a distanze molto vicine tra loro, dell’ordine dei millimetri, e questa situazione comporta problemi per l’uso industriale del metodo in quanto pone limiti elevatissimi alle portate del liquido da trattare. Il vantaggio di poter trattare un fluido alimentare come succhi o latte è però talmente evidente da giustificare le continue ricerche del mondo scientifico sulla metodologia PEF.
Numerose prove sperimentali, sia svolte direttamente dall’inventore che riportate dalla letteratura scientifica, dimostrano però che pur aumentando a dismisura il campo elettrico tra gli elettrodi si ottiene solo un limitato abbattimento dei batteri presenti tra gli elettrodi. Questa evidenza sperimentale si scontra con quanto affermato dalla teoria dell’elettroporazione, i cui studi peraltro hanno fornito svariate ipotesi, ma nessuna mai definitiva, sulla modalità con cui il campo elettrico agisce sulla membrana cellulare per renderla “porosa”.
Prendendo atto delle osservazioni sperimentali svolte e pubblicate in passato, si deve concludere che sebbene il campo elettrico può forse rendere “porosa” la membrana di una cellula esso non è invece in grado di creare quella sollecitazione “meccanica” necessaria a farla rompere e ottenere così un abbattimento totale della popolazione batterica. Si deve poi tenere in considerazione che per creare il campo elettrico a cui sottoporre la cellula si deve usare quella che è a tutti gli effetti una cella elettrolitica la quale, in misura minore o maggiore, necessariamente provoca elettrolisi.
Quindi, dal punto di vista della logica, non sarebbe corretto affermare che il campo elettrico è la causa della porosità/rottura della membrana se al contempo è sempre presente un’altra possibile causa, ossia l’elettrolisi, dato che le due possibili cause sono inscindibili tra loro. Per verificare se il campo elettrico da solo è in grado di uccidere le cellule batteriche si deve impedire l’elettrolisi, e per questo l’inventore ha ripetuto direttamente degli esperimenti già pubblicati in letteratura in cui gli elettrodi sono isolati dal liquido da un sottilissimo strato di silicone. Pur applicando tra gli elettrodi tensioni superiori a quelle degli esperimenti pubblicati, fino a 50.000 Volt, l’abbattimento cellulare ottenuto dall’inventore è stato come quello riportato in letteratura, cioè nullo.
L’elettrolisi quindi è indispensabile per ottenere una riduzione della carica batterica, e alla luce delle considerazioni qui esposte sulla proprietà dell’acqua di trasportare cariche elettriche, si deve ritenere che una cellula possa subire danni per la presenza e lo spostamento nel liquido delle cariche positive generate dell’elettrolisi più che per la reazione elettrolitica. Infatti la membrana cellulare ha di per sé una struttura porosa e dinamica che regola anche gli scambi di acqua e di altre molecole tra l'interno e l'esterno con un funzionamento indubbiamente complesso e per molti versi ancora ignoto.
Non sembra irragionevole pensare che i delicati equilibri di funzionamento della membrana cellulare quali potenziale di riposo, pompe protoniche, livelli di osmosi, attivatori ionici e quant’altro, possano essere “messi in crisi” dalla costante presenza di numerose cariche elettriche positive che si concentrano all’esterno della membrana e tendono a propagarsi anche al suo interno. Le esatte motivazioni per cui le cellule che subiscono questo trattamento debbano morire non sono note all’inventore, ma si è riscontrato, con prove dirette utilizzando un dispositivo come quello illustrato di seguito, che un trattamento di 90 secondi è in grado di provocare l’abbattimento del 99,9% del batterio E. Coli.
Il dispositivo oggetto della presente invenzione si propone quindi di diffondere una elevata quantità di cariche elettriche positive in una soluzione ionica a base acquosa popolata da batteri, senza produrre elettrolisi agli elettrodi, in modo tale che le cariche propagate nel liquido provochino la morte della popolazione batterica.
Si consideri la cella elettrolitica di Fig.8 composta da un contenitore isolante riempito di una soluzione ionica acquosa in cui sono immersi da una parte un elettrodo E1 e dall’altra parte due elettrodi distinti E2 ed E3, equidistanti da E1, essendo tutti gli elettrodi sostanzialmente identici per forma, materiale e dimensioni. Si colleghi l’elettrodo E1 ad un polo di un generatore di tensione alternata e gli elettrodi E2 ed E3 all’altro polo.
Si applichi ora, con una frequenza ≥ 1kHz, una tensione alternata (ad es. a onda quadra) di valore molto superiore al valore di soglia che si avrebbe se fossero presenti nel contenitore solo gli elettrodi E1 ed E2 alimentati da una batteria, e si aumenti la tensione e proporzionalmente anche la frequenza fino ad ottenere, ad esempio, una corrente di 1 Ampere. In queste condizioni, si verifica immediatamente che non si ha elettrolisi ma si ha passaggio di corrente tra gli elettrodi, come avviene nei conduttimetri usati per misurare la conducibilità elettrica specifica di un liquido.
