IT201600082653A1 - Metodo e sistema per la generazione additiva di oggetti - Google Patents

Metodo e sistema per la generazione additiva di oggetti

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IT201600082653A1
IT201600082653A1 IT102016000082653A IT201600082653A IT201600082653A1 IT 201600082653 A1 IT201600082653 A1 IT 201600082653A1 IT 102016000082653 A IT102016000082653 A IT 102016000082653A IT 201600082653 A IT201600082653 A IT 201600082653A IT 201600082653 A1 IT201600082653 A1 IT 201600082653A1
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IT102016000082653A
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Francesco Rosa
Serena Graziosi
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Milano Politecnico
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Description

“METODO E SISTEMA PER LA GENERAZIONE ADDITIVA DI OGGETTI”.
DESCRIZIONE
La presente invenzione si riferisce ad un metodo e ad un sistema per la generazione additi va di oggetti.
Con riferimento alle tecnologie di produzione additiva, è nota la tecnica cosiddetta di “slicing sul piano”, la quale prevede la suddivisione di un oggetto in layer paralleli aventi lo stesso o differenti spessori in direzione “Z” ovvero, in direzione perpendicolare al piano di stampa.
In primo luogo, si deve osservare che il materiale degli oggetti realizzati mediante tale tecnica risulta essere non isotropo. Le proprietà del materiale nel piano del singolo layer sono infatti diverse da quelle misurate in direzione ortogonale a tale piano. Da ciò consegue una prima limitazione di tale tecnica: non consente di controllare completamente le proprietà del materiale in relazione alle esigenze funzionali dell’ oggetto, in quanto la scelta della direzione di stampa è generalmente basata su considerazioni inerenti il processo di stampa (riduzione tempi e costi) e sulle capacità della tecnologia additiva stessa (come, ad esempio, l’esigenza di ridurre il più possibile la presenza di parti a sbalzo).
In secondo luogo, tale tecnica, sebbene relativamente semplice da implementare e ampiamente diffusa anche a livello commerciale, determina la creazione di un oggetto la cui superficie esterna è caratterizzata da scalettature.
Per ovviare a tale inconveniente è quindi necessaria una successiva fase di finitura della superficie in oggetto al fine di eliminare la scalettatura. Tale processo di finitura comporta però un aggravio dei tempi e dei costi necessari per ottenere un oggetto rispondente alle esigenze tecniche ed estetiche.
Al fine di ridurre il più possibile sia il danno “estetico” e/o funzionale generato dalla presenza di tali scalini, sia la necessità di ulteriori lavorazioni, sono stati sviluppati degli algoritmi definiti di “slicing adattativo”, ovvero degli algoritmi in grado di generare automaticamente dei layer aventi spessore ridotti in prossimità di dettagli di particolare interesse e/o di variazioni significative della curvatura della superficie dell’ oggetto.
Tuttavia, sebbene queste tecniche siano efficaci nel ridurre l’impatto estetico e funzionale della “scalettatura”, vincolano comunque l’orientamento del materiale ed inoltre potrebbero determinare un aumento del numero di layer da stampare.
Considerati i limiti di tali tecniche, il cui sviluppo ed ottimizzazione non si è comunque fermato, il mondo della ricerca ha iniziato anche ad esplorare lo sviluppo di tecniche di slicing basate su layer non planare.
In particolare, è noto il sempre maggiore interesse verso lo sviluppo di tecniche di slicing basate su layer curvo.
Nello specifico, è noto che per lo sviluppo di una tecnica di slicing basata su layer curvi occorre svolgere una serie di considerazioni, tra le quali: come definire la geometria del layer curvo in relazione alla geometria dell’oggetto da stampare e/o in relazione ad altre finalità di natura tecnica e funzionale (come, ad esempio, la generazione di oggetti con particolari proprietà meccaniche in specifiche direzioni); quale spessore del layer adottare per generare l’oggetto; come garantire la continuità tra un layer ed il successivo.
Relativamente allo spessore del layer, è noto che la maggior parte delle tecniche di slicing curvo di tipo convenzionale prevede la generazione di layer caratterizzati da uno spessore costante. Tale aspetto costituisce un limite considerevole di tali tecniche, in quanto la possibilità di generare layer curvi aventi uno spessore variabile potrebbe aggiungere un ulteriore grado di libertà alla progettazione delle caratteristiche interne ed esterne del materiale.
Inoltre, la maggior parte delle tecniche di slicing curvo di tipo noto utilizza comunemente una superficie di riferimento come punto di partenza per la definizione della geometria del layer curvo.
La maggior parte delle tecniche di slicing curvo fanno inoltre riferimento alla tecnologia additiva di deposizione a filamento (FDM - Fused Deposition Modelling).
In generale, le tecniche di slicing che usano la geometria solida tassellata come input di partenza ovvero, un modello digitale in formato STL (STereo Lithography interface format) del solido da generare, presentano inoltre il limite che le superfici curve sono approssimate da una serie di tratti piani. In tale formato, infatti, il solido è rappresentato in modo approssimato mediante faccette piane triangolari e relative normali.
Al fine di individuare correttamente l’attuale stato dell’arte, sono citati e brevemente descritti di seguito alcuni documenti che fanno riferimento a tecniche di tipo noto.
Il documento “Extruder path generation for Curved Layer Fused Deposition Modeling” (Chakraborty, D., Aneesh Reddy, B., Roy Choudhury, A. (2008), CAD Computer Aided Design, 40 (2), pp. 235-243) descrive una tecnica che si basa sul concetto di deposizione del materiale lungo traiettorie curvilinee e propone un algoritmo per la deposizione del materiale su layer curvi studiato sia per garantire adeguata sovrapposizione ed aderenza tra i vari filamenti di materiale, sia per ottenere una miglior corrispondenza tra oggetto stampato e modello digitale.
Lo studio descritto nel documento “An experimental demonstration of effective Curved Layer Fused Filament Fabrication utilising a parallel deposition robot” (Alien, R.J.A., Trask, R.S. (2015), Additive Manufacturing, 8, pp. 78-87) propone uno sviluppo e la relativa validazione sperimentale della tecnica di deposizione lungo traiettorie curvilinee mediante l’impiego di una macchina commerciale di tipo “delta” opportunamente modificata. La tecnica in questione prevede la stampa della struttura che servirà come supporto per la deposizione del layer curvo utilizzando la procedura classica di slicing planare. Gli autori mostrano inoltre come tale tecnica possa essere anche utilizzata per la creazione di strutture a sandwich. La tecnica proposta in tale studio fornisce anche indicazioni relativamente alla fase di creazione dei supporti. Tale tecnica è però applicabile solamente a solidi suddivisibili in sotto-domini rettangolari.
Il documento “Curved layer adaptive slicing (CLAS) for fused deposition modelling” (Huang, B., Singamneni, S.B. (2015), Rapid Prototyping Journal, 21 (4), pp. 354-367) descrive un approccio ibrido che integra le tecniche di slicing adattativo, ovvero in grado di consentire la generazione di layer planari aventi spessori variabili, e la tecnica di deposizione lungo traiettorie curvilinee. Sembra però che la generazione dei layer curvi avvenga principalmente come “offset” di una superficie di riferimento. Il documento “Application of curved layer manufacturing for preservation of randomly located minute criticai surface features in rapid prototyping " (Patel, Y., Kshattriya, A., Singamneni, S.B., Choudhury, A.R. (2015), Rapid Prototyping Journal, 21 (6), pp. 725-734) descrive una tecnica di slicing curvo che permette di tenere in considerazione le criticità presenti nel solido da stampare attraverso Γ individuazione di punti definiti come fondamentali e/o critici. Inoltre, tale tecnica si basa sulla creazione di layer a spessore costante seppur adattativi, quindi ottenuti come offset di una superficie assunta come riferimento.
La soluzione descritta nel documento US 2015/0266244 Al prevede la realizzazione di un cuore interno mediante il metodo tradizionale di slicing su piani. Tale porzione interna viene successivamente rivestita andando a deporre il materiale seguendo la superfice curva desiderata. Scopo di questa operazione è, da un lato, migliorare la finitura estetica e, dall’altro, stabilire un legame più stretto tra i diversi layer.
Tale documento mostra inoltre la realizzazione di layer interni genericamente curvi. Tuttavia, non sono fomiti dettagli su come sia possibile definire tali superfici.
Il compito principale della presente invenzione è escogitare un metodo ed un sistema per la generazione additiva di oggetti che consenta la creazione di layer curvi la cui forma e spessore può variare con continuità da un layer all’altro, adattandosi allo specifico caso.
Altro scopo del presente trovato è quello di escogitare un metodo ed un sistema per la generazione additiva di oggetti che consenta di superare i menzionati inconvenienti della tecnica nota nell’ ambito di una soluzione semplice, razionale, di facile ed efficace impiego e dal costo contenuto. Gli scopi sopra esposti sono raggiunti dal presente metodo per la generazione additiva di oggetti secondo la rivendicazione 1.
Gli scopi sopra esposti sono inoltre raggiunti dal presente sistema per la generazione additiva di oggetti secondo la rivendicazione 17.
Altre caratteristiche e vantaggi della presente invenzione risulteranno maggiormente evidenti dalla descrizione di una forma di esecuzione preferita, ma non esclusiva, di un metodo e di un sistema per la generazione additiva di oggetti, illustrata a titolo indicativo, ma non limitativo, nelle unite tavole di disegni in cui:
- la figura 1 illustra schematicamente il metodo secondo il trovato; - le figure dalla 2 alla 14 illustrano una prima fase del metodo secondo il trovato;
- le figure dalla 15 alla 24 illustrano una seconda fase del metodo secondo il trovato;
- le figure dalla 25 alla 39 illustrano una terza fase del metodo secondo il trovato.
Con particolare riferimento alla figura 1, si è indicato globalmente con M un metodo per la generazione additiva di oggetti.
In particolare, il metodo M secondo il trovato è impiegabile per qualsiasi tecnologia per la produzione additiva (Additive Manufacturing) sia che quest 'ultima preveda la deposizione del materiale, con qualsiasi tecnologia, sia che si basi sulla solidificazione di strati di materiale aH’intemo di un bagno o sinterizzazione/fusione all’intemo di un letto di polveri, secondo una superficie qualsiasi, purché questa possa variare durante il processo di deposizione.
Come illustrato schematicamente in figura 1, il metodo M secondo il trovato comprende le seguenti fasi:
- una prima fase PH1 di preparazione di un dominio fisico DF e, eventualmente, di più sotto-domini fisici SDF;
- una seconda fase PH2 di slicing del dominio fisico DF o di ciascun sotto-dominio fisico SDF preparato durante la prima fase PH1;
- una terza fase PH3 di definizione delle istruzioni macchina per la stampa del dominio fisico DF o di ciascun sotto-dominio fisico SDF. In particolare, la prima fase PH1 consiste nella preparazione del modello tridimensionale dell’ oggetto che si desidera stampare.
Di seguito si farà riferimento a tale modello chiamandolo dominio fisico DF. Per estensione, saranno definite fisiche le quantità (ad esempio le coordinate) che si riferiscono allo spazio in cui è definito il dominio fisico DF.
Si precisa che la frontiera di tale dominio fisico può essere definita tanto da superfici continue (ossia, ad esempio, quelle definite all’interno di un sistema CAD), quanto tassellate (ossia definite, ad esempio, mediante formato STL).
I passi che caratterizzano tale prima fase PH1 del metodo M sono discussi a seguire e sono illustrati schematicamente in figura 2.
La prima fase PH1 comprende un passo ST1.1 di selezione dell’ orientamento del dominio fisico DF rispetto all’asse di stampa.
In particolare, tale asse di stampa è definito secondo le regole di riferimento per la tecnologia selezionata opportunamente ampliate alla luce del metodo M trovato, e coincide, in genere, con l’asse Z della macchina utilizzata per la stampa.
Essendo il metodo M secondo il trovato relativamente flessibile, non è necessario scegliere una particolare direzione normale tra le infinite che è possibile definire per ciascuna superficie descritta od introdotta nel seguito. Tale libertà può quindi essere sfruttata per ottimizzare altri aspetti della stampa, tra i quali, ad esempio: la riduzione dei supporti o del tempo di stampa; la minimizzazione della scalettatura su altre superfici; la riduzione del rischio di contatto tra testina (o altre parti della macchina) e porzioni già stampate dell’oggetto.
Scelta la direzione di stampa (passo ST1.1), se necessario (passo STI. 2) il metodo M prevede eventualmente un passo STI. 3 di definizione dei supporti necessari.
Tale definizione dei supporti può essere effettuata applicando le procedure e le indicazioni note in letteratura, opportunamente ampliate alla luce del metodo M descritto, e variabili in relazione alla tecnologia di stampa ed al materiale che si intende utilizzare per la realizzazione dell’oggetto.
Nelle figure dalla 6 alla 10 è illustrato a titolo esemplificativo come il metodo M possa essere utilizzato sia per stampare il dominio fisico DF, sia per la stampa del supporto del dominio fisico stesso.
In particolare, in figura 6 è illustrato schematicamente un possibile oggetto da stampare. In figura 7 è invece illustrato un possibile esempio di slicing adattativo dell’ oggetto con approccio convenzionale eseguito su piani (stato dell’arte).
Si può notare, inoltre, come il metodo M introduca una nuova tipologia di supporto non necessariamente funzionale al sostegno di parti a sbalzo (figura 10), ma finalizzato a conferire una migliore finitura estetica e/o prestazione funzionale al manufatto.
Vantaggiosamente, come illustrato in figura 2, il metodo M consente quindi di scegliere se suddividere il dominio fisico DF in adeguati sottodomini fisici SDF (passo STI.4), ossia in porzioni dello stesso in cui definire indipendentemente i layer. Tale suddivisione potrebbe inoltre facilitare l’assegnazione di materiali differenti in diverse zone del manufatto pur preservando le capacità di operare in tal senso della tecnologia di stampa adottata.