La corrente ha una componente minima o tendente a zero e il contributo alla corrente totale è dato quasi esclusivamente da
Il motivo è il seguente: durante il primo ciclo della tensione alternata l’elettrodo E1 risulta positivo mentre E2 ed E3 risultano negativi, quindi agli elettrodi si osserva quanto già illustrato in precedenza: E1 diventa generatore di molecole che propagandosi per urti attraverso tutto il liquido raggiungono E2 ed E3 dove vengono neutralizzate. Nel momento dell’avvio, E1 crea il massimo campo elettrico nei suoi dintorni iniziando così ad attirare gli ioni negativi che però, come già detto, si devono spostare nel liquido e pertanto hanno una velocità limitata.
Nel tempo che gli ioni negativi impiegano per avvicinarsi ad E1 e prima che riescano a toccarlo, sull’elettrodo E1 si inverte il ciclo di tensione per cui E1 diventa negativo e inizia a respingere gli ioni negativi ed attirare quelli positivi. Analogamente, mentre gli ioni positivi si avvicinano ad E1 la tensione si inverte nuovamente e si ritorna alla condizione precedente.
Per gli elettrodi E2 ed E3 valgono ovviamente gli stessi ragionamenti, ed alla luce di quanto illustrato nella precedente sezione 4 si dimostra che il valore della corrente è maggiore usando i due elettrodi E2 ed E3 piuttosto che con un elettrodo unico U della medesima dimensione di E1 o di dimensioni doppie rispetto ad E1.
In questo modo, in tutto il liquido, sono sempre presenti molecole ed il loro numero aumenta in proporzione alla corrente mentre non si attivano le reazioni elettrochimiche sugli elettrodi perché gli ioni sono respinti continuamente dall’alternarsi del campo elettrico. Questo comportamento delle correnti alternate, usato inconsapevolmente per la realizzazione dei conduttimetri disponibili sul mercato che operano a frequenze > 300 Hz, costituisce la conferma diretta e inconfutabile che la circolazione di corrente non è dovuta solo alle trasformazioni ioniche sugli elettrodi.
Questo metodo di abbattimento costituisce una radicale innovazione rispetto all’attuale stato dell’arte rispetto al quale presenta vari notevoli vantaggi:
- gli elettrodi non sono vincolati a distanze di pochi millimetri tra loro e possono essere distanziati secondo le esigenze del dispositivo industriale di processo, così da consentire il trattamento continuo di grandi quantità di liquido;
- è possibile trattare tutto il liquido in cui sono immersi gli elettrodi e non solo il liquido tra gli elettrodi;
- non è richiesta la generazione di campi elettrici intensi tra gli elettrodi e quindi il dispositivo può essere realizzato con componenti elettronici di durata compatibile con le esigenze industriali del trattamento;
- non genera elettrolisi agli elettrodi mantenendo il liquido inalterato.
Queste caratteristiche rendono il dispositivo utilizzabile per la sanificazione delle acque, dove ad esempio le lampade UV non possono agire per la torbidità dell’acqua, ed in ambito alimentare per l’abbattimento della carica batterica in acque, succhi, latte, etc. in alternativa alla pastorizzazione.
- Sistema battericida per la conservazione di liquidi mediante la permanenza di cariche elettriche generate da una cella elettrolitica in corrente alternata Se durante il trattamento battericida illustrato al punto precedente si raccoglie in un contenitore isolante ermeticamente chiuso (ed eventualmente sottovuoto) una parte del liquido sottoposto alla propagazione di cariche elettriche, si catturano nel contenitore anche le cariche positive che sono state prodotte in eccesso ed accumulate nel liquido stesso che funge da serbatoio, come spiegato alla fine della precedente sezione 3, e queste cariche possono essere conservate indefinitamente.
Dal momento che queste cariche hanno prodotto l’abbattimento delle popolazioni batteriche, è altresì evidente che la loro permanenza nel liquido sarà in grado di ostacolare anche la successiva proliferazione dei pochi batteri eventualmente sopravvissuti e quindi di assicurare la conservazione inalterata del liquido nel tempo. Chiaramente, l’effetto battericida è funzione della quantità di cariche presenti nel liquido che comunque, una volta esposto all’aria, perde in pochi secondi la gran parte delle cariche.
I vantaggi di un tale sistema di conservazione applicato ai liquidi alimentari quali succhi, latte e simili sono evidenti e numerosi: si dota il liquido di una proprietà autobattericida utilizzando un sistema non inquinante, senza additivi chimici, non dannoso per l’organismo e che non altera sapore e gusto del liquido.