Nel caso in cui il dominio fisico DF sia suddiviso in sottodomini fisici SDF, il metodo M prevede quindi un passo STI. 5 di suddivisione del dominio fisico DF in una pluralità di sotto-domini fisici SDF.
Ad esempio, come illustrato a titolo puramente esemplificativo in figura 4, il dominio fisico DF può essere suddiviso in un primo sotto-dominio fisico SDFded in un secondo sotto-dominio fisico SDFd+i.
Per semplicità, nella presente descrizione si è ipotizzato che la suddivisione in differenti sotto-domini fisici rispetti il requisito che ogni superficie facente parte della frontiera di un generico sotto-dominio fisico SDF non sia a contatto con più di un altro sotto-dominio se non attraverso uno spigolo.
A tal proposito, si precisa che nella presente trattazione col termine “spigolo” si intende la curva intersezione tra due superfici SC o SE adiacenti (tali superfici SC e SE sono definite in seguito).
Si precisa, tuttavia, che il metodo M secondo il trovato può essere applicato anche nel caso in cui tale requisito non sia rispettato.
A titolo esemplificativo, in figura 11 è illustrato un possibile dominio fisico DF, mentre nelle figure 12, 13 e 14 sono illustrate possibili suddivisioni in sotto-domini fisici.
In Figura 12, ad esempio, la suddivisione non rispetta il suddetto requisito perché la superficie SC (appartenente al sotto-dominio SDF1) che separa il primo sotto-dominio fisico SDF1 di sinistra dagli altri due sotto-domini fisici SDF2 e SDF3 è a contatto con due superfici appartenenti alla frontiera di due sotto-domini fisici SDF2, SDF3 diversi.
Nelle figure 13 e 14, invece, le suddivisioni rispettano il requisito.
In particolare, in figura 14 tale requisito è rispettato in quanto tutti i sottodomini fisici SDF3-SDF7 sono a contatto tra loro unicamente attraverso un unico spigolo, indicato con il riferimento S in figura.
La prima fase PH1 del metodo M prevede, a seconda dell’esito dello step STI.4, di definire una coppia di superfici principali SPI, SP2 per ciascun dominio fisico DF (passo STI. 9) o SDF (passo STI. 6), ossia di quelle superfici che si intende utilizzare come guida per la definizione dei layer. I tipici criteri per Γ identificazione delle superfici principali SPI, SP2 comprendono, ad esempio, la necessità di orientare le fibre del materiale per finalità strutturali, oppure Γ identificare quelle superfici sulle quali si desidera non siano presenti scalini per motivi sia estetici che funzionali. Non si esclude, tuttavia, Γ utilizzo di ulteriori possibili criteri di scelta.
La scelta di tali superfici principali SPI ed SP2 è completamente libera, e può essere sfruttata per meglio gestire la distribuzione dei layer nel sottodominio fisico SDF o nell’ intero dominio DF.
Si deve però osservare che tale scelta non può prescindere dalle ovvie necessità di poter aggiungere materiale sulle superfici che si andranno a definire e che tale materiale deve poter aderire a quello già deposto, senza subire spostamenti significativi a causa del peso proprio.
Tali superfici principali SPI, SP2 possono essere porzioni della frontiera del dominio fisico DF o del singolo SDF, e in tal caso si chiamano superfici limite SL1 e SL2. Ad esempio, in figura 5 è illustrato un sottodominio SDFde le rispettive prima superficie limite SL1 e seconda superficie limite SL2 individuate secondo il passo STI. 6.
Più in generale, le superfici principali possono essere definite ad hoc dall’utente, come illustrato nell’esempio di figura 29.
In particolare, in figura 29 è riportato un esempio di applicazione del metodo M in cui la prima superficie principale SPI non è una porzione della frontiera del dominio fisico DF (delimitato in figura 29 dalla linea continua), bensì una superficie esterna opportunamente definita allo scopo di orientare i layer che saranno generati all’intemo del dominio fisico stesso. La seconda superficie principale SP2 in questo caso è anche considerabile come superficie limite SL2, poiché coincide con la porzione “inferiore” della frontiera del DF nell’ orientamento di figura. In altre parole, in questo caso, il metodo M è applicato sul dominio esteso delimitato dalla porzione “inferiore” della frontiera del dominio fisico DF (tratto continuo in figura 29) e da superfici virtuali (porzione definita dalle linee di tipo mista a un tratto breve in figura 29), che contiene interamente il dominio fisico DF
Un sotto-dominio fisico SDF può quindi anche presentarsi come un volume delimitato da una prima superficie limite SL1 e da una seconda superficie limite SL2, oltre che, eventualmente, da altre porzioni di superfici che le collegano (figura 3).
Senza voler con ciò limitare la generalità dell’ approccio, ma per maggiore chiarezza e semplicità espositiva, nel seguito si farà in genere riferimento ad una forma di attuazione preferita, in cui entrambe le superfici principali SPI e SP2 appartengono alla frontiera di un dominio fisico DF o di un sotto-dominio fisico SDF, e quindi saranno entrambe definite come superfici limite SL1 ed SL2.
Non si esclude, tuttavia, l’applicazione del metodo M con superfici principali SPI e SP2 differenti.
La flessibilità del metodo M lo rende inoltre applicabile anche nel caso in cui le superfici limite SL1 e SL2 siano le uniche due superfici a delimitare completamente il sotto-dominio fisico SDF (ad esempio quando sono entrambe due calotte sferiche).
Nel caso in cui al passo STI.4 si sia deciso di suddividere il dominio DF in una pluralità di sotto-domini SDF, dopo il passo STI. 5, il metodo M prevede la ripetizione dei passi STI. 6, STI.7 e STI. 8 per ciascuno dei sotto-domini fisici SDF individuati (per ciascun SDFd, con d = 1, ... , D). Nei passi STI.7 ed STI. 8 si individuano:
le superfici di confine SC (passo STI.7), ossia le altre porzioni della frontiera del sotto-dominio fisico SDF che lo separano da altri sottodomini fisici SDF, e che non appartengono né alla prima superficie limite SL1, né alla seconda superficie limite SL2, qualora presenti. Due sotto-domini fisici SDF, infatti, possono essere a contatto anche attraverso la prima superficie limite SL1 o la seconda superficie limite SL2, se esistenti;
le superfici esterne SE del sotto-dominio fisico SDF (passo STI. 8), ovvero le porzioni di frontiera di ciascun sotto-dominio fisico SDF che fanno anche parte della frontiera del dominio fisico DF.
In figura 8 è illustrato un primo esempio di applicazione del metodo M in cui la parte inferiore SDF1 ha il solo scopo di supportare la parte superiore SDF 2, corrispondente all’oggetto da realizzare e rappresentato in figura 6. In figura 9 è illustrato un secondo esempio di applicazione del metodo M in cui l’oggetto è suddiviso in due sotto-domini fisici SDF1, SDF2 arbitrari, al fine di mostrare come sia possibile agire sui diversi parametri geometrici per orientare le fibre in relazione a specifiche esigenze.
Si osserva inoltre che i singoli layer curvi sono orientati in modo da risultare normali a ciascuna superficie esterna SE. In questo modo, si ottiene un 'interpolazione più accurata delle superfici esterne SE stesse. In figura 10 è illustrato un terzo esempio in cui sono stati introdotti i supporti nell’ipotesi che la superficie esterna SE1.S non sia self-supportìng o nell’ipotesi in cui il supporto serva a conferire all’oggetto particolari caratteristiche estetiche e/o funzionali. In particolare, si mostra come sia possibile utilizzare il metodo qui descritto per generare supporti e come le superfici limite SL1.S, SL2.S non debbano necessariamente essere a contatto con altri sotto-domini fisici. Le superfici limite SL1.S ed SL2.S sono infatti utilizzate solo per sagomare i layer, mentre sono le superfici esterne SE1.S ed SE2.S ad essere, rispettivamente, a contatto con un altro sotto-dominio fisico (SDF1) e con la tavola porta-pezzo. Tenendo conto della superficie limite SL1.2 data, le altre superfici limite (SL1.1, SL1.S, SL2.S) sono state definite in modo da facilitare la generazione di layer curvi continui e tangenti in corrispondenza della superficie esterna SE1.S. Con riferimento alla figura 2, nel caso in cui non sia prevista la suddivisione del dominio fisico DF in più sotto-domini fisici SDF, la prima fase PH1 del metodo M prevede un passo STI. 9 di individuazione delle porzioni di frontiera del dominio fisico DF che costituiscono la prima superficie principale SPI e la seconda superficie principale SP2 del dominio fisico stesso.
Successivamente, si procede all’ identificazione delle superfici esterne SE del dominio fisico DF (passo STI. 10).
La seconda fase PH2 del metodo M secondo il trovato comprende i passi che portano alla creazione dei layer per il dominio fisico DF o per ciascun sotto-dominio fisico SDF definito, includendo in questi ultimi anche i supporti.
La seconda fase PH2 viene ripetuta per ciascun sotto-dominio fisico SDF che si intende stampare.
Inoltre, si precisa che la descrizione della seconda fase PH2 riportata sotto con riferimento ad un sotto-dominio fisico SDF è del tutto analoga con riferimento ad un unico dominio fisico DF nel caso in cui non vengano effettuate partizioni di quest’ultimo.
I passi che caratterizzano tale seconda fase PH2 del metodo M sono discussi a seguire e illustrati nello schema di Figura 15 e nelle figure dalla 16 alla 24.
Per prima cosa, una volta selezionato il sotto-dominio fisico SDF su cui si intende operare, al passo ST2.1 è definita una famiglia di curve λ<(1>\ι e À.<(2)>dsu entrambe le superfici principali SPI ed SP2. In particolare, è definita una prima famiglia di curve À.<(1)>dsulla prima superficie limite SL1 ed una seconda famiglia di curve A.<(2)>d, sulla seconda superficie limite SL2.
Si precisa che, con particolare riferimento alla presente descrizione, ciascuna famiglia di curve è indicata con la dicitura λ3⁄4, dove i indica l’iesima superficie principale SP e d indica il d-esimo sotto-dominio fisico SDF.
Si precisa, inoltre, che la definizione di tali famiglie di curve costituisce una delle possibili soluzioni atte a consentire la definizione degli elementi geometrici utilizzati nel metodo M. Tuttavia, tali elementi geometrici, in particolare i punti P<(l)>n,m,ded i versori ad essi associati che saranno definiti nel seguito, possono essere definiti in numerosi altri modi.
Tali famiglie di curve À.<(1)>de À.<(2)>ddevono, ciascuna, coprire Finterà superficie su cui sono definite. Pertanto, ogni punto delle superfici limite SL1 e SL2 deve appartenere ad una ed una sola curva della rispettiva famiglia di curve λ<(1)>de λ<(2)>d.
Inoltre, preferibilmente le due famiglie di curve À.<(1)>de À.<(2)>dhanno orientamento e forma simili.
Le curve di tali famiglie λ3⁄4 e λ<3⁄4 non devono autointersecarsi, né due curve di una stessa famiglia λ<(1>\ι o λ<(2)>a devono intersecarsi tra loro.
Le famiglie di curve λ<(1)>de λ<(2)>dpossono essere definite in numerosi modi, ad esempio: sfruttando le curve parametriche usate per descrivere la rispettiva superficie limite SL1 o SL2; seguendo le direzioni delle curvature principali; seguendo particolari conformazioni del dominio fisico DF per conferire particolari proprietà all’oggetto.
Come illustrato a titolo esemplificativo in figura 21, nel caso in cui una superficie limite SL1.1 di un primo sotto-dominio fisico SDF1 abbia una porzione di frontiera A (curva appartenente ad una superficie di confine SC) coincidente con una curva porzione di frontiera di una superficie limite SL1.2 di un secondo sotto-dominio fisico SDF2, allora gli estremi di ciascuna delle curve delle due famiglie di curve λ<(1)>ι e λ<(1)>2(ciascuna appartenente ad una superficie limite SL1 di un differente sotto-dominio SDF1 o SDF2) devono coincidere in corrispondenza della curva A comune alle due superfici limite.
Come illustrato nello schema di figura 15, una volta definite le famiglie di curve À.<(1)>de λ<(2)>d, la seconda fase PH2 prevede un passo ST2.2 di estrazione di un numero finito M di curve À<(1)>mide À<(2)>m,dda ciascuna di tali famiglie. Si precisa che, con particolare riferimento alla presente descrizione, ciascuna curva è indicata con la dicitura dove i indica l’i-esima superficie principale SP, d indica il d-esimo sotto-dominio fisico SDF e m=l,. ..,M indica la m-esima curva della famiglia λ3⁄4.
Al passo ST2.3, su ciascuna delle M coppie di curve delle famiglie λ<(1>\ι e À.<(2)>d sono poi definite Nmcoppie punti P<(1)>n,m,d e P<(2)>n,m,d (in generale, il numero Nmpuò differire per ogni coppia di curve) e coppie di versori normali alle superfici limite SL1 ed SL2 in corrispondenza di tali punti, ad eccezione dei punti appartenenti ad una superficie di confine SC o ad una superficie esterna SE.
Si precisa che, con particolare riferimento alla presente descrizione, ciascuno dei punti è indicato con la dicitura P<(l)>n,m,d, dove i indica l’i-esima superficie principale SP, d indica il d-esimo sotto-dominio fisico SDF, m=l,...,M indica la m-esima curva della famiglia A.<(l)>de n=l,...,Nmindica Γη-esimo punto della curva.
Come illustrato nelle figure 16 e 18, qualora i punti P<(1)>n,m,de/o P<(2)>n,m,dappartengano anche ad una superficie di confine SC od ad una superficie esterna SE, il rispettivo versore normale sarà invece definito dal versore della retta intersezione tra il piano lise tangente alla superficie di confine SC od alla superficie esterna SE nel punto stesso e il piano normale Iljnel medesimo punto alla curva φ intersezione tra la superficie limite (SL1 od SL2) e la superficie di confine SC o la superficie esterna SE. Tale soluzione consente di gestire anche le situazioni in cui le due superfici limite (SL1 od SL2) appartenenti a due sotto-domini fisici SDF adiacenti non abbiano piano tangente comune lungo la loro intersezione con la corrispondente superficie di confine SC.