Nel caso del latte fresco sarebbe possibile commercializzarlo senza la necessità di conservazione nel reparto frigo, e si avrebbero prodotti caseari finali di miglior qualità se questa nuova modalità di conservazione fosse applicata sin dall’origine della filiera alimentare. Infatti, il modo con cui il primo produttore nella stalla raccoglie il latte e lo mantiene prima dell’invio al consorzio/stabilimento caseario costituisce l’elemento critico in grado di determinare la qualità del prodotto finale.

Claims (11)

  1. RIVENDICAZIONI 1. Cella elettrolitica comprendente: - un contenitore di materiale non conduttivo idoneo a contenere un liquido formato da acqua e composti ionici, - un primo polo ed un secondo polo, - due elettrodi (E1, E2) inseriti all’interno di detto contenitore e collegati rispettivamente a detto primo polo ed a detto secondo polo, e - un generatore in grado di generare una differenza di potenziale (V) tra detti primo e secondo polo pari alla differenza di potenziale necessaria ad avviare un processo di elettrolisi, caratterizzata dal fatto di comprendere inoltre almeno un terzo elettrodo (E3) anch’esso inserito all’interno del contenitore e collegato al secondo polo, cosicché a detto secondo polo siano collegati X elettrodi disposti equidistanti dal singolo elettrodo (E1) collegato al primo polo, con X≥2, detti X elettrodi essendo sostanzialmente identici tra loro per forma, dimensioni e materiale, e dal fatto che detto generatore è in grado di generare una differenza di potenziale (V) almeno pari a X volte detta differenza di potenziale necessaria ad avviare un processo di elettrolisi se nel contenitore fossero presenti solo i primi due elettrodi (E1, E2).
  2. 2. Cella elettrolitica secondo la rivendicazione 1, caratterizzato dal fatto che l’elettrodo singolo (E1) collegato al primo polo è sostanzialmente identico agli altri X elettrodi collegati al secondo polo.
  3. 3. Cella elettrolitica secondo la rivendicazione 1 o 2, caratterizzata dal fatto che il generatore è un generatore di tensione continua.
  4. 4. Cella elettrolitica secondo la rivendicazione 1 o 2, caratterizzata dal fatto che il generatore è un generatore di tensione alternata che opera ad una frequenza ≥1 kHz e con una forma d’onda scelta preferibilmente tra quadra, sinusoidale, triangolare ed a dente di sega.
  5. 5. Metodo per l’utilizzo di una cella elettrolitica secondo la rivendicazione 3, caratterizzato dal fatto che il generatore genera una differenza di potenziale (V) almeno pari ad X volte la differenza di potenziale necessaria ad avviare un processo di elettrolisi se nel contenitore fossero presenti solo i primi due elettrodi (E1, E2).
  6. 6. Metodo per l’utilizzo di una cella elettrolitica secondo la rivendicazione 3, caratterizzato dal fatto che il generatore genera una differenza di potenziale (V) pari a X*Z volte la differenza di potenziale necessaria ad avviare un processo di elettrolisi se nel contenitore fossero presenti solo i primi due elettrodi (E1, E2), dove Z è compreso tra 1/X e 0,85.
  7. 7. Metodo per l’utilizzo di una cella elettrolitica secondo la rivendicazione 4, caratterizzato dal fatto che dopo l’applicazione della differenza di potenziale (V) una parte del liquido viene raccolta in un contenitore isolante ermeticamente chiuso ed eventualmente sottovuoto.
  8. 8. Metodo per l’utilizzo di una cella elettrolitica secondo la rivendicazione 4, caratterizzato dal fatto che l’applicazione della differenza di potenziale (V) è intermittente e la frequenza può essere variata tra un ciclo di applicazione e l’altro.
  9. 9. Metodo per l’utilizzo di una cella elettrolitica secondo la rivendicazione 4, caratterizzato dal fatto che il generatore di tensione alternata genera una differenza di potenziale (V) pari in valore assoluto a Y volte la differenza di potenziale che sarebbe prodotta da un generatore di tensione continua qualora fosse utilizzato per avviare un processo di elettrolisi se nel contenitore fossero presenti solo i primi due elettrodi (E1, E2), tale differenza di potenziale (V) essendo applicata ad una frequenza ≥Y kHz, dove Y ≥ X.
  10. 10. Metodo secondo la rivendicazione 9, caratterizzato dal fatto che dopo l’applicazione della differenza di potenziale (V) una parte del liquido viene raccolta in un contenitore isolante ermeticamente chiuso ed eventualmente sottovuoto.
  11. 11. Metodo secondo la rivendicazione 9 o 10, caratterizzato dal fatto che l’applicazione della differenza di potenziale (V) è intermittente e la frequenza può essere variata tra un ciclo di applicazione e l’altro.
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