Terminata l’esecuzione del passo ST2.3 si hanno a disposizione, per ciascun sotto-dominio fisico SDF, ∑,m=i ^mcoppie di punti P<(1)>n,m,de P<(2)>n,m,de ∑m= i_ Nmcoppie di rispettivi versori, ciascuno abbinato ad uno specifico punto.
Note le coppie di punti P<(1)>n,m,de P<(2)>n,m,de di rispettivi versori, al passo ST2.4 il metodo M prevede la costruzione di Nmcurve guida, indicate in figura 18 con il riferimento Yn,m,d, che uniscono le coppie di
punti P<(1)>n,m,de P<(2)>n,m,de che ivi hanno versore tangente coincidente col versore associato a ciascun punto.
Si precisa che, con particolare riferimento alla presente descrizione, ciascuna di tali curve è indicata con la dicitura Yn,m,d, dove n indica Γηesima coppia di punti deirm-esima coppia di curve À<(1)>mide λ<(2)>π1,(ι e d indica il d-esimo sotto-dominio fisico SDF.
Preferibilmente, qualora i punti P<(1)>n,m,de P<(2)>n,m,dappartengano ad una superficie di confine SC è consigliabile che la rispettiva curva guida Yn,m,dappartenga anch’essa alla medesima superficie di confine SC. In tal caso, tale Yn,m,dè condivisa dai due sotto-domini fisici SDF adiacenti. Questo consente di evitare la formazione di discontinuità tra sotto-domini fisici SDF adiacenti.
Qualora i punti P<(1)>n,m,de P<(2)>n,m,dappartengano contemporaneamente a due superfici di confine SC, ossia quando appartengono ad uno “spigolo” di un sotto-dominio fisico SDF, lo “spigolo” stesso costituirà la curva guida
Yn,m,d·
Note le curve guida Yn,m,d, al passo ST2.5 il metodo M prevede Γ individuazione di P(m,n,d) punti, indicati in figura 18 con il riferimento QP,n,m,d, su ciascuna delle curve guida Yn,m,d·
Si precisa che, con particolare riferimento alla presente descrizione, ciascuno dei punti è indicato con la dicitura QP,n,m,d, dove d indica il desimo sotto-dominio fisico SDF, m=l,...,M indica la m-esima coppia di curve delle famiglie λ<(1>\ι e λ<(>3⁄4, n=l ,. . .,N indica gli n-esimi punti delle curve e p=l,. ..,P(m,n,d) indica il p-esimo punto della curva guida Yn,m,d. La numerazione dei punti è tale che Qi,n,m,dc= SL1 e Qp(m,n,d),n,m,dc: SL2. Tali punti sono individuati in modo da garantire tra loro una distanza dp,n,m,dcompatibile con la tecnologia selezionata, ma che potrà comunque essere variata localmente al fine di conferire particolari proprietà locali al manufatto.
Al passo ST2.6, la seconda fase PH2 del metodo M prevede il raggruppamento dei punti Qp,n,m,dcon medesimo “p”, o con altro criterio legato all’ ottimizzazione od alla gestione della stampa, e la generazione delle R superfici ∑r,d, ovvero di layer curvi, per ciascun sotto-dominio fisico SDF, interpolando i punti appartenenti a ciascuno dei gruppi di punti appena definiti.
Si precisa che, con particolare riferimento alla presente descrizione, ciascuna delle superfici è indicata con la dicitura ∑r,d, dove r= 1 , ... ,R indica la r-esima superficie e d indica il d-esimo sotto-dominio fisico SDF.
Tale raggruppamento è illustrato a titolo esemplificativo in figura 19 e nella rispettiva vista frontale di figura 20.
Nella creazione di ciascuna superficie ∑r,ddovrà essere garantita, nei limiti del possibile, la perpendicolarità tra la superficie stessa e ciascuna curva guida in corrispondenza dei punti Qp,n,m,d·
Nel caso in cui il numero di punti sulle curve guida Yn,m,dnon coincidano, l’estensione delle superfici ∑r,dsarà limitata alla porzione di sotto-dominio fisico SDF interessata dalle curve guida Yn,m,dcon maggior numero di punti. Si osserva che alla definizione della superficie ∑r,dpartecipano anche i punti delle curve guida Yn,m,dimmediatamente adiacenti che giacciono sulla seconda superfice limite SL2.
A tale proposito, in figura 22 è riportato un esempio di definizione delle superfici che delimitano i layer curvi ∑rid.
Dopo aver definito le cinque le curve guida Yi,m,d, Y2,m,d, Yw, Yw>Y5,m,dsi estraggono su ciascuna i punti opportuni. Nel caso in figura sono stati estratti cinque punti sulla prima curva guida Yi,m,d, sette sulla seconda curva guida Y2,m,d, dieci sulla terza curva guida Y3,m,d, sette sulla quarta curva guida Y4,m,de sei sulla quinta curva guida Y5,m,d· Fino ad r=5, la superficie ∑r,dviene generata considerando un punto per ogni curva guida Yi,m,d, Y2,m,d, Y3,m,d, Y4,m,d, Y5,m,d- Anche per r=6, viene usato un punto per ogni curve guida Yi,m,d, Y2,m,dj Y3,m,d, Y4,m,d, Y5,m,d5ma, per la prima curva guida Yi,m,d, si utilizza nuovamente il punto Q5,i,m,d, corrispondente al punto P<(2)>i,m,d, essendo questo immediatamente adiacente alla seconda curva guida Y2,m,dche presenta un punto Q6,2,m,dnon appartenente alla superficie limite SL2. Quando, invece, r>7 si procede in modo simile. Essendo però la terza curva guida Y3,m,dl’unica ad avere più di sette punti, ciascuna ∑r,dsarà definita dal corrispondente punto sulla terza curva guida Y3,m,de dai due punti finali Q7,2,m,d~P 2,m,d e Q7,4,m,d=P4,m,d delle due curve guida Y2,m,d e Y4,m,d adiacenti. Qualora necessario, si potrà regolare opportunamente l’apporto locale di materiale per ottenere lo spessore voluto.
A titolo esemplificativo e con riferimento alle tecnologie di stampa a filamento, in cui una regolazione dello spessore del materiale deposto comporti anche una variazione della larghezza del deposto stesso, sarà inoltre necessario regolare di conseguenza la spaziatura tra le successive passate generate come illustrato schematicamente in figura 23.
In particolare, in figura 23 sono mostrate due strisce di materiale deposte in due passate successive su di un singolo layer. Qualora regolando lo spessore del layer deposto, ossia variandone l’altezza da 2h a 2h’ o viceversa, la tecnologia di deposizione comporti automaticamente una riduzione della larghezza del materiale deposto da w’ a w, nella generazione delle traiettorie di deposizione del materiale sul singolo layer sarà necessario regolare il passo di modo che due “passate successive” siano comunque nella corretta posizione relativa per garantire l’adesione tra esse.
In alternativa, si potrebbe utilizzare un ugello la cui zona terminale sia appositamente sagomata in modo da distribuire lateralmente il materiale deposto.
Infine, la definizione di tali punti dovrà essere eseguita in modo da evitare la generazione di gradini tra layer appartenenti a sotto-domini fisici SDF contigui.
Le superfici ∑r,ddevono essere manifold topologici, dove con la locuzione “manifold topologico” si intende uno spazio topologico in cui ogni elemento possiede un intorno isomorfo ad un sottoinsieme aperto di uno spazio euclideo n-dimensionale di base numerabile.
Al fine di garantire tale proprietà si possono sfruttare formulazioni delle curve guida Yn,m,dcon più parametri di quelli che sia possibile determinare univocamente con le sole condizioni sopra introdotte. Tali formulazioni possono anche essere sfruttate per far sì che le curve guida Yn,m,dprossime alle superfici di confine SC o alle superfici esterne SE seguano una conformazione opportuna (Figura 24).
In particolare, in figura 24 è illustrato un esempio di suddivisione del dominio fisico DF in cui le curve guida Yn,m,dprossime ad una superficie esterna SE (la cui traccia sulla sezione, rappresentata in Figura 24, è la curva Yi,m,d) del dominio fisico DF sono definite da un maggior numero di punti QP,n,m,din modo da ottenere un dettaglio maggiore, dal punto di vista dello slicing del dominio fisico DF, in corrispondenza di una specifica zona del dominio fisico stesso.
La terza fase PH3 del metodo M secondo il trovato definisce le operazioni da svolgere per la generazione delle istruzioni macchina di ciascun layer curvo ∑r,dindividuato e di quelle complessive per la stampa dell’intero sotto-dominio fisico SDF.
I passi che caratterizzano tale fase PH3 del metodo M sono discussi a seguire e sono illustrati schematicamente nel diagramma di flusso di figura 25.
Come illustrato nella figura 26, un primo passo ST3.1 della terza fase PH3 prevede l’ordinamento delle superfici ∑r,dsecondo l’ordine di stampa, ed il loro eventuale raggruppamento per la definizione delle Q superfici limite Ξςdi ciascun singolo layer curvo.
In particolare, in figura 28 è illustrato un esempio di definizione delle superfici Sq, dove Ξς= ∑r,du ∑r\d+i·
Al passo ST3.2, il metodo M prevede la definizione di Q atlanti Aq, utilizzando i quali sarà possibile ri-mappare la superficie che definisce la superficie limite Sqdi un layer curvo su di una porzione (dominio) Xqdi uno spazio euclideo bidimensionale (piano) R<2>(figura 35).
I domini Xqsono utilizzati per definire le traiettorie secondo cui aggiungere materiali nelle fasi successive.
Qualora il q-esimo dominio Xqrisulti scomposto in due o più sotto-domini disconnessi, questi saranno trattati come due “isole” separate.
A tal proposito, nelle figure 29 e 30 è illustrato un esempio di come una singola superficie ∑r,dpossa dar luogo a due sotto-domini disgiunti e alla loro trasformazione nello spazio euclideo R<2>.
Qualora il q-esimo domimio Xqpresenti delle aree vuote, ossia da non riempire con il materiale, queste potranno essere trattate mediante le usuali tecniche di deposizione del materiale su layer piani.
A tal proposito, nelle figure 31 e 32 è illustrato un esempio di come una singola superficie Ξςpossa dar luogo a un sotto-dominio fisico SDF con una cavità aH’intemo e di come possa essere effettuata la sua trasformazione nello spazio R<2>. La definizione del percorso per la deposizione del materiale su questo layer d’esempio può essere eseguita con le tecniche usualmente adottate per un layer piano, essendo definito nel dominio piando Xq.
La conoscenza dei punti Qp,n,m,dsu ciascuna superficie ∑r,de quindi per ciascuna superficie Sqche delimita il layer curvo, consente di mantenere la corrispondenza tra essi, al fine di costruire strutture interne reticolari, a nido d’ape, o comunque solo parzialmente riempite.
Premesso che il metodo M secondo il trovato è utilizzabile anche nel caso in cui siano presenti nel dominio fisico DF strutture reticolari, nelle figure 33 e 34 è illustrato come il metodo M per la generazione dei layer curvi possa essere anche usato per definire strutture reticolari all’intemo del manufatto.
Nel dettaglio nelle figure 33 e 34 è illustrata una sezione di un dominio fisico DF suddiviso in tre sotto-domini fisici SDF1, SDF2 ed SDF3. Il primo sotto-dominio fisico SDF1 è riempito completamente, mentre nel secondo sotto-dominio fisico SDF2 sono individuate solo alcune zone in cui deporre materiale, ossia quelle indicate dalla campitura. I diversi orientamenti delle campiture evidenziano inoltre la possibilità di stampare le singole zone utilizzando materiali differenti.
Poiché, nel secondo sotto-dominio fisico SDF2, le zone in cui definire il materiale sono state individuate con l'ausilio delle superfici Sq, risulta possibile deporre il materiale sempre seguendo un’unica superficie, come mostrato in figura 34. In particolare, tale figura mostra una fase intermedia della costruzione del reticolo, nella quale il materiale sarà deposto sulla superficie Ξ2.
In particolare, il metodo M prevede un passo ST3.3 di generazione di apposite superfici Tg, generate mediante interpolazione di un gruppo di curve Yn,m,d· A titolo di esempio, in figura 27 è rappresentata una superficie rgcontenente le curve Yn-i,m,d, Yn,m,d, Yn+i,m,d e porzioni delle curve λ<(1)>π1,(ι e λ<(2)>πι^. La completa definizione di tali superfici richiede ovviamente altri parametri che saranno definiti dall’utente in relazione alle necessità specifiche dell’ applicazione.
Al passo ST3.4, sono quindi generati i volumi da stampare nel dominio fisico DF, cioè il dominio fisico DF viene suddiviso in volumi in cui depositare o meno materiale. Nello specifico, tali volumi sono generati mediante le superfici Ξςe mediante le apposite superfici Tg.
La terza fase PH3 del metodo M prevede, quindi, un quinto passo ST3.5 di generazione nei domini Xqdelle traiettorie secondo cui avverrà l’aggiunta di una porzione di materiale, eventualmente modificate per tenere conto sia degli effetti dovuti alla variazione di quantità di materiale aggiunto finalizzata a regolarne lo spessore, la qualità estetica finale e/o le proprietà tecniche e funzionali del manufatto, sia di eventuali incrementi della distanza tra tali traiettorie che la mappatura nello spazio fisico (passo ST3.5) potrebbe introdurre.
La definizione della quantità di materiale da aggiungere localmente e quindi delle conseguenti regolazioni da implementare alla macchina di stampa saranno basate sullo spessore locale del layer che si vuole realizzare. Ad esempio, nel caso di tecnologie di stampa a filamento, ciò si traduce nella definizione dello spostamento verticale relativo (in direzione Z) tra l’ugello e la tavola, così come della sua inclinazione (nel caso in cui la tecnologia e la macchina adottata lo consentano), del flusso di materiale, della velocità di movimento dell’ugello.
Qualora la tecnologia adottata non consenta di variare con continuità lo spessore del materiale, sarà possibile regolarlo localmente spezzando i tratti che potrebbero essere definiti con un unico comando di modo da poter definire su brevi tratti lo spessore da realizzare.
Tale passo ST3.5 prevede, inoltre, l’ottimizzazione delle istruzioni per la deposizione del materiale e la conseguente trasformazione in coordinate fisiche.
In particolare, quindi, il passo ST3.5 comprende la mappatura inversa, trasformando le coordinate sul layer di ciascuno dei punti individuati nella scrittura delle singole istruzioni macchina, in coordinate fisiche.
A titolo esemplificativo, in figura 35 è illustrata una possibile corrispondenza biunivoca tra i punti della superficie Sq, su cui sono definite le coordinate (ξ^,ζ^) dell’atlante Aq, ed i punti sul dominio Xq, in cui sono definite le coordinate (x^q.y^q).
La superficie Ξςappartiene al dominio fisico DF e quindi le sue coordinate sono le coordinate fisiche (Χ,Υ,Ζ), nelle quali deve essere trasformata la porzione di codice macchina scritta nel dominio Xq.
Inoltre, a titolo esemplificativo e relativo alla tecnologia di stampa a filamento, nelle figure dalla 36 alla 39 è riportato, in sequenza, un esempio di percorsi dell’ estrusore su alcuni layer curvi.
Durante questa trasformazione sarà anche necessario eseguire un’ottimizzazione delle istruzioni per l’aggiunta del materiale.
Infine, il metodo M prevede un passo ST3.6 di generazione dei parametri macchina ed un passo conclusivo ST3.7 di ottimizzazione del processo atto a generare le istruzioni finali.
Le istruzioni generate potranno essere ordinate in modo da minimizzare il rischio di urti con parti stampate in precedenza, prevedendo, ove necessario, opportune traiettorie, ed inserendo, sempre ove necessario, le istruzioni per la stampa dei supporti (per i quali è possibile adottare tanto l’approccio tradizionale quanto l’approccio sopra descritto) alla quota più opportuna.
Il metodo M ideato consente la generazione, l’unione e l’integrazione di istruzioni macchina per la generazione additiva di manufatti, ottenuti tramite tecniche di slicing differenti (su piani e/o superfici).
Infine, è previsto l’impiego di un sistema per l’elaborazione del metodo secondo il trovato.
In particolare, il sistema per la generazione additiva di oggetti impiegato comprende almeno un’unità di elaborazione provvista di:
primi mezzi per l’elaborazione della prima fase (PH1) di preparazione; secondi mezzi per l’elaborazione della seconda fase (PH2) di slicing; terzi mezzi per l’elaborazione della terza fase (PH3) di definizione di istruzioni macchina.
Nello specifico, l’unità di elaborazione può essere costituita da uno o più elaboratori elettronici dedicati, mentre i primi, secondi e terzi mezzi per l’elaborazione possono essere costituite da moduli software dedicati e/o da un opportuno hardware dedicato.
Si è in pratica constatato come il trovato descritto raggiunga gli scopi proposti.
In particolare si sottolinea quanto segue.
Rispetto alle comuni tecniche di slicing su layer piani, il metodo ed il sistema oggetto del presente brevetto consentono di raggiungere i seguenti vantaggi:
- eliminare/ridurre gli effetti dello stair-step;
- incrementare notevolmente l’accuratezza della geometria della parte stampata, preservando dettagli ritenuti critici;
- gestire localmente e/o globalmente la disposizione/orientamento del materiale deposto, al fine di controllarne le caratteristiche meccanico-fisico-chimiche, tra le quali il miglioramento dell’adesione tra i singoli layer;
- gestire superfici con doppie curvature e solidi con superfici complesse (ad esempio con “fori” e frontiere di forma qualsiasi); - facilitare la definizione delle zone da realizzare con materiali differenti;
- fornire un nuovo metodo per la generazione di supporti.
Il metodo e il sistema secondo il trovato, inoltre, consentono di definire reticoli interni con orientamento collegabile alle superfici esterne ed ai layer curvi. Questa capacità, tra le altre innumerevoli applicazioni, consente anche di realizzare strutture a sandwich.
Rispetto alle tecniche di tipo noto che prevedono la riduzione dello spessore del layer piano per riprodurre più accuratamente superfici curve, il metodo ed il sistema attuale consentono una maggiore accuratezza.
Inoltre, rispetto alle tecniche attualmente note che impiegano layer curvi, il metodo e il sistema secondo il trovato si distinguono perché i layer non sono ottenuti per traslazione di layer curvi precedenti o successivi.
Infatti, in modo innovativo, il metodo e il sistema secondo il trovato consentono la creazione di layer curvi parametrico-associativi, la cui forma può variare con continuità da un layer all’altro, adattandosi allo specifico caso.
Inoltre, tale approccio consente la generazione di layer con curvature ottimizzate localmente, al fine di conferire al componente delle proprietà funzionali e/o estetiche locali.
Inoltre, il metodo e il sistema secondo il trovato sono utilizzabili su macchine commerciali e ben si integrano con le tecniche di slicing attuali: un sotto-dominio fisico può infatti essere stampato con layer piani ed uno adiacente con layer curvi.
Il metodo e il sistema secondo il trovato sono utilizzabili anche sulle più recenti macchine; ad esempio, nel caso delle tecnologie di stampa a filamento, il metodo M è applicabile anche alle macchine che consentono di variare Γ inclinazione dell’ ugello e/o della tavola durante la stampa. In particolare, in questo caso, la tecnica sopra esposta è in grado di fornire risultati ancora più accurati, poiché risulta possibile deporre il materiale in direzione ortogonale al layer precedentemente deposto.
Il metodo ed il sistema secondo il trovato includono inoltre la tecnica di slicing su piani: per ottenerli è sufficiente definire le curve guida di modo che le superfici ∑r,dsiano piani.
Inoltre, il metodo e il sistema secondo il trovato consentono di definire i supporti non solo per sostenere “dal basso” parti a sbalzo, ma anche per consentire una miglior definizione di superfici curve, senza la necessità di realizzare supporti curvi con altre tecnologie tipicamente sottrattive.
Infine, il metodo e il sistema secondo il trovato consentono Γ utilizzo di ugelli opportunamente sagomati al fine di poter meglio “stendere” il materiale deposto.

Claims (9)

  1. RIVENDICAZIONI 1) Metodo (M) per la generazione additiva di oggetti, comprendente almeno le seguenti fasi: una prima fase (PH1) di preparazione di un dominio fisico (DF) o di una pluralità di sotto-domini fisici (SDF); una seconda fase (PH2) di slicing di detto dominio fisico (DF) o di ciascuno di detti sotto-domini fisici (SDF) preparati durante detta prima fase (PH1), per la generazione di una pluralità di layer per detto dominio fisico (DF) o per ciascuno di detti sotto-domini fisici (SDF); una terza fase (PH3) di definizione di istruzioni macchina, a partire da detti layer generati, per la stampa di detto dominio fisico (DF) o di ciascuno di detti sotto-domini fisici (SDF) mediante una tecnologia per la produzione additiva; caratterizzato dal fatto che: detta prima fase (PH1) comprende almeno un passo (STI. 6, STI. 9) di individuazione di una prima superficie principale (SPI) e di una seconda superficie principale (SP2) di detto dominio fisico (DF) o di ciascuno di detti sotto-domini fisici (SDF); detta seconda fase (PH2) comprende almeno un passo (ST2.3) di definizione di una pluralità di coppie di punti (P<(1)>n,m,d, P<(2)>n,m,d), rispettivamente, su di almeno una parte di detta prima superficie principale (SPI) e su di almeno una parte di detta seconda superficie principale (SP2); detta seconda fase (PH2) comprende almeno un passo (ST2.4) di costruzione di una pluralità di curve guida (yn,m,d) che uniscono dette coppie di punti (P<(1)>n,m,d, P<(2)>n,m,d); detta seconda fase (PH2) comprende almeno un passo (ST2.5) di individuazione di una pluralità di punti (Qp,n,m,d) su ciascuna di dette curve guida (yn,m,d); detta seconda fase (PH2) comprende almeno un passo (ST2.6) di raggruppamento di una pluralità di detti punti (Qp,n,m,d) appartenenti a differenti curve guida (yn,m,d) per la generazione di una pluralità di superfici (∑r,d), ovvero di detti layer.
  2. 2) Metodo secondo la rivendicazione 1, caratterizzato dal fatto che detta seconda fase (PH2) comprende almeno un passo (ST2.1) di definizione di una prima famiglia di curve (λ<α)>(0 su detta prima superficie principale (SPI) ed una seconda famiglia di curve (λ<(>3⁄4) su detta seconda superficie principale (SP2), ed almeno un passo (ST2.3) di definizione di una pluralità di coppie di punti (P<(1)>n,m,d, P<(2)>n,m,d), rispettivamente, su di almeno una parte di detta prima famiglia di curve (A.<(1)>d) e su di almeno una parte di detta seconda famiglia di curve (A.<(2)>d).
  3. 3) Metodo secondo una o più delle rivendicazioni precedenti, caratterizzato dal fatto che detta prima fase (PH1) comprende un passo (STI . 1) di selezione di un orientamento di detto dominio fisico (DF) rispetto ad un asse di stampa predefinito.
  4. 4) Metodo (M) secondo una o più delle rivendicazioni precedenti, caratterizzato dal fatto che detta prima fase (PH1) comprende un passo (STI. 3) di definizione di almeno un supporto di detto dominio fisico (DF) o di almeno uno di detti sotto-domini fisici (SDF).
  5. 5) Metodo (M) secondo una o più delle rivendicazioni precedenti, caratterizzato dal fatto che detta prima fase (PH1) comprende un passo (STI. 5) di suddivisione di un dominio fisico (DF) in detta pluralità di sottodomini fisici (SDF).
  6. 6) Metodo (M) secondo una o più delle rivendicazioni precedenti, caratterizzato dal fatto che detta prima fase (PH1) comprende almeno un passo (STI.7) di individuazione di almeno una superficie di confine (SC) per ciascuno di detti sotto-domini fisici (SDF), in cui detta superficie di confine (SC) è costituita da almeno una porzione della frontiera del sottodominio fisico (SDF) che lo separano da altri sotto-domini fisici (SDF) e che non appartengono né a detta prima superficie principale (SPI), né a detta seconda superficie principale (SP2), né alla frontiera del dominio fisico DF.
  7. 7) Metodo (M) secondo una o più delle rivendicazioni precedenti, caratterizzata dal fatto che detta prima fase (PH1) comprende almeno un passo (STI. 8, STI. 10) di individuazione di almeno una superficie esterna (SE) di detto dominio fisico (DF) o di almeno una porzione di frontiera di ciascuno di detti sotto-domini fisici (SDF) che fanno anche parte della frontiera di detto dominio fisico (DF).
  8. 8) Metodo (M) secondo una o più delle rivendicazioni precedenti, caratterizzato dal fatto che detta seconda fase (PH2) comprende almeno un passo (ST2.2) di estrazione di un numero finito (M) di curve (λ<(1)>π1ι(ι, λ<(2)>π1ι(ι) da ciascuna detta prima famiglia di curve (λ<(1>\ι) e detta seconda famiglia di curve (λ<(2)>d).
  9. 9) Metodo (M) secondo una o più delle rivendicazioni precedenti, caratterizzato dal fatto che detta seconda fase (PH2) comprende almeno un passo (ST2.3) di definizione di una pluralità di coppie di punti (P<(1)>n,m,dP<(2)>n,m,d) su ciascuna di dette coppie di curve (À<(1)>mide λ<(2)>π1,(ι) 10) Metodo (M) secondo una o più delle rivendicazioni precedenti, caratterizzato dal fatto che detta seconda fase (PH2) comprende almeno un passo (ST2.3) di definizione di coppie di versori normali a detta prima e seconda superficie principale (SPI, SP2) in corrispondenza di detti punti (P<(1)>n,m,d, P<(2)>n,m,d)· 11) Metodo (M) secondo una o più delle rivendicazioni precedenti, caratterizzato dal fatto che detta terza fase (PH3) comprende un passo (ST3.1) di ordinamento di dette superfici (∑r,d) secondo un ordine di stampa, ed il raggruppamento di dette superfici (∑r,d) per la definizione di superfici limite (Ξς). 12) Metodo (M) secondo una o più delle rivendicazioni precedenti, caratterizzato dal fatto che detta terza fase (PH3) comprende un passo (ST3.2) di definizione di una pluralità di atlanti (Aq) per la ri-mappatura di ciascuna superficie limite (Ξς) di un layer curvo su di un dominio di uno spazio euclideo bidimensionale (Xq). 13) Metodo (M) secondo una o più delle rivendicazioni precedenti, caratterizzato dal fatto che detta terza fase (PH3) comprende un passo (ST3.4) di generazione dei volumi da stampare. 14) Metodo (M) secondo una o più delle rivendicazioni precedenti, caratterizzato dal fatto che detta terza fase (PH3) comprende, per ciascun dominio (Xq), un passo (ST3.5) di definizione delle traiettorie di deposizione del materiale. 15) Metodo (M) secondo una o più delle rivendicazioni precedenti, caratterizzato dal fatto che detta terza fase (PH3) comprende almeno un passo (ST3.6) di generazione dei parametri macchina necessari a regolare raggiunta di materiale. 16) Metodo (M) secondo una o più delle rivendicazioni precedenti, caratterizzato dal fatto che comprende almeno un passo (ST3.7) di ottimizzazione per la generazione di istruzioni finali. 17) Sistema per la generazione additi va di oggetti, caratterizzato dal fatto che comprende almeno un’unità di elaborazione provvista di: primi mezzi per l’elaborazione di detta prima fase (PH1) di preparazione secondo una o più delle rivendicazioni precedenti; secondi mezzi per l’elaborazione di detta seconda fase (PH2) di slicing secondo una o più delle rivendicazioni precedenti; terzi mezzi per l’elaborazione di detta terza fase (PH3) di definizione di istruzioni macchina secondo una o più delle rivendicazioni precedenti.
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